Titolo: Ain’t gonna rain anymore
Fandom: RG Veda
Personaggi: Ten-ou, Tamara
Parte: 1/1
Rating: PG13
Parole: 824 (Word 2019)
Note: per il Writober 2020; angst, un po’ di violenza, spoiler sul finale, sorella di Ain’t gonna rain anymore
Lazzaro
[Writober 2020] #04 – Girasole
La ferita al braccio aveva scoperto l’osso e pulsava sotto le bende sporche, ma lui non se ne curava: per giorni interi Ten-ou aveva guadato il pantano delle macerie in cerca di sopravvissuti, chiamando e chiamando fino a spellarsi la gola. Pioveva anche il giorno in cui aveva rinvenuto Tamara. S’era tramutata in un piccolo mammifero spaurito, le raffinate vesti di seta ridotte a una poltiglia di fango e sangue. Non appena lo vide, ancora in sella al pegaso che, ad ali spiegate, cercava di scrollarsi il diluvio di dosso, gli occhi le si illuminarono di un pianto quasi infantile.
«Mio principe!»
E tale doveva esserle sembrato in tutti i sensi, sporco e malconcio com’era, mentre scendeva zoppicando da cavallo, scivolando nel terreno viscido: il solo pensiero di aver trovato un essere umano di carne viva gli gonfiava il cuore di una gioia pazza ed esasperata, di vertigine leggera.
Senza pensarci, si aggrappò ai suoi quattro cenci e la strinse fra le braccia.
«Tamara, siete voi!» mormorò, in un pianto isterico, soffocando le parole contro la sua spalla. Senza belletto e senza fiori nei capelli, pareva quasi una bambina, e come una bambina si arrampicò nel suo abbraccio, singhiozzando furiosamente, con tutto il corpo.
«Cosa vi è accaduto, quando avete lasciato Zenmi-jou?» le chiese il principe, allontanandola da sé quel poco che bastava per interrogarla e per assicurarsi fosse tutta intera. Le tenne una mano sulla nuca, in un gesto d’intimità che mai si sarebbe sognato di compiere qualche gruzzolo di giorni prima.
Scaldata da quel gesto di conforto, Tamara cercò di darsi un contegno, passandosi una mano sulla faccia. Tirò rumorosamente su col naso: annaspava, la bocca un po’ storta e tremula dallo shock, in cerca delle parole; lo sforzo la faceva tremare come un uccellino fradicio, ma lei si lasciò lavare dallo scroscio dell’acqua, una nuvola di vapore che le si sollevava dalle labbra.
«Avevamo cercato rifugio nelle mie stanze, nel tentativo di scappare.»
Cominciò a battere i denti, ma neppure il loro rumore d’osso riusciva a coprire il tono monocorde della sua voce. Ten-ou riusciva quasi a vederle, le sue ancelle velate: una frotta di ragazzine terrorizzate e paonazze, con le ombre lunghe della morte già stampate in faccia, tutte fantasmi, nella voce della loro padrona.
«Ad un tratto, Ashura… lui…»
Per tutta la vita, non aveva visto che corde di liuto e tende di velluto: non conosceva parole per descrivere ciò che i suoi occhi avevano visto, e tutto rimase raggrumato in fondo alla gola, fino a diventare un altro pianto convulso.
Suo malgrado, Ten-ou arricciò in una smorfia tutta la faccia: si rese conto di non poter più soffrire lo stridore di pianti e lamenti.
«Non piangete più, Tamara» la supplicò, con un filo di voce, mentre le prendeva il viso fra tutte e due le mani. Striata di bianco e di nero, la ragazza abbandonò la guancia nel suo palmo, come se non avesse più forze.
«Siete viva! Siete viva!» sibilò il principe, quasi volesse destarla, ma Tamara annuì con aria assente, e solo allora fece caso alla ferita profonda e mal fasciata sul suo braccio. Ten-ou la nascose.
«Venite con me, siete al sicuro, adesso» le disse, un sorriso bugiardo tirato fino al pianto. Frastornata, Tamara passò un braccio dietro la sua schiena. Ten-ou vi si appoggiò barcollando: fu lei, quasi, ad issarlo di peso sul suo cavallo. La ragazza abbandonò contro di lui il proprio peso, un orecchio poggiato al centro delle sue scapole: persino l’ultimo sferzare di pioggia le sembrava un lusso e una dolcezza. Rise, ma il suono assomigliava più ad una specie di rantolo: per tutta la vita aveva sognato che gli occhi di Sua Altezza di posassero su di lei, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento erano gli occhi semiaperti di suo padre, maciullato in una pozza di sangue sul pavimento di marmo.
*
L’Imperatrice veste ogni giorno di seta gialla, passeggiando a testa ritta sotto i portici in fiore.
Attorno alla nuova Città Celeste cresce una foresta irta, in cui non filtra neppure un raggio di sole, grassa dei corpi consumati dal Grande Fuoco di Ashura.
Sua Maestà non si guarda mai attorno, né indietro: seguita da un crocchio di ancelle-pulcino, nuove di zecca, è sorda alle suppliche, agli inchini, ai pettegolezzi, incrostata di gioielli come un idolo di un tempo che non esiste più.
Dicono che l’imperatore si sia chiuso a chiave nelle sue stanze da oramai tre giorni. Non prende acqua o cibo e studia senza sosta vecchi testi da negromante: c’è chi insinua voglia resuscitare il suo amore perduto. Non si cura della sua sposa, che lo guarda come un fiore intento a cercare il sole, né si degna di farle visita nei suoi appartamenti: c’è chi dice assomigli sempre più a Sua Maestà Taishakuten. Solerte, Tamara provvede a far frustare i più insolenti, le dita inanellate incrociate con rabbia sul ventre vuoto.
~
A/N 4 ottobre 2020, ore 23:27. Continuo a guardarla da ogni lato, ma mi convince poco. Naturale tie-in di Ain’t gonna rain anymore, è anche lei un grumo di ceneri di una fanfiction mai finita. A differenza della sua controparte, però, questa temo verrà bruciata col fuoco e riscritta.