[Fullmetal Alchemist] Better

Titolo: Better
Fandom: Fullmetal Alchemist
Personaggi: Roy Mustang, Riza Hawkeye
Parte: 1/1
Rating: G
Conteggio Parole: 5045 circa (LibreOffice)
Note: spoiler capitoli 57-61 del manga, songfic.

Better
Roy tese l’orecchio. Qualcosa gli diceva che, se non aveva
preso un’insolazione – e, a giudicare dalla temperatura esterna, quello
non era agosto – allora aveva mangiato pesante.
Dalla porta chiusa dell’ufficio privato, si sentiva il tenente Hawkeye cantare
con quella voce nitida e intonata che solitamente riferiva ordini a destra e
a manca. Senza staccare l’orecchio dalla porta, Roy guardò Hughes con
aria quasi terrorizzata. Se una donna controllata come lei si metteva a gorgheggiare
in orario di lavoro, non poteva dormir… ehm… firmare carte tranquillamente,
al pensiero che quella stessa donna aveva due calibro nove alla cintura
e una nel cassetto della sua scrivania.
«Roy?» farfugliò l’amico, impegnato a captare il minimo suono
di quell’insolita esibizione.
«Eh?»
«Tu sai bene che se ci trova qui siamo uomini morti, vero?»
«Oh beh,» rispose lui, facendo spallucce, nei limiti di ciò
che la posizione permetteva «considerando la situazione, credo che moriremo
comunque nel giro di dieci secondi, sembra che qualcosa in lei oggi non vada
per il verso giusto. E qualcosa farà scattare qualche grilletto, se siamo
fortunati. Qualche bomba a mano, invece, se era di malumore e tentava di mascherarlo.»
Il povero Hughes sospirò profondamente. C’erano davvero momenti in cui
gli sarebbe piaciuto pensare seriamente che Roy fosse stupido
oltre ogni misura, ma si ritrovava puntualmente a pensare che la sua potenziale
veste di Fuhrer funzionasse meglio di quella dell’amico. Meglio per lui, altrimenti
avrebbe insegnato a Elysia le preghierine per King Bradley.
Ahh, tesorino di papà, chissà se stava giocando con lo xilofono
nuovo…
«Moriremo tutti.»
«Roy, finiscila.» mormorò Hughes fra i denti, proprio
mentre Havoc e Breda passavano a poca distanza da loro. Sentì il primo
sottotenente borbottare qualcosa. Breda non tardò a rispondere.
«Mah, secondo me il tenente ha la sindrome premestruale…»
Nondevincenerireituoisottopostinondevinondevinondevinondevinondev—
«Roy…»
«Sì, Maes. Sono – calmo.»
«Stacchiamoci da qui, prima che Hawkeye ci trovi e ci dia in pasto a Black
Hayate…»
«Ehi, parla per te!» sbottò il colonnello «Buraha mi
ama!»
Sì, sospirò Maes, il cane. Che tu sia benedetto,
o Roy Mustang…

Esasperato, alzò un sopracciglio, poi si sedette davanti alla scrivania
dietro alla quale l’amico stava tornando a prendere posto.
«Dico, credi davvero che quella donna sia un monumento al… al frigidume?»
Scandagliando il proprio dizionario mentale alla ricerca di frigidume,
Roy si dimenticò di rispondergli.
«Penso che farà qualcosa, oltre a sparare a vista su chiunque si
avvicini troppo a quella tua testaccia. Le piacerà fare qualcosa…
che ne so, andare a comprare dei bei vestiti, leggere, portare a spasso il cane…
avrà delle idee, delle opinioni… cose così. Non dirmi che
in tutti questi anni non t’è mai saltato in mente di chiederle qualcosa!»
Roy sbuffò. Per sua informazione, aveva passato a casa di Riza gran parte
della sua adolescenza! Abbastanza per sapere che leggeva romanzi rosa e girava
con delle gonne stupende, quando era ragazzina. Gonne che Roy non mancava di
bruciacchiare, quando lei tentava di portargli il pranzo e suo padre si ostinava
ad abolire la pausa cibo durante gli allenamenti. Da dove era uscita una figlia
come quella?
Ma Hughes sembrava attendere una qualche risposta intelligibile da parte sua.
«Ehm… no.» buttò giù a casaccio.
«Roy, sei un cretino. Un cretino
«Questo si chiama vilipendere un tuo superiore!» scattò l’amico,
offeso
«Non ti avevo detto che avresti dovuto circondarti di persone pronte a
sostenerti? Come fai a sentirti in simbiosi con loro se non sai nemmeno se al
tenente piacciono le patatine fritte?»
«Maes, questo è cretino.» rettificò
Roy
«Ma zitto, ché ti avevo anche detto di trovarti una moglie! Non
hai più l’età per—»
«Senti, vai a lavorare, su!»
«Ma non hai ancora visto l’ultima foto di Ely—»
«HUGHES!» abbaiò il colonnello, che aveva superato
di molto il consueto limite di guardia della propria pazienza
«Ho capito, ho capito…» ridacchiò l’uomo, alzandosi
«Ma anche tu ne hai un bel po’, quindi vedi di sgobbare, con quel gomito!»
«Mpf!»
Maes tornò nel proprio ufficio ridendo di gusto, lasciando Roy a fare
il permaloso.
Ma lui decise di fare l’Uomo Superiore, chinandosi sul suo lavoro senza fiatare.
In fondo era vero, lui non le aveva mai chiesto niente, era lei che si era limitata
a vivere davanti a lui, fino a che non si erano accorti di vivere insieme. Per
molto tempo, Riza era stata la sua unica compagnia e, fin da allora, dimostrava
di essere un tipo pratico e poco incline alle chiacchiere.
Sfuggendo alle regole da riformatorio del di lei padre, avevano comunque trovato
mille e più modi di vivere il loro periodo di adolescenti anarchici,
mangiando in piena notte le mele candite – tabù – che il vicino
di casa comprava in città per conto loro, o divorando i tomi più
controversi della biblioteca, o, ancora, imbarcandosi in lunghe e infinite discussioni
notturne su questo o quell’argomento.
Avevano passato così tanto tempo insieme da dimenticarsi di raccontarsi
l’uno all’altra, ma, con suo inaspettato piacere, Roy si ritrovò a mettere
insieme tutti i tasselli in suo possesso per ricostruire l’immagine di quella
ragazzina elegante, seria, ma dolce e arguta come poche delle sue conquiste.
Improvvisamente, ricordò il motivo per cui il suo nome non era sulla
lista.
A parte il fatto che Riza era sacra, data la parentela con Hawkeye-sensei, era
troppo… troppo. Bella lo era, senza il minimo dubbio, ed era
di compagnia, ma, allo stesso tempo, era così corretta, così piena
di buoni ideali, così leale, posata e deliziosa, così diversa
e piacevole rispetto alle altre, che Roy sentiva quasi di farle un torto, quando
pensava di coinvolgerla in una relazione che, oltretutto, avrebbe anche potuto
comprometterle una brillante carriera.
Sorrise fra sé e sé, sicuro che nessuno di quei pettegoli potesse
vederlo.
Credeva che il tempo e la guerra l’avessero cambiata, che tutto ciò che
l’aveva segnata allora fosse riuscito a scolorire la ragazzina che aleggiava
di tanto in tanto nei ricordi di Roy, ma l’aveva sentita cantare con la stessa
voce e lo stesso tono di tanti anni prima, e forse – forse
si disse, nessuno riesce a cambiare in maniera così radicale, e lei poteva
anche ricordargli dei documenti in archivio e sparare al poligono, ma, per lo
stesso principio, non riusciva a smettergli di sorridergli di tanto in tanto,
o di spingergli le mele candite nel piatto quando le davano in mensa, o di nascondersi
un libercolo rosa sotto il tavolo, per lanciargli qualche occhiata furtiva fra
una firma e l’altra.
Sì, decisamente, lui conosceva l’altro lato di Hawkeye, bastava un po’
di impegno per notarlo in ogni cosa su cui lei metteva mano. Anche l’elegante
calligrafia stretta ed essenziale era qualcosa che Roy conosceva bene: tutte
le annotazioni a matita sui libri che il padre tentava invano di farle assimilare,
o i bigliettini che lo avvisavano del pranzo clandestino in giardino. Poco importava
che adesso i suoi messaggi fossero avvisi di riunioni e firme scribacchiate
di fianco alle sue, erano pur sempre le sue dita affusolate su una penna.
Poi, c’era la sua presenza, discreta e attenta come allora. Era sempre stata
la sua coscienza, lapidaria e piena di buonsenso. Ma, attualmente, non gli consigliava
più di stendere le lenzuola sull’altro balcone e non su quello della
sua camera, prima che i piccioni ci andassero a fare il nido, come quando lui
era andato a lavare quel lenzuolo a gladioli. Il mattino dopo, aveva trovato
la sua mirabile opera di lavanderia ridotta a una piccionaia di equilibristi,
sulla corda dei panni. Dietro di lui, Riza non era proprio riuscita a trattenere
una risata…
C’erano tanti particolari che si accorgeva di aver perduto per strada, col tempo.
Comprensibile, erano davvero infinitesimali sfumature della sua vita quotidiana
a casa Hawkeye, ma in ognuno di questi c’era la piccola Riza, lo sguardo materno,
lei che la madre l’aveva a stento conosciuta, e le mani incrociate in grembo
e nessuna ombra di trucco sul viso, e le fossette sulle guance che erano rimaste
uguali e le piccole perline alle orecchie, e le mani che sembravano le mani
di una pianista.
E quei particolari stavano riaffiorando tutti insieme fra le righe del rapporto
di Fullmetal e della copia dell’ultimo discorso del Fuhrer.
Dannato Hughes.
E non si accorse nemmeno che era la terza volta che firmava come Riza Hawkeye.
*
Quando Riza tornò di là, era di nuovo tenente,
di nuovo padrona di sé stessa e irreprensibile nel proprio lavoro. I
suoi gorgheggi erano già un tormentone fra tutta la truppa, ma, fortunatamente
per lei, Roy, nella solitudine di un assolato turno pomeridiano autunnale che
nemmeno gli toccava, era l’unico che avrebbe potuto rivelarglielo. Tuttavia,
si guardò bene dal farlo, aveva da firmare ancora otto di quei cosi,
cosa che gli era costata un intero pomeriggio libero. Sì, anche se ne
aveva già firmati un buon centinaio. Salutò Riza con un lieve
cenno della mano e con un mezzo sorriso. Lei l’aveva, il pomeriggio libero,
ma non aveva il pesante soprabito sulle spalle e non sembrava avere fretta.
Rispose al sorriso e lo guardò scarabocchiare il suo nome una, due, tre,
otto volte, poi cominciò ad esaminare attentamente i fogli uno per uno.
Sapeva quanto il colonnello fosse distratto, l’aveva imparato a spese di faccende
di Stato importantissime, e da allora si era promessa di ricontrollare fino
alla nausea i suoi ghirigori.
Come sempre, che quello fosse o no il suo pomeriggio libero non aveva importanza,
avrebbe continuato ad aiutarlo fino alla fine del turno, ricordò Roy,
stavolta nascondendo un piccolo sorriso di gratitudine. Ormai erano anni che
tutto questo andava avanti secondo un tacito, unilaterale accordo, che mai aveva
visto spaccature. Questo andava oltre il rigore nei confronti dei propri doveri.
Mai che l’avesse vista andarsene in anticipo, mai che l’avesse vista rispettare
il suo orario d’uscita, che prolungava sempre rispetto al dovuto. Non l’aveva
mai sentita nominare un appuntamento o una distrazione… e non era giusto.
«Tenente, è bel tempo, è sicura di non voler rispettare
il turno? E… ed è sicura che non le pesi stare qui a riordinare
cartacce con questo bel sole?» domandò educatamente, grattando
le orecchie di Black Hayate che uggiolava.
«Non è affatto un peso, signore.» gli rispose, con la solita
voce paziente, dandogli le spalle per appoggiare un plico sulla scrivania di
Breda.

Your love is better than ice cream
Better than anything else that I’ve tried

Roy si volse prima verso la finestra, poi verso gli occhi del
cucciolo, che, al massimo dell’insubordinazione, gli era saltato sulle ginocchia.
All’improvviso prese a leccargli la guancia con affettuoso zelo.
«Argh… sì, giovanotto, lo so che ti piaccio, ma adesso scendi,
da bravo, su!»
«Buraha, giù!» gli intimò la padrona, togliendolo
dalle gambe del colonnello.
«Bah…» brontolò Roy, pulendosi con un fazzoletto. Riza
si scusò con una risatina.
«È da quell’incidente con i piccioni che avevo deciso di tagliare
i ponti col regno animale…» sghignazzò. Riza sgranò
i grandi occhi castani
«Ma non mi dica, se lo ricorda ancora?!»
«Non è una cosa che si dimentica facilmente, dopo aver lavato un
lenzuolo come quello.»
«Perché, c’era qualcosa di strano, sopra? Io ricordo delle…
erano camelie? O calle?»
«Gladioli.»
«Che memoria… sì, è vero… gladioli.» poi
continuò a passare in rassegna il lavoro del superiore che, col gomito
ancora indolenzito, osservava le foglie avvizzite scivolare giù da qualche
sottile rampicante fuori dalla finestra.

And your love is better than ice cream
But everyone here knows how to cry

Proprio una bella giornata, poco vento, sole tiepido, Black
Hayate agitato e Riza insonnolita, volontariamente determinata a chiudersi in
ufficio con lui e le carte.
«Signore, perché qui c’è il mio no—WARGH! D-DOVE—»
Roy le aveva preso il polso al volo e l’aveva trascinata fuori dall’ufficio,
con Black Hayate che trotterellava felice al seguito, in una scia di documenti
volanti
«Andiamo a prenderci un gelato, conosco una gelateria che fa un menta
con pezzettini di cioccolato che è una meraviglia, prenda il suo soprabito
e il guinzaglio di Buraha!» esclamò Roy, euforico come un bambino.
«Ma—Ma…! Non… non possiamo!» gemette Riza, disperata,
mentre il colonnello stesso prendeva il suo soprabito – quello che si era portata
da casa – dall’armadietto e glielo avvolgeva attorno alle spalle. Il guinzaglio
di Buraha non incontrò, invece, alcuna resistenza, perché il cagnolino
ci saltò praticamente dentro e cominciò a trainare il colonnello,
che teneva la padrona sottobraccio.
«Colonnello Mustang, dove—»
«Tutto sotto controllo, Generale! Permesso di uscire col cadetto Black
Hayate!!» gridò Roy, già lontano, grazie all’irruenza della
mascotte della sua squadra.
«Colonnello…» borbottò lei, una volta fuori
dalla portata del Generale
«Avanti, tenente, non era nemmeno il nostro turno, guardi che sole, che
paesaggio… e guardi un po’ il povero Buraha! Aveva bisogno di dare un
po’ di olio alle zampe!»
«Colonnello Mustang…» sillabò Riza, nel tentativo
di imporsi di nuovo a voce della sua ragione
«La prego, non mi guardi così… mi verrà l’artrite
a stare in quell’ufficio!» si lamentò
«Certo,» rise Riza «scommetto che avrà il gomito
lussato
per aver firmato tutta quella roba in così poco
tempo!»
«Non prenda alla leggera i miei acciacchi, potrebbe perdere un colonnello,
il lavoro mi uccide!»
«Oh, a giudicare dalla velocità con cui lei uccide il lavoro…
prima o poi ci annegherà dentro, a quella montagna di carte, e allora
sì che potremo parlare di omicidio…»
«… Lo mangia ancora il gelato con la granella di nocciole?»
Riza sospirò. Poi si arrese.
«Vuole dire… da quando non ho più avuto bisogno di nascondere
l’esistenza del congelatore a mio padre?»
«Ehm… sì.» ridacchiò l’uomo, al ricordo di tanta
avversione di Hawkeye-sensei per tutto ciò che aveva a che fare con il
ghiaccio
«Cerco di evitarlo, fa ingrassare.»
«Ingrassare?! Tenente, lei è un grissino vestito di blu,
ergo, io le ordino, in veste di suo colonnello, di assaggiare questo
gelato.» tuonò, con aria solenne. Riza non osava fiatare.
«Siamo arrivati, prima lei.» fece, reggendole la porta.
«Colonnello! Roy!» cinguettò una voce femminile
dal bancone. Riza rimase stordita per un attimo, al suo fianco.
«Buonasera, Hannah! I tuoi coni mi chiamavano dall’ufficio.» sorrise,
con fare galante
La gelataia sorrise con civetteria. «Sempre il solito… e lei
chi è, se posso?» riprese, indicando Riza con lo sguardo.
Con lo stomaco contratto dall’irritazione, Riza stava già pensando di
trascinare Roy fuori dalla gelateria, o peggio, di estrarre la calibro
nove nella gelateria
«Lei è Riza Hawkeye, il mio tenente.» sorrise di nuovo
«Ah.» fece la donna con una smorfia impercettibile, ma palese per
chi, come il tenente, era abituato a quelle semi-granitiche del colonnello.
«Cono o coppetta?»
«Un cono menta con pezzettini di cioccolato e un biscottino intinto in
un po’ di fiordilatte…» e Black Hayate scodinzolò contento
«e lei, tenente?»
«Io non mangio gelato, grazie, signore.» sillabò lei, raggelante,
mentre porgeva il biscotto al suo Buraha.
«Hihuha?» biascicò Roy, perplesso, già indaffarato
col proprio cono.
«Sì, sicura.» rispose lei. Il colonnello si preoccupò
di pagare prima di raggiungerla sul marciapiede.
«Hawkeye, non sarà mica…»
«Cosa?»
«Niente.»
«Mh.»
«Mh.»
«Vuole un po’ del mio?»
«… no.»
«Non faccia così, di solito riesco a scroccarlo, il cono gratis!
Non stavo cercando di… beh…»
«Di fare cosa?»
«Su, mi guardi negli occhi.»
«… quando comincerà a comportarsi da adulto?»
«Avanti, mi guardi!»
«La smetta di saltellare!»
«E lei mi guardi.»

And it’s a long way down
It’s a long way down

«Umph.»
Seguì un breve momento di silenzio che vide Riza obbedire a malincuore.
«HA! Lei è gelosa!»
«Io?! Di lei
«Sì.»
«No!»
«Le dico di sì!»
«Uomo cocciuto!»
«Mpf.»
«Bah.»
«Bau.» abbaiò Black Hayate, con il gelato sul musetto.
Nessuno gli diede retta, e il trio si mise a camminare a debita distanza, quasi
marciando, lui con il guinzaglio in mano e il gelato fra le labbra, e lei più
accigliata che mai, che tratteneva a malapena la voglia di sbattere i piedi.
All’improvviso, vide il cono di lui scivolare con grazia sotto il suo naso.
«Prenda.» le fece Roy, assaggiandone un altro po’ dall’altra parte.
Riza allungò timidamente la lingua e assaporò l’aroma pungente
della menta addolcito dal cioccolato.
Niente male.
Non aveva fatto in tempo a pensarlo, che Roy le aveva ceduto il gelato a tradimento,
senza però desistere dal mangiarlo. In imbarazzo, Riza decise di imitarlo,
avvicinando di più la testa alla sua. Mangiarono lentamente, in silenzio,
sembrava davvero troppo gelato anche per due.
«… Possibile che debba sempre usare il gelato per farmi perdonare
da lei?»
Riza lo guardò in cagnesco. «Era la mia gonna preferita, quella.
Non riapriamo vecchie ferite, potrei non rispondere di me stessa…»
«Ma io non sapevo che lei stava per portarmi il pranzo, altrimenti non
avrei… mirato alla porta. E poi, non ero ancora granché, con la
mira. Comunque, lo ammetta, il gelato alla mela candita è stata un’idea
geniale.»
«Oh, sì» annuì Riza, mentre Roy si chinava di nuovo
sul cono «lo è stata davvero. Ma era così calorico che certe
trasmutazioni dovrebbero essere ill—»
Arrossì, mentre Roy finiva di indugiare con le labbra sulla cialda. Poi
realizzò anche lui, e arrossì a sua volta.
«Oh, era il suo dito?»
«S… sì, signore.»
«Mi scusi.»
«Perdonato.»
Senza parlare, si incamminarono verso casa di Riza.
«… Mi dispiace, tenente.»
La voce di Roy, seria e rattristata come non le era mai sembrata dai tempi di
Ishbal, la raggiunse all’improvviso.
«Di cosa?» chiese, sorpresa.
«Di aver creduto che lei fosse…» esitò un attimo, e
si chiese se fosse davvero indispensabile… decise di cambiare tono «…
beh, lei canta in ufficio, vero?»
«E lei come diamine lo sa?!» boccheggiò, indispettita.
Non era per questo che il colonnello avrebbe fatto una faccia simile.
«Beh, temo che, a partire da domani mattina, tutti in ufficio cominceranno
a chiederglielo… attenzione soprattutto al sottotenente Havoc.»
«Mi avete sentita?»
«Ho paura di sì.»
«Caspita.»
«Già.»
«… questo non avrà ripercussioni sulla mia autorità
nel loro immaginario, spero.»
«Ne dubito. In tal caso, ripercuoterò la mia scrivania sulle loro
teste. Nel senso che li percuoterò con la mia scrivania molte
volte.»
«Che uomo cavalleresco.»
«Troppo gentile, Milady.»
«Comunque, diceva?» fece Riza, tornando seria. Non aveva alcuna
intenzione di lasciar cadere quell’altro discorso, anche se Roy sembrava
di tutt’altro avviso. La scia della sua domanda rimase fra loro come un monito,
fino a che Roy non prese atto di non poter tornare indietro.
Prese un respiro.

It’s a long way down to the place
«Dicevo che… ecco… mi spiace di averla mortificata come persona,
negli ultimi anni.» le disse, scuro in viso.
«Signore, io non—»
«Ricorda il giorno in cui mi chiese di… bruciarla?»
la interruppe
«Mi sarebbe impossibile il contrario.» confessò lei, asciutta.
Stavolta, un’ombra passò sui suoi occhi.
«Mi aveva detto che avrebbe voluto ricominciare dall’inizio, e stavolta
Riza Hawkeye sarebbe stata una persona a sé, un individuo che valeva
per le proprie qualità ed era in grado di dimostrarlo.»
«Non potrei mai dimenticarlo.» ripeté.
«Io ho indugiato così tanto sulle sue qualità da non essermi
accorto dell’individuo che già conoscevo, tenente. È cambiata,
mi dicevo. Non è più quella ragazzina. Ma mi mentivo. E mi sono
chiesto in che modo io mi sia arrogato il diritto di pretendere la lealtà
e la fiducia da una persona che avevo dimenticato per metà, e che mi
aveva detto sì senza esitare, sempre, quando ho avuto più bisogno
di lei. E ho dimenticato… tutto il resto. Mi sono appoggiato a lei e ho
dimenticato le sue cicatrici, dimenticato i pesi che porta dentro, e mi sono
sempre dimenticato di dirle che anch’io non esiterei a morire per lei, tenente.»

Riza lo fissò con un lieve sorriso.
«Ma adesso ha ricordato, vero?»
«Sì.» sorrise lui, sforandole affettuosamente una guancia.
Riza lasciò il cono a Black Hayate e sbirciò l’angolo della strada,
dal quale si poteva scorgere il suo appartamento. Riprese a camminare lentamente
con Roy e Buraha al suo fianco, guardando il cielo che illividiva.
«Non possiamo tenere ogni cosa sotto controllo, colonnello.» sorrise,
voltandosi e appoggiando una mano sul suo viso. Roy non osò sfiorarla,
e Riza si apprestò, allora, a girare le chiavi di casa nella toppa.
«Colonnello?»
«Mi dica.»
«Gradirebbe… salire? Così potrebbe anche aiutarmi a preparare
la cena.»
«La cena…?»
«Beh, sì, un gelato non mi basta, verso mezzanotte avrei fame di
nuovo, ma non ho voglia di sbrigarmela da sola, oggi. Le dispiace?»
«Oh, no, affatto!» si affrettò a risponderle, e salì
i gradini in un balzo, per la gioia di Black Hayate, che gli afferrò
il cappotto con i denti e diede fondo a tutte le proprie energie cercando di
trascinarlo in cucina, malgrado tutte le sue proteste. Riza era seduta su una
sedia, la giacca appoggiata dietro di lei e un ampio grembiule a coprirla.
«Allora, allora!» esordì Roy, battendo le mani «Cosa
devo fare?»
«Lei lava i piatti, dopo.» lo freddò lei. Roy sentì
il proprio orgoglio oltrepassare i minimi storici.
«Ma-ma…»
«Niente ma, colonnello! Non ci tengo a vedermi la casa in fiamme mentre
tenta di accendere i miei fornelli con quei guanti!»
«Sissignora.» sbottò lui. Riza lo ignorò e preferì
sminuzzare le verdure.
*
«E questa lei la chiamava dieta?» azzardò
Roy, le maniche della camicia tirate sui gomiti e le mani nel lavandino strapieno.
Riusciva a malapena a reggersi sulle gambe, ma il clangore della padella che
Riza appoggiò sui piatti riuscì a svegliarlo per un’altra manciata
di minuti.
«Non significa che ogni tanto non possa fare uno strappo…»
replicò, rimboccandosi le maniche anche lei e affondando con le mani
nell’acquaio.
«Serve una mano? In due si fa prima…»
«Sì, aveva detto la stessa cosa quando suo padre mi aveva spedito
a riordinare tutta la biblioteca, si ricorda? Ci ha quasi ridotti ad arrosticini.
Immagino sia stata dura avermi come compagno di disavventure durante l’adolescenza.
Quante punizioni ha preso, per causa mia?».
Riza lo guardò negli occhi con un’espressione serena.
«Sa, sarà anche vero… ma il tempo passato con lei è
sempre migliore del tempo passato in qualunque altro posto.»
«Perché ho la sensazione che questa conversazione non uscirà
da questa stanza?»
«Perché è un uomo d’intuito.»
«Grazie.»
«È gratificante passare la maggior parte della propria vita e del
proprio tempo con una persona che ne ricorda tutti i particolari e conosce esattamente
quel che gli altri non possono cogliere. Solo così si può capire
se quella persona sia degna di essere seguita fino in fondo.»
«Ma io…»
«Non importa.» rispose Riza, con semplicità «Era tutto
nella sua memoria, gliel’ho detto. Crede che avrei continuato a supportarla,
in caso non gliene fosse importato niente di me, come persona? Ma io la conosco
bene, e devo a lei quel che sono. Non è una cosa che si dimentica facilmente,
lo sappiamo tutti e due.»

Where we’ve started from
Roy le appoggiò una mano bagnata sulla spalla, poi lanciò
una rapida occhiata alla cicatrice che traspariva dal cotone bagnato.
«Posso vederla di nuovo?» domandò, col timore di infastidirla.
Vide Riza irrigidirsi, ma lei si asciugò le mani su uno strofinaccio
e si allontanò dal lavello per sbottonarsi la camicia. Roy rimase a fissarle
la schiena nuda e il grosso tatuaggio che vi troneggiava sopra. La scapola destra
portava un’ampia cicatrice, ciò che restava di una gigantesca bruciatura.
Ancora sentiva la voce che lo supplicava di lavarle via quel fardello dalla
carne.
Quasi tremando, allungò due dita per accarezzarla. Era una macchia esangue
e ruvida, priva di melanina. Sentì Riza ritrarsi di scatto non appena
Roy tentò di sfiorarla.
«Fa ancora male?»
«No, ma è dannatamente sensibile…»
«Capisco. Non si muova.»
Riza non avrebbe osato.
Quando le appoggiò nuovamente due polpastrelli sulla pelle, non poté
trattenere un sospiro di sorpresa, e sollievo: sembrava che le stessero accarezzando
la schiena con dell’acqua ben calda, e, cosa ancora più insolita, non
se ne sentiva affatto infastidita, anzi: sembrava che la sua ipersensibilità
fosse addirittura diminuita.
Ed erano le sue dita, nude, morbide come velluto.
«Va meglio?»
«Molto.» mormorò Riza, chiudendo appena gli occhi ed espirando
lentamente.
Roy le rialzò la camicia sulle spalle.
«Il pensiero che l’unica sua cicatrice fosse merito mio mi infastidiva
alquanto, così ho… sperimentato qualche trucchetto, per alleviare
almeno la sensibilità, ecco.»
Lei si abbottonò il colletto e lo osservò come se avesse appena
mangiato Black Hayate.
«Lo ha fatto per me?»
«Beh, considerando che lei ha deciso di salvarmi il didietro sempre e
comunque, credo proprio di sì…» rise, accingendosi a infilare
i guanti appoggiati sul tavolo.
«Roy Mustang!»
«S-sì?»
«Non cerchi di eludere i suoi doveri, deve lavare i piatti!»
«Ma mi sono comportato da Colonnello Galante!»
«Sì, con la gelataia…»
«Lo vede, che è gelosa?»
«Non giri la pizza e muova il suo culo galante verso questo lavandino!»
«Ha appena detto culo
«Oh, per favore…» sibilò lei.
«Uffa.» concluse lui, facendole il broncio. Quando cominciava a
sbandierare il suo nome di battesimo, era tempo di alzare le mani… o di
metterle nel lavandino, a seconda dei casi. Non aveva tutta questa voglia di
discutere con Riza a quell’ora.
Forse.
Con l’acqua ai polsi, afferrò il grande piatto da portata adagiato sul
fondo e lo strigliò con dedizione, spalla a spalla con il tenente che
agiva su un bicchiere, precisa e implacabile come con la pistola.
«Come si fa a darle via libera per stare al comando di una nazione?»
sospirò, il canovaccio che gemeva sul fondo di vetro del bicchiere
«Lo ignoro, so solo che, se voi continuerete a seguirmi, io potrei cambiare
lo Sta—»
«Insomma, diciamolo, lei manca completamente di senso di responsabilità:
farle lavare i piatti è una tragedia, farle firmare le carte è
una tragedia, tenerla ferma su quella poltrona è un’utopia
non è che lei diventa Fuhrer e va girando tranquillo per il Quartier
Generale a guardare le minigonn—SPUT!»
Con il pugno nell’acqua, Roy l’aveva schizzata dritta in faccia, con un preciso
getto a fontanella.
Riza tossì. Roy sghignazzò, gioendo per l’orgoglio riconquistato.
Qualche ciocca bagnata gocciolava pigramente nel lavandino, ma, da parte di
lei, nessuna reazione violenta.
«Ahahahah, mai mettersi contro il Flame Alchemist, lui contrattacca anche
con l’a—AAARGH! SPUT!»
Riza non parlava.
Riza agiva.


Your love is better than chocolate
Better than anything else that I’ve tried

E aveva agito di slancio, riempiendo un bicchiere intero.
Roy contemplò con orrore i capelli e i vestiti fradici, nonché
la pozza d’acqua sul pavimento, ma l’espressione del tenente non tradiva uno
solo dei suoi pensieri.
«Eh no, tenente, questa è guerra!» rise, lanciandosi su di
lei e sollevandola da terra di parecchi centimetri.
«Nononononono, colonnello, per piacere!» gridò Riza, ridendo
anche lei, la testa gettata all’indietro e le mani sulle sue spalle per non
cadere, mentre lui le faceva fare una giravolta, senza avere alcuna intenzione
di riportarla con i piedi per terra. Sentiva le spalle esili allegramente scombussolate
da quella scarica di gioia, e si sentì improvvisamente pieno di una felicità
frizzante e infantile, un solletico che gli dava le vertigini, e smise di capire
di chi fossero le risate. Riza si strinse a lui con più forza, perché
rischiava di scivolargli di mano, e appoggiò la testa sulla sua spalla.

Oh, love, is better than chocolate
Everyone here knows how to fight
Sentendo di non poter più riuscire a sorreggerla, la
fece sedere sul tavolo, ma perse l’equilibrio e rotolò su di lei. Riza
tentò di asciugarsi le lacrime, senza riuscire a smettere di ridacchiare.
Si guardò la camicia. Bagnata come quella del colonnello.
«E adesso come torno a casa, conciato così?» sussurrò
lui, ancora scosso.
Riza incurvò le labbra e gli appoggiò le piccole mani sull’ampio
petto.
«… restare… qui…?» le uscì, in un fruscio
sottile
«Cosa?» chiese Roy, avvicinando l’orecchio. Lei si schiarì
rumorosamente la gola
«Le ho chiesto se le va bene se resta a dormire qui!»
«Oh.» fece lui, interdetto. Si alzò dal tavolo.
«Eh.»

But it’s a long way down
«Suppongo sia l’unica alternativa…»
«Beh, sì… ci… stringeremo un po’, ma per una notte
potremmo anche… cavarcela.»
«Mhh…»
«Le consiglio di andare a farsi una doccia calda, prima di prendersi una
polmonite. Vado a prenderle delle asciugamani pulite.» disse, scendendo
a terra. Roy la ringraziò, rabbrividendo di freddo, e si lasciò
guidare verso il bagno.
«Ecco, e sono pure calde di termosifone. Gliele lascio qui sopra!»
e le appoggiò ordinatamente sulla lavatrice. Fermo sulla soglia, Roy
annuì educatamente, e la osservò uscire.
«Ah.» si ricordò, prima di chiudere la porta «Faccia
attenzione, l’acqua calda esce di colpo. E attento a non appendersi al portasapone
grande, che si spacca.»

It’s a long way down
«D’accordo.» la rassicurò, pronto a chiudere
la porta
«Aspetti, un’altra cosa, se vede che si muove qualcosa fra i panni sporchi…
quello è—»
Roy le indirizzò un sorriso dolcissimo, e prese a mormorarle sottovoce,
vicinissimo al suo viso.
«Hawkeye. Si rilassi. Sono un uomo grande e forte, e prometto di non demolirle
il bagno. E si cambi quella camicia, che non è inossidabile, e il raffreddore
lo prende anche lei…» e non diede tempo al cervello di Riza di reagire,
perché poggiò le labbra all’angolo della sua bocca, in maniera
così lieve che le sembro di averne recepito solo la sensazione.
Restò a fissarlo per un lungo, frastornato momento.

It’s a long way down to the place
Where we’ve started from
«Da brava, su.» scherzò, il suo respiro
sulle labbra. Le passò un dito sulla guancia e chiuse la porta.
La lasciò in preda a un forte bisogno di respirare.
Camminò meccanicamente fino alla camera da letto e si gettò sul
letto a braccia allargate, respirando il più profondamente possibile
nella speranza che il sangue smettesse di ronzarle in testa e che il cuore smettesse
di sfondarle la cassa toracica.
CRASH! STUMP!!
«B… Buraha?! Che diamine ci fai qui!? Nononononofeeeermoperfavorecadoooooo!»

Riza scattò a sedere. Ecco, lo sapeva. Aveva provato
ad avvertirlo. Buraha.
«No, aspettaaaa…»
SWIIIISH!
SKRATACRASH!

… e il suo ex-portasapone.
Si alzò in piedi e si apprestò ad andare a salvare il colonnello.
«Haaaaaaaaaaaawkeyeeeeeeeee, aiutoooooo…»
Da dietro la porta, lei rise, senza preoccuparsi di ferirlo.
Roy non faceva mai caso all’orgoglio, quando era in balia di se stesso e di
un cane.
«Arrivo, signore!»
«COME DIAVOLO SI CHIUDE L’ACQUAAAAAHHH!!! BRUCIAAAAAH!»
«Oh mio Dio… non… non si muova, sto entrando!»
«SANTO CIELO, SI SBRIGHI!»
Sospirò, coprendosi gli occhi con una mano e tirando giù la maniglia.
Sarebbe stata una nottata movimentata.
~

A/N 9 agosto 2006, ore 2:47. Buon secondo compleanno, archivio
^.^! Beh, la canzone è Ice Cream di Sarah McLachlan, e la fic
è ancora più sconclusionata di The Sweetest Thing, forse
ho cercato di darle troppi toni diversi. Sta di fatto che è la mia seconda
crack!RoyAi in meno di una settimana, e, oh, è così esilarante
fare queste cose. Fondamentalmente, i concetti-chiave che segue sono quelli
delle altre due fics: il fatto che Riza stia, per Roy, su un piedistallo, o
– cosa più importante – il fatto che a Riza piaccia davvero
stare in sua compagnia. Il finale? Sì XD, non è una vostra impressione:
fa una brusca virata dall’atmosfera seria che minacciava di prendere e si riallaccia
più a quella dell’inizio. Volete sapere la verità? L’ultima scena
non è venuta fuori se non all’ultimo secondo. E diavolo, va bene così
X°D. Una cosa che non sopporto è che il gelato è nominato
nella fic come nella canzone, e a brevissima distanza, oltretutto, mentre io
ho piazzato il verso lì perché i pensieri coincidessero fra loro…
Il gelato era l’idea iniziale. La canzone è venuta dopo è_é”.
Dedicata alla mia vera mamma ^_^ che legge le mie RoyAi e le apprezza come se fosse nel fandom XD!
Juuhachi Go.

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