In un tempo lontano,
Kumara non avrebbe mai pensato che la seta lussuosa con cui il suo signore soleva
drappeggiarsi avesse potuto, un giorno, finire in mille briciole di fuoco. Prima
di deporre il sari fra le braccia della strega, il fido servitore ne sfiorò
la liscia superficie per un’ultima volta, con la religiosa delicatezza
di chi tocca una reliquia con il terrore di sfaldarla in mille pezzi. Fra i
fili della stoffa – lo sentiva con chiarezza – era rimasto intessuto
anche il suo profumo, un fioco sentore di rose e di spezie che aveva avvolto
l’intero Ashura-jou ininterrottamente. Come poter immaginarne l’assenza
adesso, quando nei suoi appartamenti tutto era rimasto come quando Ashura-ou
era uscito una volta per tutte?
Nel profondo, Kumara sapeva di sentirsi profondamente oltraggiato.
Nella malinconia del suo sire non aveva mai letto alcuna avvisaglia della tragedia
che si stava per consumare: era stato bravo a celare le proprie emozioni, chiudendo
quel peso insopportabile sotto magnifici strati di gioielli e velluto, di danze
e banchetti, di flauti e di cimbali, di spade e di guerre. E forse, chissà,
era altrettanto probabile che, semmai avesse deciso di confessargliene l’avvento,
lui si sarebbe rifiutato di credergli.
Ashura-ou era un essere celeste che andava guardato da lontano. E così
sarebbe stato per sempre, si disse. Nel frattempo, realizzò, tre persone
avevano bruciato la vita in un anelito impossibile.
Due si erano corrisposti, inseguiti, osteggiati; l’unico abbraccio che
avevano rimediato l’avevano ottenuto seppellendo le proprie ceneri in
un’urna sola.
E Kumara era ancora lì. Nessun rogo avrebbe smesso di ardere, per lui,
né avrebbe ottenuto qualche compenso.
Yuuko osservò con controllata attenzione le lacrime che, all’improvviso,
presero a sgorgargli dalle ciglia.
«È ora.» gli disse, senza scomporre un muscolo del viso.
Per quanto postumo, Ashura-ou restava un cliente – farsi prendere dall’empatia
nei confronti di chi piangeva per lui era fuorviante e pericoloso.
Kumara sbatté le palpebre per dissipare le lacrime bollenti che gli annebbiavano
la vista. La sontuosa stoffa ricamata si agitava nell’immenso braciere
acceso come un animale in agonia, e Yuuko vi versava manciate di polveri magiche
e di fiori secchi, fino a che la stanza non fu avvolta da un soffocante aroma
di antico che non aveva mai sentito altrove.
Con le mani che gli tremavano, Kumara si avvicino alla teca di vetro dentro
la quale, su un letto di fiori, giaceva quel che rimaneva del sovrano.
Non era molto, a dire il vero: ciocche di lunghi, lustri capelli scuri, brandelli
d’abiti e frammenti d’ossa. Ashura-ou si era distrutto con una perizia
devastante, senza neppure il desiderio di essere compianto dal popolo che l’aveva
tanto amato. Sollevato il vetro, racchiuse i resti in una pezza di lino e si
avvicinò alla pira, gli occhi fissi su quelli felini della maga, dal
cui abito nero partiva un ampio e disordinato manto di veli violacei che sembravano
abbracciarla ad ogni suo movimento. Accanto a lei, il feretro di Yasha-ou, nel
quale il re riposava con una maschera di ceramica poggiata sul viso –
di nascosto, chi aveva potuto seppellirlo l’aveva pianto e incensato,
ad insaputa del mondo. Tutto, tranne Ashura, l’unica parte di mondo che
effettivamente contasse.
«Ci sono alcuni desideri che corrodono il cuore, Kumara. Su quelli, neanch’io
ho voce in capitolo.».
«Sembra che per me sia lo stesso, in tutta sincerità.» ribatté
lui, guardando distrattamente Maru e Moro addormentate fuori dalla barriera
che Yuuko aveva eretto per loro.
«Ashura-ou ripeteva sempre la stessa cosa.» gli fece notare la strega,
dopo un intermezzo di cupo silenzio «Che i fili del cuore non si tirano,
si assecondano.»
«E spesso assecondarli richiede molta più forza di quel che mostriamo.
Non è così?».
Yuuko alzò le spalle con aria misteriosa, facendo ondeggiare i lunghi
capelli alla luce delle candele.
Kumara si irrigidì: le risposte che voleva non si accontentavano di un
simile espediente.
«Eppure se n’è liberato di quei fili. Ha chiesto di salire
in alto, fra gli dei, insieme a lui. Insieme a lui.» rettificò
l’attimo dopo, sputando le parole fra i denti, animato da una rabbia di
cui, forse, non aveva compreso la vastità, fino a quel momento.
«Ma gli dei hanno meno scelta degli esseri umani.».2
«Sua Maestà aveva fatto un’unica scelta già dal principio.».
E non ero io.
«In fondo, è questione di sapere quel che si vuole dalla vita.
Farlo ci costa un sacco di maschere.» sentenziò Yuuko, alzando
la maschera funeraria dal volto dell’ultimo re degli Yasha.
La mummificazione e il tempo avevano fatto il loro lavoro: quelle fattezze non
appartenevano più a un vivo, né tantomeno a un morto, eppure i
segni della malattia che avevano sopportato si mostravano chiari al riverbero
della pira.
Soffiò sul palmo della propria mano bianca, e l’aria magica dei
suoi polmoni si attorcigliò attorno a quelle reliquie in una carezza
che le trasformò in polvere. Come una tempesta, la trascinò nell’abbraccio
feroce delle fiamme in cui qualche granello di Ashura-ou dormiva rannicchiato
in un fazzoletto di lino.
Kumara, meravigliato, vide il rogo reagire, ingrossandosi fieramente, come in
un sollevato, sovrumano impeto di gioia.
Suo malgrado, sorrise: non era strano, dato che Ashura-ou ne era il vero fulcro.
Stette immobile ad osservare la strega che si muoveva intorno a lui, accendendo
un cerchio di bastoncini d’incenso tutt’attorno. Riccioli di odoroso
fumo azzurrino si alzarono in un labile intreccio. Al di fuori della barriera,
le due diafane bambine si tesero ad allacciarle ai polsi e alle caviglie dei
nastri a cui, scorse Kumara, erano cuciti sonori grappoli di campanelli. Lui
guardò la pila di abiti a monili di cui era circondato – tutte
cose su cui restava un brandello invisibile del suo signore, tutte prove tangibili
della sua esistenza, tutte permeate del suo profumo dolce e sottile.
Yuuko danzava a piedi nudi intorno al fuoco, disegnando lucenti pennellate fra
la polvere, scandendo un’arcana melodia col vibrare di ogni singolo gesto,
intrecciata nella sua soffice cortina di velo.
Fece un cenno verso di lui, e Kumara, pervaso da un commosso stordimento, sollevò
il primo di quei sari, e il primo di quei fermagli, per darli in pasto alla
pira, come in precedenza.
«Eravate già un dio!» singhiozzò, impotente, coperto
dal rombo delle fiamme, sbocciate in un gonfio fiore di scintille, come se quei
pezzi di stoffa le avessero fatte urlare. Quando, di nuovo, ripeté meccanicamente
il gesto più e più volte, la voce vellutata e profonda di Yuuko
si dispiegò nell’aria in una lingua più antica dell’uomo,
fatta di acredine e miele. Da fuori, le due bambine le fecero eco, e la loro,
di voce, pareva fatta di mille altre.
Yuuko si muoveva come un vortice inquieto, quasi una visione, catturando le
faville con il velo e gli spiriti con la voce, confondendo i piani del mondo,
i livelli del suo cuore. Chiuse gli occhi per un attimo: il sale del pianto
e la frenesia delle immagini li avevano bruciati. Riaprendoli su una nota intensa
di quell’incantesimo, le guance ancora striate di lacrime, fu certo di
non sbagliarsi: laggiù, sul rogo, la pallida ombra di una mano, fine
ed elegante, ne aveva afferrata un’altra, massiccia ed affettuosa contro
quelle dita sottili.
Poggiate i vostri occhi su di me, Sire, su chi dalla cenere non si rialzerà più, almeno così, almeno adesso…
La magia sollevò
le loro polveri mortali dalle fiamme, un soffio di vento le condusse al loro
sepolcro.
Tutti i veli di Yuuko s’incendiarono all’istante.
15 ottobre 2008, 13:31.
Note:
1 Maya, nell'Induismo, è l'illusione della
realtà sensibile. Il velo di Maya - il velo delle illusioni, appunto - è quello
che il saggio deve oltrepassare per congiungere il suo piccolo, limitato intelletto
di uomo a quello assoluto della verità. [NdA]
2 Nella religione induista è infatti possibile che
l'uomo si reincarni in una divinità o semi-divinità - come, al contrario, può
accadere che si reincarni in un animale - ma ognuna di queste forme è comunque
inferiore a quella umana, in quanto l'uomo è l'unico in grado di esercitare
la facoltà della libera scelta fra bene e male e di liberarsi, così, dal ciclo
senza progresso delle reincarnazioni, il samsàra. Chiaramente, la nostra
Yuuko, che di nette distinzione fra ciò che è moralmente "bene" o "male" non
ne ha mai fatte, almeno a livello del singolo individuo - si rifà a questo discorso
in maniera un po' più generale. [NdA]