[RG Veda] Ain’t gonna rain anymore

Titolo: Ain’t gonna rain anymore
Fandom: RG Veda
Personaggi: Ten-ou, Hanranya, Kendappa-ou
Parte: 1/1
Rating: R
Parole: 792 (Word 2019)
Note: per il Writober 2020; gore, spoiler sul finale

Ain’t gonna rain anymore
[Writober 2020] #03 – Pagine

Attorno alla gola, Kendappa-ou ha un taglio talmente profondo da averle quasi reciso la testa dal collo – ora penzola da un lato come se la sua padrona fosse una bambola di stracci.
Ten-ou non è un topo di biblioteca per nulla, ma ammette a se stesso di sentirsi un mentecatto e un ladro, mentre scioglie la mano gelida, oramai calcificata su quella di Souma, e se la issa in spalla in un sacco di iuta, lontano dalla giungla fetida della Città Celeste in frantumi, come il carico di un macellaio di frodo. Quando la adagia al cospetto di Hanranya, sui lustri pavimenti della nuova Zenmi-jou, il suo pallore verdastro gli dà la misura di quanto Kendappa-ou sia lontana dal mondo dei vivi – le estremità cominciano a fermentare, annerite, sotto il bronzo istoriato dell’armatura.
«Maestà, avete perso il senno?» grida la hoshimi con voce strozzata. Grigio in viso, il nuovo imperatore si getta ai suoi piedi, baciandole l’orlo della veste.
«Vi imploro come il più umile dei servi, o voi, i cui santi occhi ciechi sanno scrutare tutti i segreti delle stelle… Ho letto a lungo di arcani prodigi che sono in grado di far accadere l’impossibile.»
Si umettò le labbra, esitando, e si frugò la tunica d’oro, in cerca di un cartiglio, scritto fitto fitto, giallo e verde di vecchiume.
«Se me la restituirete, nulla chiederò mai più, né a voi, né al Fato, né alle sfere celesti.»
Hanranya curvò la bocca in una lunga virgola di disappunto, avvolgendo l’incantesimo nelle dita.
«Chiedo a Vostra Maestà Imperiale di lasciarmi un giorno per studiare e riflettere, poiché come posso restituirvi ciò che non è mai stato vostro?»
Ma l’imperatore, che le aveva dato le spalle, già non l’udiva più.

*

Trascorse due lunghi giorni a lavare le spoglie di Jikokuten dell’Est col vino speziato e l’olio benedetto. L’imperatore fu convocato solo quando Hanranya poté allontanare il più possibile dalla stanza la putredine della morte e le sue impurità spirituali.
Ten-ou si era prodigato a mettere a punto ogni dettaglio per allontanare gli spiriti ingordi che sarebbero saliti come miasma fino al mondo dei vivi, e ancora più in alto, fino alla dimora degli dei. La stanza, infatti, era completamente nuova: imbiancata e stuccata di fresco, era pensata per ospitare un’Imperatrice con tutti gli onori, ed era sigillata da potenti incantesimi, intessuti in gran segreto solo dai più fidati discepoli della profetessa.
Nel riconoscere la sagoma ancora inerte della giovane, in quelle lenzuola che sapevano di lavanda, Ten-ou si sentì attraversare fin dentro lo stomaco da un lungo brivido: Hanranya l’aveva adagiata in una corolla di cuscini variopinti, ricamati di broccato d’argento e vestita di una tunica di mussola leggera. Le forme del suo corpo s’intravedevano nelle sue trasparenze e il capo le era stato ricucito con un filo d’oro, che luccicava alla gola come una lieve traccia di miele.
«Intrecciatele il collo di rose e di viole, poi accendete il più odoroso degli incensi, perché l’anima di Kendappa-ou possa aggrapparsi al suo filo, dopodiché non vi resterà che attendere.»
Come un topo attirato in una trappola, pensò l’imperatore, mentre, trapassato in punta di spillo dal senso di colpa, si apprestava ad obbedire masticandosi un labbro, ma fece presto a svanirgli dall’anima: riscoprì subito in quei gesti un entusiasmo disperato e febbrile, le mani tutte molli di sudore. Uscì dalle stanze e prese a passeggiare avanti e indietro come un padre ansioso.
Quando la voce di Hanranya si levò per chiamarlo, Ten-ou spalancò il portale di giada come fosse bambù, il cuore che gli sobbolliva nelle vene. Con la coda dell’occhio, intravide la sacerdotessa che, pallida, riponeva sulla testa i propri veli, allontanandosi a piccoli passi.
L’Imperatore non trovò voce per salutarla: ogni facoltà del suo corpo era paralizzata a contemplare Kendappa-ou.
Seduta morbidamente nel letto, l’incarnato roseo e trasparente di una ragazzina, fissava davanti a sé con i grandi occhi azzurri pieni d’una dolcezza forse un po’ vacua. Pieno fino all’orlo delle meraviglie di un così incredibile prodigio, Ten-ou si precipitò al suo capezzale inciampando nei sandali e prese la piccola mano nelle sue.
«Kendappa-ou!»
Non ebbe il tempo di aggiungere altro: la fanciulla spostò su di lui lo sguardo lucente, il sorriso che tremava appena, poi aprì bocca. Gli occhi del giovane imperatore rimasero fissi sull’ovale scuro ed infinito del suo grido.
«Souma… Souma…» continuava a ripetere, gemendo, in un lungo guaito d’oltretomba.

*

Le sue mani lasciarono sul portale due mezze pennellate di sangue.
Hanranya levò il capo in direzione del lavorio affranto del suo respiro, e Ten-ou abbassò il capo, quasi la sacerdotessa potesse vederlo: pensò di chiederle un panno, ma boccheggiò senza produrre alcun suono, e si pulì le mani sulla seta delle vesti.
Si separarono senza una parola.

~

A/N 4 ottobre 2020, ore 0:13. Con tredici minuti di ritardo sul 3 ottobre, mannaggiamme ;___;. Per assurda che sia, questa fanfic ha un retaggio molto più lontano di quel che lascerebbero presagire le sue ottocento sparute parole. Dieci-dodici anni fa, infatti, avevo cominciato una oneshot intitolata Primavera, mai conclusa e mai pubblicata, che, nelle mie intenzioni, sarebbe stata molto lunga, e di cui avevo anche scritto un bel pezzo. Narrava il regno di Ten-ou, con tutte le difficoltà e i rimpianti che il nuovo imperatore avrebbe potuto portarsi appresso. Non c’era necromanzia, né era tutto così orrorifico ed estremo, ma Ten-ou era roso di rimpianto per il suo amore per Kendappa-ou, con tutto che mai sarebbe stato ricambiato. Nel corso degli anni, mi ripromettevo, almeno ogni sei mesi, che l’avrei ripresa in mano e riscritta, ma mi sono dovuta arrendere nel constatare che avevo, come mio solito, dimenticato parte della trama e un bel pezzo del nucleo centrale. Non sapendo bene dove farla andare, ed essendomi persa parte del nucleo centrale, non ne sono mai venuta a capo, ma nulla mi vieta di gingillarmi un pochetto con Ten-ou imperatore, adesso che sono anziana ed incapace di scrivere esattamente come allora XDDDDD. Penso che una riproposizione di quel verse ve lo beccherete col prossimo prompt. Un’altra ficlet mai finita che avevo scritto fantasticava, oltretutto, di una Kendappa-ou sopravvissuta che si convinceva a sposarlo, ora che ci penso… si è salvato solo il titolo, che è questo, e viene da una cupissima canzone omonima di Nick Cave.

Juuhachi Go.

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