Maya1

In un tempo lontano, Kumara non avrebbe mai pensato che la seta lussuosa con cui il suo signore soleva drappeggiarsi avesse potuto, un giorno, finire in mille briciole di fuoco. Prima di deporre il sari fra le braccia della strega, il fido servitore ne sfiorò la liscia superficie per un’ultima volta, con la religiosa delicatezza di chi tocca una reliquia con il terrore di sfaldarla in mille pezzi. Fra i fili della stoffa – lo sentiva con chiarezza – era rimasto intessuto anche il suo profumo, un fioco sentore di rose e di spezie che aveva avvolto l’intero Ashura-jou ininterrottamente. Come poter immaginarne l’assenza adesso, quando nei suoi appartamenti tutto era rimasto come quando Ashura-ou era uscito una volta per tutte?
Nel profondo, Kumara sapeva di sentirsi profondamente oltraggiato.
Nella malinconia del suo sire non aveva mai letto alcuna avvisaglia della tragedia che si stava per consumare: era stato bravo a celare le proprie emozioni, chiudendo quel peso insopportabile sotto magnifici strati di gioielli e velluto, di danze e banchetti, di flauti e di cimbali, di spade e di guerre. E forse, chissà, era altrettanto probabile che, semmai avesse deciso di confessargliene l’avvento, lui si sarebbe rifiutato di credergli.
Ashura-ou era un essere celeste che andava guardato da lontano. E così sarebbe stato per sempre, si disse. Nel frattempo, realizzò, tre persone avevano bruciato la vita in un anelito impossibile.
Due si erano corrisposti, inseguiti, osteggiati; l’unico abbraccio che avevano rimediato l’avevano ottenuto seppellendo le proprie ceneri in un’urna sola.
E Kumara era ancora lì. Nessun rogo avrebbe smesso di ardere, per lui, né avrebbe ottenuto qualche compenso.
Yuuko osservò con controllata attenzione le lacrime che, all’improvviso, presero a sgorgargli dalle ciglia.
«È ora.» gli disse, senza scomporre un muscolo del viso. Per quanto postumo, Ashura-ou restava un cliente – farsi prendere dall’empatia nei confronti di chi piangeva per lui era fuorviante e pericoloso.
Kumara sbatté le palpebre per dissipare le lacrime bollenti che gli annebbiavano la vista. La sontuosa stoffa ricamata si agitava nell’immenso braciere acceso come un animale in agonia, e Yuuko vi versava manciate di polveri magiche e di fiori secchi, fino a che la stanza non fu avvolta da un soffocante aroma di antico che non aveva mai sentito altrove.
Con le mani che gli tremavano, Kumara si avvicino alla teca di vetro dentro la quale, su un letto di fiori, giaceva quel che rimaneva del sovrano.
Non era molto, a dire il vero: ciocche di lunghi, lustri capelli scuri, brandelli d’abiti e frammenti d’ossa. Ashura-ou si era distrutto con una perizia devastante, senza neppure il desiderio di essere compianto dal popolo che l’aveva tanto amato. Sollevato il vetro, racchiuse i resti in una pezza di lino e si avvicinò alla pira, gli occhi fissi su quelli felini della maga, dal cui abito nero partiva un ampio e disordinato manto di veli violacei che sembravano abbracciarla ad ogni suo movimento. Accanto a lei, il feretro di Yasha-ou, nel quale il re riposava con una maschera di ceramica poggiata sul viso – di nascosto, chi aveva potuto seppellirlo l’aveva pianto e incensato, ad insaputa del mondo. Tutto, tranne Ashura, l’unica parte di mondo che effettivamente contasse.
«Ci sono alcuni desideri che corrodono il cuore, Kumara. Su quelli, neanch’io ho voce in capitolo.».
«Sembra che per me sia lo stesso, in tutta sincerità.» ribatté lui, guardando distrattamente Maru e Moro addormentate fuori dalla barriera che Yuuko aveva eretto per loro.
«Ashura-ou ripeteva sempre la stessa cosa.» gli fece notare la strega, dopo un intermezzo di cupo silenzio «Che i fili del cuore non si tirano, si assecondano.»
«E spesso assecondarli richiede molta più forza di quel che mostriamo. Non è così?».
Yuuko alzò le spalle con aria misteriosa, facendo ondeggiare i lunghi capelli alla luce delle candele.
Kumara si irrigidì: le risposte che voleva non si accontentavano di un simile espediente.
«Eppure se n’è liberato di quei fili. Ha chiesto di salire in alto, fra gli dei, insieme a lui. Insieme a lui.» rettificò l’attimo dopo, sputando le parole fra i denti, animato da una rabbia di cui, forse, non aveva compreso la vastità, fino a quel momento.
«Ma gli dei hanno meno scelta degli esseri umani.».2
«Sua Maestà aveva fatto un’unica scelta già dal principio.».
E non ero io.
«In fondo, è questione di sapere quel che si vuole dalla vita. Farlo ci costa un sacco di maschere.» sentenziò Yuuko, alzando la maschera funeraria dal volto dell’ultimo re degli Yasha.
La mummificazione e il tempo avevano fatto il loro lavoro: quelle fattezze non appartenevano più a un vivo, né tantomeno a un morto, eppure i segni della malattia che avevano sopportato si mostravano chiari al riverbero della pira.
Soffiò sul palmo della propria mano bianca, e l’aria magica dei suoi polmoni si attorcigliò attorno a quelle reliquie in una carezza che le trasformò in polvere. Come una tempesta, la trascinò nell’abbraccio feroce delle fiamme in cui qualche granello di Ashura-ou dormiva rannicchiato in un fazzoletto di lino.
Kumara, meravigliato, vide il rogo reagire, ingrossandosi fieramente, come in un sollevato, sovrumano impeto di gioia.
Suo malgrado, sorrise: non era strano, dato che Ashura-ou ne era il vero fulcro.
Stette immobile ad osservare la strega che si muoveva intorno a lui, accendendo un cerchio di bastoncini d’incenso tutt’attorno. Riccioli di odoroso fumo azzurrino si alzarono in un labile intreccio. Al di fuori della barriera, le due diafane bambine si tesero ad allacciarle ai polsi e alle caviglie dei nastri a cui, scorse Kumara, erano cuciti sonori grappoli di campanelli. Lui guardò la pila di abiti a monili di cui era circondato – tutte cose su cui restava un brandello invisibile del suo signore, tutte prove tangibili della sua esistenza, tutte permeate del suo profumo dolce e sottile.
Yuuko danzava a piedi nudi intorno al fuoco, disegnando lucenti pennellate fra la polvere, scandendo un’arcana melodia col vibrare di ogni singolo gesto, intrecciata nella sua soffice cortina di velo.
Fece un cenno verso di lui, e Kumara, pervaso da un commosso stordimento, sollevò il primo di quei sari, e il primo di quei fermagli, per darli in pasto alla pira, come in precedenza.
«Eravate già un dio!» singhiozzò, impotente, coperto dal rombo delle fiamme, sbocciate in un gonfio fiore di scintille, come se quei pezzi di stoffa le avessero fatte urlare. Quando, di nuovo, ripeté meccanicamente il gesto più e più volte, la voce vellutata e profonda di Yuuko si dispiegò nell’aria in una lingua più antica dell’uomo, fatta di acredine e miele. Da fuori, le due bambine le fecero eco, e la loro, di voce, pareva fatta di mille altre.
Yuuko si muoveva come un vortice inquieto, quasi una visione, catturando le faville con il velo e gli spiriti con la voce, confondendo i piani del mondo, i livelli del suo cuore. Chiuse gli occhi per un attimo: il sale del pianto e la frenesia delle immagini li avevano bruciati. Riaprendoli su una nota intensa di quell’incantesimo, le guance ancora striate di lacrime, fu certo di non sbagliarsi: laggiù, sul rogo, la pallida ombra di una mano, fine ed elegante, ne aveva afferrata un’altra, massiccia ed affettuosa contro quelle dita sottili.

Poggiate i vostri occhi su di me, Sire, su chi dalla cenere non si rialzerà più, almeno così, almeno adesso…

La magia sollevò le loro polveri mortali dalle fiamme, un soffio di vento le condusse al loro sepolcro.
Tutti i veli di Yuuko s’incendiarono all’istante.


15 ottobre 2008, 13:31.


Note:
1 Maya, nell'Induismo, è l'illusione della realtà sensibile. Il velo di Maya - il velo delle illusioni, appunto - è quello che il saggio deve oltrepassare per congiungere il suo piccolo, limitato intelletto di uomo a quello assoluto della verità. [NdA]
2 Nella religione induista è infatti possibile che l'uomo si reincarni in una divinità o semi-divinità - come, al contrario, può accadere che si reincarni in un animale - ma ognuna di queste forme è comunque inferiore a quella umana, in quanto l'uomo è l'unico in grado di esercitare la facoltà della libera scelta fra bene e male e di liberarsi, così, dal ciclo senza progresso delle reincarnazioni, il samsàra. Chiaramente, la nostra Yuuko, che di nette distinzione fra ciò che è moralmente "bene" o "male" non ne ha mai fatte, almeno a livello del singolo individuo - si rifà a questo discorso in maniera un po' più generale. [NdA]

Juuhachi Go.