[Wuthering Heights] Some hard stars already yellow the heavens

Titolo: Some hard stars already yellow the heavens
Fandom: Wuthering Heights
Personaggi: Catherine Linton, Heathcliff
Parte: 1/1
Rating: NC17
Parole: 449 (Word 2019)
Note: per il Writober 2020; angst, NSFW, non-con pesante

Some hard stars already yellow the heavens
[Writober 2020] #02 – Cerchio

L’anello era una semplice striscia di rame che Mr Heathcliff in persona aveva battuto su un’incudine.
Quando Linton era morto, Catherine avrebbe voluto seppellire pure quello con rabbia, smuovendo la terra nera del cimitero, ma Mr Heathcliff non l’aveva fatta scendere fino a Gimmerton, perché se la vedeva già scappare a piedi nudi fra i campi.
Si era accontentata dell’orto, scavando a mani nude una tomba da scarafaggio e piantandoci l’anello come un seme. L’aveva innaffiato di sputi ed invettive, per poi tornare in casa passandosi le mani sul grembiule, le unghie piene di terra.
Dalla finestra della cucina, sa individuare ancora il mucchietto di terra, a dispetto dell’erba novella che adesso lo ricopre, e se lo guarda di tanto in tanto, come un amuleto che non può portare attorno al collo.
In silenzio, pulendosi rumorosamente il naso di tanto in tanto, coi capelli tutti scarmigliati attorno alla faccia, affila il coltello e comincia a scuoiare una grossa lepre per cena, incidendole il ventre in un gesto secco. Due lacrime umiliate le scendono lungo il solco del naso. È solo più tardi, mentre la lepre sobbolle, glabra e a pezzi, nello stufato, che Catherine può ammettere a se stessa di piangere perché lo ha fatto col gesto sicuro e senza pensiero di una servetta.
La giornata si allunga in una lista infinita di fatica, ha fine soltanto quando, dal bitorzolo del materasso, si bagna due dita di saliva per chiuderle sullo stoppino della candela.
Chiude due occhi nel buio, il sudore che si fa acre mentre spera nella notte con l’orecchio teso, ma deve tenersi un gemito sotto la lingua, come un confetto di bile, quando Mr Heathcliff apre la porta, senza darsi neppure cura di non far rumore, abbassandosi i calzoni.
Catherine non grida, perché una mano le chiude la bocca con tutto il peso del corpo, mentre l’altra le tira tutti i capelli come fossero una grossa matassa di lana. Tira e tira ancora, come a guidare il giogo di un bue, tenendole aperte le gambe, e qualche ciocca si strappa dallo scalpo, striata di sangue. Guarda fisso tutto il tempo negli occhi che, pare, siano tutti di sua madre, una smorfia feroce sulla faccia aperta di sghimbescio nell’ombra. Quando ha finito, la lancia sul cuscino come uno straccio informe, e viene sul materasso lasciandosi dietro una grossa macchia giallastra.
Si volta richiudendosi i calzoni.
Catherine si passa un lembo della camicia da notte fra le gambe, mugugnando improperi, ma non ha il coraggio di guardare la stoffa punteggiata di rosso.
Si raggomitola sul metto, la paglia che fora il cotone come un cumulo di aghi.
Pensa al canto del gallo e alla prima striscia di sole.

~

A/N 20 settembre 2020, ore 15:28. Sto barando, lo so XD, ma le vedrete comunque ad ottobre, quindi shush! Questa volevo scriverla da anni, pur se con diverse lunghezze e introspezioni, probabilmente ne vedrete qualche sostanziale rielaborazione nel corso degli anni. La brevità e la vaghezza hanno anche a che fare col fatto che non rileggo Wuthering Heights da parecchi anni, Il titolo è un verso di The Manor Garden di Sylvia Plath.

Juuhachi Go.

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