Titolo: Noir désir
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: Ashelia B’Nargin Dalmasca, Al-Cid Margrace
Parte: 1/1
Rating: NC17
Conteggio Parole: 2764 (LibreOffice)
Note: post-finale, nsfw
[liz!request] Ashe/Al-Cid – “Ho sentito che a Rozaria siete bravissimi in cucina.” “Non solo lì, mia cara…”
È tutta una questione di politica.
Gli occhi di Al-Cid scintillano con divertita galanteria alla luce del candelabro, ma è pur sempre al cospetto di una regina – Ashelia B’nargin Dalmasca sa bene come gira il mondo, e il suo gira a suon di firme su un foglio. Vista da questa prospettiva, c’è da chiedersi quanto di effettivamente romantico sussista in una cena faccia a faccia come quella, con la luna che scende a illuminare languidamente l’argenteria, le coppe di cristallo e le loro labbra che, in una fitta schermaglia di complimenti, lusinghe e blandizie reciproche, stanno semplicemente discutendo su quanto Rozaria possa pretendere dai ritagli nel deserto dell’Ogir-Yensa che appartengono di fatto a Dalmasca.
In tutta sincerità, la profusione di convenevoli è fenomeno alquanto unilaterale, e spira tutto dal lato rozariano del tavolo. Se c’è una cosa che Al-Cid non ha tenuto in conto, è il fatto che lei sia una regina poco educata alla raffinata arte della civetteria: l’unico perdono che Ashe gli concede, nell’intimo dei propri pensieri, è proprio l’uso che il nobiluomo davanti a lei fa, di tutta quell’adulazione. È così marcata e venata di sottintesi che la giovane regina la prende come un garbato, consapevolissimo sberleffo alla galanteria stessa. Ha anche di che ringraziarlo – il gioco, posto in questi termini, le viene reso più semplice.
«Vostra Grazia avrà motivo di sentirsi amareggiato» prosegue, riempiendogli la coppa di vino «nel caso gli Urutan avranno da interferire con le direttive del contratto?»
La frase è anche più elaborata della sua abituale parlantina, ma la voce detiene il puntuale, asciutto controllo di sempre.
Al-Cid sospira soprapensiero, portandosi alle labbra il calice, con un cenno di ringraziamento.
«In qualità di vostro ammiratore, potrei limitarmi a trattenere l’amarezza nei recessi del mio spirito, milady… Altrettanto non potrei dire di imperatore ed esercito, che mai sono stati graziati di tutte le delizie di Dalmasca…»
«E suppongo che l’ultimo baluardo di galanteria rozariana non possa granché contro questa loro disposizione di carattere.»
Al-Cid allarga le braccia, un riso di franca soddisfazione ad incurvargli le labbra.
«Non finché lorsignori saranno occupati a tentare di ammazzarsi a vicenda… il mio savoir-faire ha i suoi invalicabili ostacoli, dopotutto…»
«Ammettere i limiti della propria grandezza equivale a minarne la base…» sorride lei, con una vena di ironia.
«Vostra Maestà non ha preso in alcuna considerazione il fatto che un rozariano di nobile stirpe brilli grazie a varie ed apprezzabili qualità!» esclama Al-Cid, fingendo un risentimento che, nel suo sguardo ben tagliato, è una ridente lusinga: la sua graziosa interlocutrice non saprà mai dalle sue labbra quanto la luce della luna smorzi il suo abituale piglio severo, cadendo morbida sui suoi eleganti abiti neri – più eleganti di quanto Lady Ashe abbia mai osato indossare, immagina, desumendolo dal nervosismo con cui lei si tocca le punte dei piedi sotto al centrotavola. La compostezza è da sempre una sua irrinunciabile prerogativa, è vero: come ogni regina, sta compitamente seduta al proprio posto, placida e immobile.
Tuttavia, Al-Cid se la ricorda a Bur-Omisace: la sua deferente immobilità ai piedi di Anastasis aveva qualcosa di impaziente, di pronto a scattare – segno che l’unico modo di palesare disinvoltura fra veli e merletti sia quello di muoversi il meno possibile.
«Voi dite?» Ashe simula un provocatorio stupore, pretendendo di aver ferito il suo orgoglio.
Non è un gioco che gli spiaccia tenere in piedi, perciò lui dice – e lo dice guardando il corpetto nero e ricamato che la fascia, la gonna semitrasparente che scende soffice a coprire le gambe, esibendo un orlo mirabilmente trapunto.
«Senza dubbio, milady! Voglio sperare che voi sappiate che fu un mio antenato a inventare l’uso di ricavare essenze dai fiori, e—»
«È ugualmente un mistero il fatto che la vostra dinastia abbia potuto progredire, con queste premesse…»
«Naturalmente no, mia cara… Molte di quelle essenze infiammano i sensi più di quanto una giovane regina di Dalmasca abbia diritto di sapere…» suggerisce lui con un sorriso – ed è quasi lieto che una donna del suo calibro non se ne senta affatto impressionata.
«È una tattica poco degna di un gentiluomo, stimolare la curiosità di una donna, sapete?» lo pungola infatti, con un’aria divertita che, oltre la sua compostezza, si avverte appena.
«Ma mia signora, stimolare la vostra significa mettervi a parte d’un segreto con la consapevolezza di lasciarlo in buona custodia…»
Lei rivolge un occhio distratto al fondo vuoto e lucente del bicchiere.
«Tant’è che a Dalmasca fa abbastanza caldo da supplire più che bene all’azione di qualunque intruglio di cui voi possiate vantarvi…»
La risata di Al-Cid si libra alta e sonante.
«Sono le parole di una sposina molto sicura!»
«Sono parole che non vi riguardano.»
Ashe ha l’accortezza di mordersi piano l’interno di una guancia senza che il gesto si noti troppo – sa di aver osato troppo negli ultimi secondi, e spera che un’apostrofe così secca raffreddi le insidie di una conversazione che si pente di aver fomentato. Non cede al fascino sapientemente costruito di Al-Cid: crede, anzi, di essere l’unica donna, nel raggio di due o tre regni e imperi, a poterlo affermare con un certo orgoglio.
«Chi è che stimola la curiosità di chi, ora?» sussurra Al-Cid, con una mano che regge svogliatamente la guancia.
Ashe lo fissa con l’aria pericolosamente contrariata di quando Larsa riesce ad avere la meglio sulle sue capacità diplomatiche.
«Io piantavo paletti, se poi li ho infilati nelle falle della vostra curiosità, beh… è affar vostro.»
«Il che fa di me un uomo maledettamente indiscreto al cospetto di una donna fredda come la luna…» ammicca lui.
«La luna è mutevole, Vostra Grazia… e io rimango fin troppo fedele a me stessa.»
«Con quest’ultima uscita, mia regina, la mia curiosità è diventata il vostro puntaspilli ufficiale.»
«Una delle vostre tanto decantate doti di rozariano?» chiede Ashe con una moderata dose di scetticismo.
«Attenta, mia cara… potrei chiedervi di scoprirlo da voi.»
Sulle belle labbra di Al-Cid, un sorriso di velluto se ne sta disteso come un gatto in vena di coccole.
«E io potrei sempre rifiutare» sottolinea Ashe, con una freddezza atta a cancellare da quel viso tutto il fascino di una sua eventuale vittoria. Con sua sorpresa, tuttavia, nota che il riso si allarga.
«Nessuna donna con un po’ di cuore ha davvero il coraggio di farlo prima del dessert» replica finalmente: sia lui che la padrona di casa hanno avvertito l’arrivo del carrello dei dolci attraverso la porta. Si preparano a riceverlo con reciproca soddisfazione, e Ashe non può non prendere visione di come il suo ospite stia inarcando un sopracciglio alla vista di tutta quell’opulenta distesa di cacao. È pur sempre una vittoria anche quella.
Gli vengono servite grosse uova di cioccolata su cui una trama vivace di glassa colorata riproduce alcune macchie del guscio. Al-Cid osserva Ashe che spacca la superficie, munendosi di un cucchiaino. Quando lui la imita, ha di che stupirsi del fatto che, all’interno del dolce, si trovi una densa crema al cacao, dal forte retrogusto liquoroso.
«Mi state prendendo per la gola, ammettetelo.»
«Meglio che per i fondelli» motteggia lei, serafica, traendo piccole cucchiaiate di dolce senza degnarlo di più di uno sguardo ogni tanto.
Eppure, Al-Cid avverte la sensazione dei suoi occhi azzurri che lo scrutano con attenzione mentre è chino sul dessert. Deciso a sorprenderla – convinto com’è che non esista creatura più mutevole di lei in tutta Ivalice – sta bene attento a cercare un’occasione per alzare lo sguardo e coglierla impreparata, tutta immersa nel suo esame.
Il che non avviene, perché ha dimenticato con chi ha a che fare.
«Ho sentito che a Rozaria siete bravissimi in cucina» dice, e Al-Cid non resiste alla tentazione di sollevare la testa per guardarla, e sorridere di nuovo.
L’ha provocato consapevolmente, glielo legge negli occhi, sulla piega che hanno preso le labbra, appena trattenute fra i denti. Le donne che non perdono la testa in termini di desiderio sono quelle che non dimenticano di star giocando in casa, nonché le stesse che gli faranno vergare una firma su un accordo.
Terrificante.
Nella migliore accezione possibile, ovviamente.
«Non solo lì, mia cara…» e il tono è profondo, sommesso, mentre Al-Cid e Ashe si alzano in piedi con le dita e la tovaglia macchiate di cacao.
Lui fa in tempo a intingere il cucchiaio nella crema, e raggiunge Lady Ashe, che, nel frattempo, si accosta alla finestra.
Lei gli scocca uno sguardo curioso, ma intenso, nel vederlo con la posata a mezz’aria e il pollice dell’altra mano che le accarezza il labbro come se volesse dischiuderglielo.
Il lembo del cucchiaio sparisce a malapena sul ciglio della sua bocca, e Al-Cid già vi ha schiacciato le labbra, la posata che cade senza rumore sul tappeto e Ashe che – oh, al diavolo tutto, anche lui – piega dolcemente la testa perché Al-Cid raccolga il sapore di zucchero e cioccolato sulla sua lingua, una mano aggrappata ai suoi capelli e una alla sua schiena.
«Si parlava di prendere per la gola, milady?» ridacchia lui, nello spazio fra un bacio e l’altro.
«Non usate un plurale maiestatis che non vi compete…» mormora lei, il sorriso ripiegato dietro a un velo di finta severità.
«Allora chiedo perdono…» bisbiglia Al-Cid, incontrando di nuovo le sue labbra, le mani lisce che corrono bollenti contro la sua schiena nuda – il retro del corpetto non è che una rigida striscia foderata di seta e orlata di pizzo, un solo laccio ha il compito di tenerlo chiuso. Si scioglie sotto le dita di Al-Cid in una carezza, e l’aria è inaspettatamente fredda sulla pelle libera. Ashe si schiaccia contro il petto di lui, contro i lacci della sua camicia, le braccia attorno al suo collo e le palpebre abbassate, a godersi il calore prepotente della bocca di lui che copre la sua, in un’esplosione di sensazioni che credeva di aver dimenticato.
Forse il corpo ricorda quanto la mente.
Anche se non sono e mai più saranno pallide mani delicate.
Le lascia vezzeggiare comunque la schiena inarcata come una virgola, finché non spariscono nel ricamo scuro della biancheria, lasciandola nuda attraverso le fini gonne di pizzo, che subito il suo amante si affretta a slacciare, con una certa difficoltà, dato che le dita di Ashe si sono intrecciate ai lacci della sua camicia, e lì sono rimaste, sospese, le labbra intrappolate in un altro bacio, il seno che si strofina sul petto di lui.
L’attrito li infuoca.
Al-Cid aiuta il suo operato, e basta poco perché la camicia cada a terra esanime, seguita poco dopo dai calzoni e dalla biancheria.
In un gesto che non è assolutamente meditato, Ashe fa scorrere le mani e le labbra sul petto di lui – non è quello di Rasler, quello di un guerriero, duro come l’acciaio e al contempo morbido come quello del ragazzino che era; non è quello ampio e nervoso di Basch, quello massiccio e bruciato dal sole, che si intravedeva sotto la casacca, quello in cui veniva schiacciata in un gesto imperioso e protettivo durante le tormente di neve e le tempeste di sabbia.
Quello di Al-Cid è spazioso, sì, la pelle morbida non esibisce cicatrici, ma si tende invitante sotto le dita e sotto i baci, i muscoli sono saldi, tonici, senza esagerazioni. Nel modo in cui li sfiora, c’è più passione di quanta ne vorrebbe infondere, e più desiderio di quanto sia decoroso mostrare, tanto che, quando si inerpica di nuovo su, fino alle sue labbra, sono quelle di lui a scandire l’affondo, la lingua che succhia la sua avvolgendola, assecondandola, irridendola, quasi.
L’attimo dopo, Ashe è contro la finestra, la schiena trafitta dal gelo del vetro e Al-Cid che l’abbraccia bollente, le labbra sul suo seno e l’orlo della tenda fra le loro gambe. Con un gemito a metà fra ostinazione e desiderio, le mani di lei si aggrappano alle cortine, e lui le si avvolge contro in un nodo inestricabile di sesso, stoffa e trine, accarezzandole l’interno delle cosce con la punta di un dito.
Con il labbro fra i denti, Ashe sobbalza, trattenendo fiato e orgoglio in gola.
«Non può essere così semplice» sibila, in un accesso di disappunto nei confronti della propria inespugnabile saldezza – il suo orgoglio, al contrario, rimane inamovibile al proprio posto, a conferma del fatto che no, non è granché semplice.
Al-Cid, che invece di fiato non ne ha poi molto, ride sulla sua bocca, lanciando una lunga, eloquente occhiata alla massa ingarbugliata in cui sono avvinti.
«Non credete ci siano abbastanza impedimenti?»
Piccata, Ashe gli restituisce il favore di poco prima, avventurandosi con le dita per accarezzarlo, aiutandosi con un lieve incoraggiamento dei fianchi – il gemito che fa eco al gesto le mostra che, davanti all’impazienza, qualunque barriera è una barriera di troppo.
Il che sta semplicemente a significare che lei detiene ancora un certo margine di comando.
«Credevo foste un uomo pieno di risorse…» sussurra, stupita in prima persona del tono seducente che riesce ad assumere.
«Accidenti a me e al peso della mia fama…» articola, chiudendo gli occhi contro il lento, insopportabile tendersi di Ashe – Larsa gli ha raccontato spesso di quanto lei sia irruente e frettolosa come politico, per carattere, e Al-Cid non può che accogliere i suoi resoconti con scetticismo.
Perché questa donna sa perfettamente adattare il suo carattere alle circostanze. E adesso sta davvero progettando di farlo impazzire.
«A ognuno il proprio fardello» sentenzia, sardonica, svolgendo le cortine dalle anche, ma fallisce, intrecciandole, anzi, più strette attorno alla vita di entrambi, Al-Cid che l’attira fra le braccia, premuto nel suo seno e nei suoi fianchi fra le nappe dei tendaggi, le ginocchia bianche che cozzano contro i suoi gomiti scuri e l’arco teso e volitivo di quella schiena che chiede quanto i suoi singhiozzi.
E Al-Cid non dice no, la testa poggiata sul vetro, oltre la sua, mentre s’infrange dentro di lei.
*
Quello della separazione è il momento più difficile – a maggior ragione quando non sussiste alcun coinvolgimento sentimentale, e si resta, insieme, a fissare increduli i postumi di un attimo di felice indulgenza.
In un momento di legittimo imbarazzo, Ashe si schiarisce la gola, osservando Al-Cid ancora chino su di lei, il chiaro di luna che gli taglia la faccia.
Con redivivo pudore, afferra il drappo damascato della tenda per coprirsi, ritraendo le ginocchia dietro le frange – crede davvero che Al-Cid possa sentirsi scandalizzato dalle sue dita dei piedi?
Preferisce non indagare – perlomeno perché ha già fatto abbastanza.
«Non mi scandalizzano, le dita dei vostri piedi.»
«Mi scandalizzerebbe il contrario.»
È del tutto presumibile che Al-Cid non abbia compreso di non essere al cospetto di una schiva, sprovveduta ragazzina d’alto lignaggio, bensì di una donna del tutto consapevole del proprio ascendente, e di una sensuale dote persuasiva che è da ritenersi straordinariamente recente anche per lei.
Una donna che sa quando sollevare la campana di vetro che la separa dal resto del mondo, e quando, invece, riappropriarsi della sua protezione.
Forse Al-Cid ne prende definitiva consapevolezza quando osserva che lei non si riveste, ma si alza, invece, portando le pieghe della tenda divelta con sé, e drappeggiandosi in essa come in un pregevole abito di gala. Si appartiene, dunque. E lui non può più toccarla, perché, anche nell’irrisorio schermo di quello strascico alla buona, Ashe gli dà l’impressione di una donna che ha la maestà cucita direttamente sulla pelle nuda, perfettamente in grado, inoltre, di gestire la situazione con il peso che merita.
«Suppongo sia ora di tornare al lavoro, Vostra Grazia, sperando che non intercorrano distrazioni ulteriori» decreta, con un impercettibile guizzo di maliziosa, vittoriosa, politicissima ironia.
Impara dai tuoi nemici, dice il proverbio. Sembra proprio che abbia deciso di fare un esempio della fermezza strategica e diplomatica di cui Al-Cid si mostra inconfutabilmente promotore.
Sorride: chi è lui, per contrastare la saggezza popolare? In una sagace imitazione del gesto della regina, si avvolge nelle cortine in cui è rimasto impigliato, per poi seguirla al tavolo su cui i dolci giacciono quasi intonsi. Lady Ashe spinge il contratto in avanti con la mano libera, la stilografica nell’altra, e comincia ad elencarne i punti scandendoli con voce chiara uno per uno.
Al-Cid sospira, sollevando una cucchiaiata di crema – ha bisogno di tutta la dolcezza possibile, ora, per prepararsi a gettarsi nel discorso.
Stavolta è sicuro che non otterrà sconto alcuno, neppure in nome di tutte le grazie del mondo.
Ci sono frangenti, rammenta a se stesso, in cui la seduzione percorre strade invero tortuose.
Non è un’esagerazione affermare, almeno in via strettamente privata, che giunge addirittura a condurre anche i suoi più affezionati frequentatori in un delizioso vicolo cieco.
Ma forse è meglio tornare al lavoro.
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A/N 12 aprile 2009, ore 2:27. Spero che Ashe non sia passata da un carattere all’altro °_°. Beh, gente, Def parla di p0rnpolitica, e ha ragione XD e lo ringrazio del supporto concreto e psicologico che mi ci è voluto per sbloccarmi in alcuni pezzi ^__^. Spero che sia un gradito regalo per la liz, che non so se avesse in mente cose simili XD ma a me che l’ho scritta non sembrano troppo poco pr0n per i suoi gusti. Devo solo rivedermi un po’ Ashelia. Il finale è stato una tortura. XD. Titolo è nome di gruppo francese di cui conoscerò un quarto di canzone XD, ma era semplicemente perfetto! XD Buona Pasqua! E Def e Michiru, io vi amo.
*non è abominevole che la lunghezza media delle mie Al-Cid/Ashe riesca a superare quello delle Basch/Ashe?! O_o”*