We're made of stars

la grama storia di un delirio d'ufficio

II.

Ashe s’immergeva in bianco e nero in splendide fontane ricavate da pozzi trecenteschi, le gambe avvolte in fini strati di chiara mussola ricamata, la limpida sensualità del suo sguardo che si aggrappava a quello dello spettatore senza alcuna intenzione di lasciarlo andare.
Inutile riferire del suo successo alla cena, durante la quale modella e direttore, l’una elegantemente appoggiata al braccio dell’altro, si profusero in sorrisi di ringraziamento a dir poco raggianti.
In realtà, qualche frazione nemmeno tanto inconscia di Basch si stava strappando i capelli in un atto di disperazione senza cerimonie, perché non sapeva quanto ancora avrebbe potuto protrarsi tutto quell’idillio.

*

Quando la prospettiva del contratto Ondore era tutto un ammasso di costosi lustrini in data 2006, Basch aveva festeggiato a modo suo, dato che Noah aveva abbandonato la sua facciata di uomo per sbronzarsi e andare ad accompagnare Vaan – sì, l’addetto alle pulizie – a pisciare allegramente per fontane.
Ed era ormai cosa nota che “festeggiare a modo suo” significava necessariamente farlo nelle lenzuola di seta color avorio che aveva regalato ad Ashe a Natale, con le sue mani ad accarezzargli la schiena e il suo bacino che schiacciava il suo, la curva soffice e lucente delle sue labbra che si faceva coccolare e mordicchiare mentre Basch scivolava in lei con un sospiro.
«Oh, Ba—Basch?»
Ashe inarcò un sopracciglio.
«Cazzo» sillabò.
«Beh, sì» lui sottolineò l’ovvietà issandosi sui cuscini.
«No, intendo… Cazzo, Basch, si è sfilato.»
«Oddio. Dov'è adesso?»
«Non lo so, è—merda.»
«Cosa?!»
«È rimasto dentro!»
«Gesù, che facciamo?»
Silenzio.
«Provo a riprenderlo.»
«Basch.»
Di nuovo silenzio. E panico.
«Basch, che schifo.»
«Non lo so,» lui alzò le braccia, spazientito «Vuoi rimanere incellofanata?»

*

«Basch?» sussurrò Ashe, stringendogli meglio il nodo della cravatta – perché Basch aveva l’abitudine di attorcigliarsela tipo cappio, ma Noah la portava tipo foulard, il che salvava spesso il suo gemello dalla morte, ma lo rendeva praticamente un camionista in ghingheri.
«Devo dirti una cosa.»
«… Una cravatta non è un medaglione?»
«A parte questo…» bisbigliò, tirandolo per il polsino della camicia in un frenetico capitombolare di tacchi a spillo «Ti ricordi della sera in cui Noah è andato con Vaan a marcare il territorio per fontane?»
«La fontana non la ricordo, ma ricordo quando Noah è tornato a casa blaterando di Giudici Nonsocosa. Gli ho retto la testa, ma gli ho augurato di fare la fine di Bon Scott» borbottò Basch, ancora scottato dal ricordino umiliante che aveva seguito il suo ritorno a casa. Perché lo sapeva, che Vaan era decisamente troppo per qualunque essere umano tranne Noah.
Ashe lo degnò di un’occhiata contrariata, dato che lei ricordava la serata sì, per quello e – fortunatamente – altri motivi.
«Beh, ecco, temo dovresti ricordare un altro dettaglio.»
Lui inarcò un sopracciglio.
«Presente il cellophan?»
«Difficile dimenticare» asserì il direttore con solerzia.
«Credo che fosse bucato.»
Farsi trascinare semisvenuto dalla propria top model di punta, nonché fidanzata, in equilibrio sui tacchi a spillo al meeting col team di Donatella Versace era decisamente un pessimo biglietto da visita.

*

A pranzo coi colleghi – poco importava se buona parte di loro conoscesse il colore del fiocco che aveva appuntato al collo in prima Elementare - Basch non si sbottonava mai, finiva il panino in quattro morsi e il caffè in un sorso solo, il che fece pensare a Vossler che, vivaddio, lui e Noah dovevano aver litigato come due bestie, dato che Basch guardava il tramezzino al tonno nel fazzoletto neanche fosse stato l’incarnazione ittica della Madonna di Fatima.
«… Ti ha di nuovo dato dello stempiato?» indagò Vossler con aria rassegnata, sollevando la forchetta dall’insalata di pinoli che lo osservava con aria assolutamente poco commestibile.
Basch arricciò le labbra con aria confusa, prima di captare che l’amico aveva toppato alla grande.
«Ma chi, Noah? No, mio Dio, l’ultima volta che ci ha provato gli ho quasi tagliato il naso col tagliacarte!»
«Tagliacarte che io ho dovuto toglierti di mano per evitarti vent’anni e rotti di galera…»
«… e che non solo era d’argento, ma era pure tuo, che pensi, che non ti conosca?»
«Tsk, sempre a girare la pizza, tu, eh?» brontolò il capufficio, voltando la testa in un gesto indignato.
«Non è vero! È lui quello che rompe le palle all’universo mondo da quando è nato, io rimetto solamente a posto i suoi casini!» sindacò Basch, contrariato, con un pugno sul tramezzino – che defunse invano.
Vossler si accese una sigaretta con indolenza – il potere lo poneva al disopra dei limiti del cartello, secondo la sua logica – e soffiò via dense volute di fumo azzurro.
«Seriamente, Basch, a volte penso che dovresti staccarti dalle sue sottane» disse, in tono misurato, portandosi un bicchiere d’acqua gassata alle labbra. In quel frangente di silenzio, l’immagine suscitata lasciò Basch in balia di un terrore senza precedenti. Ora era certo del fatto che a loro due non venisse servito lo stesso caffè. Decisamente doveva fare due chiacchiere con gli inservienti.
«Beh, non è proprio dalle sue sottane che dovrei staccarmi…» brontolò a mezza voce, e non si accertò che Vossler avesse davvero finito di bere.
Gli rispose un ribollio con tanto di punto interrogativo.
«È solo che Ashe è incinta.»
«Incinta?!» soffocò Vossler, zampillando acqua frizzante dalle narici.
«Mh» mugugnò Basch.
«Ma col tagliacarte le palle dovevi tagliarti!» e l’anatema risuonò epico e cavernoso attraverso tutto il piano bar.

*

«Credevo di essere io il coglione, fra noi due!»
«Beh, sorpresa!» berciò Basch, allargando le braccia verso suo fratello, imbufalito e spalmato sull’arco della scrivania come un’ape incazzata, ammesso che le api s’incazzassero.
«Nei nostri progetti futuri non c’è una linea premaman, e tu dovevi proprio metterci cazzo, no?»
«Noah, per favore, non parlare come un uomo responsabile! Mi stai facendo paura!»
«Ma io ti—» Noah digrignò i denti e fece per saltargli addosso in una pioggia di fogli. L’avrebbe fatto se Vossler non fosse entrato, con le vene del collo gonfie e la cravatta a pallini che sembrava sfarfallarci sopra.
«No, Noah, in nome di tanti anni di onorata amicizia, lascia che lo faccia io!»
«Non sei stato assunto per reprimere i nostri istinti bestiali?!»
«Nel contratto non si parlava di reprimere i miei!»

*

«Comincio a pensare che siate troppo vecchi per dirigere questa rivista come se fosse aspiranti wrestler, sai?» lo riprese Ashe in tono di vago rimprovero, mentre stringeva il fazzoletto coi cubetti di ghiaccio sul bernoccolo del povero Basch.
«Vorrei solo avere un po’ di tempo per tornare in palestra, almeno morirei con onore assestando cazzotti, e non sbattendo contro lo spigolo di una scrivania!»
«Al posto tuo, comincerei a prepararmi un piano di difesa che ti salvi da Balthier… Non sarà contento di sapere che gli salteranno i servizi fotografici dei prossimi sette me—»
«Sette mesi?»
Prima di voltarsi, Ashe strinse le labbra. Allo stesso modo, prima di propendere per un modello di suicidio tarantiniano, si armò di un largo sorriso.
«Ehm. Ciao, Balthier.»
«Dico io, siamo nel 2006, non lo sapete che esistono dei deliziosi cappuccetti multigusto che si chiamano preservativi?» borbottò, stringendo meglio la tracolla piena di vecchi negativi che gli stava slogando la spalla.
«Sì, Balthier, grazie degli auguri, sono contento dell’idea di diventare papà» bofonchiò Basch, velenoso.
«Prego, papino, adesso che facciamo, un bel servizio tu, lei e il pargolo nel marsupio, a partire dal prossimo mese?»
«… E comunque, non è colpa mia se l’ho infilato male…» mugugnò lui.
«Basch!»
«No, Ashe, non ce l’avevo con te…»
«Te l’hanno mai detto che tu e tuo fratello siete davvero identici?» domandò Balthier, con sarcastica esasperazione.
«Sì, io» rispose Ashe, sconsolata.
«Ah, sì?» il fotografo inarcò un sopracciglio in un guizzo di interesse «E non dirmi che ogni tanto hai—»
«Balthier, per favore!»
I tre si concessero un attimo di silenzio abbastanza risentito, durante il quale Basch afferrò la Bic sul piano della propria scrivania per mordicchiarla. Balthier, nel mentre, guardava la sua più remunerativa fonte di guadagno come se questa l’avesse pugnalato alle spalle.
«Dio, non voglio sapere più nulla del tuo girovita!»
«Ho una spillatrice in mano, Balthier, e non ho per niente paura di usarla» replicò Ashe, serafica.
Basch provvide a sfilargliela dalle dita.
«Stavo pensando che alcuni degli impegni dei prossimi mesi li possiamo benissimo spostare ad ora…» rifletté, giocherellando con il taglio del foglio su cui era stata accuratamente stampata una sfilza di appuntamenti.
«Mh?» Balthier sporse il collo con nonchalance, mentre il direttore ne sottolineava uno con un evidenziatore.
Nella frazione di tempo che gli fu utile a sollevare lo sguardo dal foglio al viso di Basch, il fotografo passò dall’indifferenza al disgusto con notevoli capacità istrioniche.
«Hai un duecentotrenta stilisti stipati in una pagina sola, in Verdana 5pt. A questo punto non so se tacciarti di mancanza di buongusto o di mancanza di diottrie.»
«Con la differenza che la seconda è una realtà inappellabile» rispose Basch con la calma dell’uomo dotato del potere, in quell’ufficio.
Ashe, visibilmente incapace di sopportare oltre, alzò gli occhi al cielo.

*

«Ma ci rendiamo conto? Al-Cid Margrace! Io saprei disegnarla meglio, una linea Primavera-Estate!» rantolò Rasler, sulla soglia dell’ufficio di Vossler, agitando con trasporto i cartamodelli che custodiva da tempo immemore nella tasca interna della salopette.
Vossler sbuffò, lanciandogli l’occhiata che, nell’arco di tutta la giornata, aveva gettato solo su Basch, quando aveva trovato gli inserti delle copertine del prossimo numero che facevano compagnia alle cicche di sigaretta nel vaso del cactus.
«Rasler, per favore» si lamentò il capufficio, con le mani fra i capelli.
Il ragazzino alzò le mani in segno di resa.
«Vado a prenderle un caffè.»
Vossler gli fece segno di star fermo.
«Hai idea di cosa succederà quando qualcuno dovrà dire a quel deficiente del fratello che Basch dovrà sposarla, quella povera donna?»
Prendendo definitivamente nota della vena di follia intrinseca che correva nei cervelli siamesi degli zii, Rasler si limitò a scuotere la testa, guardandolo con una pena a dir poco infinita.
«Vado a prenderle una camomilla.»
Quando scomparve alla volta del distributore automatico, Vossler appoggiò la fronte sulla scrivania.
«Signore Iddio, mi verrà l’ulcera. E avevo pure due biglietti per farmi le vacanze a Balfonheim!»

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A/N 19 maggio 2009, 18:54. È ormai assodato che, quando mi faccio prendere da questa fanfic, perdo ogni capacità di controllo della mia e, soprattutto, della loro dignità *ama e abbraccia tutto lo scapestrato cast*. Beh, che dire, l’incentivo per riprenderla me l’ha dato Nausicaa, insieme alla liz, con una meravigliosa pedata che mi fa presagire che riuscirò ad arrivare alla fine *____*!

Non vedo l’ora di scrivere il resto :)!

Juuhachi Go.