[Final Fantasy XII] Ultimo amore

Titolo: Ultimo amore
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: Ashelia B’Nargin Dalmasca, Basch von Rosenburg
Parte: 1/1
Rating: R
Conteggio Parole: 1951 (LibreOffice)
Note: nsfw, spoiler su Faro e finale, per diecisudieci

Ultimo amore
[diecisudieci – Basch/Ashe – 02. Blue – #08. Pianeta]

Ha sassi sabbia e polvere fino in bocca, e il tuo corpo spinge sul suo con tutto il peso, perché sai benissimo quanto lei odi che tu la tratti come una statuina di porcellana, e anche se scivoli contro la roccia dura e scoscesa, il bordo del suo anello – non sai come sia possibile – ti graffia la schiena insieme alla breccia, e tu ti scuoti contro di lei, appoggiato sulla sua spalla con lei che ti morde il lobo dell’orecchio, tutta bianca di polvere con solo qualche vestito addosso e le braccia testarde che ti abbracciano come se tu stesso fossi roccia, e il resto, compresa la carne tenera tesa sotto di te, soltanto il guscio vuoto del suo dolore.
Quando vi rialzate, sperate solo che il greto del fiume non sia così lontano come vi è sembrato in principio.

*

Alcune cose vanno oltre la semplice nozione di pudore.
Per dirla con franchezza, quando il problema di più urgente risoluzione è la salvezza di Ivalice, della sua libertà e della legittimità del suo assetto politico, quando dietro alla linea che definisce l’obiettivo si nascondono chiazze nere e fonde di morte dolore assenza frustrazione privazione ingiustizia, allora gli espedienti per dimenticarli tutti per una manciata di minuti perdono il sensazionalismo che avrebbero avuto in diversi contesti e circostanze.
È per questo che Ashe sa che il motivo per cui Basch non la guarda mai negli occhi senza esitazione c’entri poco o addirittura nulla con l’amore che fanno, schiacciati sotto le coperte ruvide.
Basch è un uomo adulto, è ancora un cavaliere, e cerca solo di capire il dolore che si porta dietro. Anni di vicinanza le hanno insegnato che ci sono cose che lui non chiederà mai – è un uomo rispettoso e delicato.
E poi, quel dolore è anche suo.
«Mio fratello assomiglia a Lord Rasler» dice una sera, mentre il fuoco guizza rovente e capriccioso su un gruzzolo di cosciotti di cokatoris – quel presente valido solo per uno degli oggetti del discorso dà ad Ashe l’impressione che entrambi siano ancora vivi, e si chiede se anche questo sia parte della delicatezza di Basch.
«Davvero?» lo incentiva, e nessuna fame la spinge a togliere la propria razione del fuoco. Pur sapendo che il gesto sia egoista, la guarda arrostirsi troppo.
«Sì,» prosegue lui, dopo aver ingoiato un boccone di carne strappato all’osso «alcuni ragazzi serbano in corpo un’energia incredibile, e al loro pizzico di ingenuità uniscono caparbietà e orgoglio. E poi c’è il coraggio, c’è la rivalsa. Avevate sposato un uomo testardo, sapete?»
«So,» conferma lei in un riso leggero, a cui ordina di non trasformarsi nel pianto sommesso che minaccia da due anni di rompere il fragile equilibrio del suo controllo «e continuo a ritenere che mio padre lo abbia mandato a morire… ogni ragazzino che abbia il comando nel pugno brucerà d’amore per la propria patria prima di bruciare d’amore per la propria sposa. Come falene.»
«Suppongo si tratti della stessa forza che mio fratello ha rivolto in odio contro di me. L’impero ha fatto tabula rasa di quello che amava, e lui ha scaraventato quel fuoco su di me che l’ho abbandonato. Eppure…» Basch si interrompe un attimo, il guizzo arancione del falò che brilla come una coppia di lucciole nell’azzurro dei suoi occhi tristi e trasparenti «… far cambiare idea a Noah è stata un’impresa impossibile fin da quando eravamo bambini: provare a portarlo lungo la mia stessa strada avrebbe significato dover abbattere energia, orgoglio, testardaggine e violenza e caparbietà in un sol colpo. Capite bene che non avrei potuto farlo, quando io stesso avevo fallito in tutti i miei propositi di grandezza, e non sapevo più chi fossi.»
«Eppure siete riuscito a… a sopportare, sì» azzarda lei, con gli occhi bassi e la voce sottile.
«Avevamo l’età per farlo, noi.»
Voi no, eppure ci siete riuscita, e meglio, anche.
Per quanto Ashe possa intuirlo nei suoi occhi, Basch non si arrischia a dirglielo – così a fondo dentro di lei non è sicuro di poter e voler guardare.
E il calore delle fiamme è un po’ più forte quando le sue labbra sono più vicine, il pugno nei suoi capelli mentre lo tira dentro la tenda col cuore che sta per scoppiare, pieno di nitide immagini di una battaglia a cui non ha mai assistito, e di un re che nessuno di loro due ha mai visto massacrato su uno scranno.
La mano di Basch le copre gli occhi prima che il pensiero possa farla piangere, ed è davvero una fortuna che la pelle bollente, spessa e ruvida del suo palmo sia più tangibile dei suoi incubi.

*

E gli incubi sono causa di incontrollabile fastidio mentre camminano sotto il sole di Nalbina – visitate, visitate la magicheria della perduta Nabudis!
Perduta, perduta
, ripetono i mercanti in coro, con affettata gaiezza, incidendo il pozzo nero della sua memoria, che Nabudis non la ricorda, ma ricorda invece di aver perduto il più prezioso dei suoi tesori.
«Sono qui, Ashe, sono qui…» le sussurra Basch quella sera, baciandole gli occhi, le guance, i seni, la punta delle dita, e gli sembra davvero che le grida che soffoca sulla sua spalla siano un pianto dirotto che gli bagna la pelle, e la stringe senza avere il coraggio di guardarla: Ashe non glielo perdonerebbe mai – l’ultima cosa di cui ha bisogno adesso, dato che il calco di se stesso, della sua carne e del suo cuore e di tutto il resto si annida tutto nel perdono che gli ha concesso.
E proteggerla è anche questo, si dice, accarezzando con dolcezza la sua forma raccolta nelle coperte rappezzate. Ora che il giorno e la coscienza sono calati, Ashe si rannicchia contro il suo corpo, ma non vi trova alcun appiglio, nella trama agitata dei suoi sogni – ogni angolo del mondo è pieno di mostri, di livide maschere mortuarie.

*

Ed è Nabudis che lei non vuole guardare – o forse sei tu che non vuoi fargliela vedere? – mentre si stringe nel tuo abbraccio, sul limitare del bosco, dove finisce il pontile e comincia una brulla chiazza di distruzione. Le foglie giacciono a terra in resti di nero carbone, qui, dove tutta la vita e la natura si interrompono in un secco schiocco, dove tacciono anche gli animali.
E tacete anche voi, i baci che s’arrampicano zitti sulle vostre bocche – siete l’unico frammento di carne viva in questo mare di morte, eppure lei sembra un’ombra scura che si rannicchia fra le tue braccia – ricambi la stretta con tutta la passione e il dolore e la dedizione di cui sei capace, ma proteggerla da se stessa non puoi.
«Non guardate, mia signora» mormori a mezza voce, e restate in piedi nella pupilla vuota di questa Ivalice a pezzi che è una terra di nessuno – ti appartiene appena un po’ più di lei.
Ma questo non vuol dire che la lascerai andare alla deriva.

*

Hai ancora la sabbia nei sandali quando Archades si spalanca davanti ai vostri occhi, e ne hai ancora, dopo – dopo che sei riuscito a ridere e a vederla ridere.
La sabbia dà noia come una confessione in punta di labbra, ma più di questo ti secca vedere che quel timido accenno di allegria sia stato neve al sole.
In realtà, non è l’allegria che le domandi, dato che non puoi pretenderla, non ora. Non pretendi neppure l’amore – per un istante devi rammentarlo – è la sua fronte spianata che vuoi. La serenità di chi sa dove andare.
Quella sera, guardi il sole farsi vicino e Archadia rimpicciolire come un giocattolo dall’alto della Strahl.
«Accanto al sole ci si brucia, se non si è diretti con saldezza verso il proprio proposito.»
Dal sedile accanto, Ashe ti guarda a labbra strette.

*

Sfinita, col cuore vuoto dopo il Faro, si stende a braccia larghe sulla sabbia fredda e ti dice che avevi ragione, tutta seria nel gemito soffuso del mare che le tocca i piedi.
«Ragione di cosa?»
«Temo che a guidarmi fosse il lato peggiore del mio amore.»
Simili ammissioni le costano. È per questo, probabilmente, che ne fa solo a te.
«Lady Ashe?»
«Quello testardo che si aggrappa alla memoria senza pensare alle conseguenze, quello che copre gli occhi.»
E pensi che il tuo non è diverso. Non molto, almeno.
Ti decidi a distenderti accanto a lei, le braccia allargate tracciano massicce virgole sulla rena.
Toccarla ti sembra impossibile, oggi, mentre tendi la mano verso la sua spalla.
«Ma voi avete proceduto a tentoni.»
«Qualcuno mi ha insegnato la strada…» ti dice, e qualcosa, nelle tinte blu e nere della notte, ti sembra un sorriso, mentre lei si alza come un’ombra – ma le stelle ti mostrano che ombra non è, non più.
Ti manca di poco, quando ti alzi a tua volta, e il mare schizza salato e nero sul contorno delle vostre labbra, sui vestiti intrisi, fra i capelli e sulle mani.
Verso l’alba, l’orizzonte già si vede, nitido, prepotente.

*

A Sua Maestà non piace la luce artificiale.
Il candelabro fa ondeggiare il riverbero nel riflesso della specchiera, quando lo poggia sul canterano e si avvicina a te a piedi nudi, i nastri della sottana lenti sulla schiena mentre si siede sul letto dove in realtà non riposavi.
«Mi aspettavi?»
Oh sì, sì che l’aspettavi, ma non ti sta chiedendo risposte, con le mani che ti ghermiscono le spalle sotto la tela degli abiti da notte, il loro ricamo che si sfalda sotto le unghie come l’assenza – quanto tempo è passato?, ti chiedi invano, l’orlo della sua sottoveste impigliato come un ragno nella fascia dei calzoni e i tuoi capelli nei suoi bracciali e le labbra sulle sue labbra mentre s’annoda nei suoi stessi abiti, l’aria di Rabanastre che soffia sulla tua pelle.
«Sempre» mormori sulla sua, di pelle – ed è una conquista, una piccola porzione di libertà strappata alla Storia di un mondo in continuo cambiamento, anche se solo per qualche ora in cui sempre è una piccola, fondamentale bugia – lo sapete tutti e due, le ginocchia di Ashe in bilico sul materasso e le sue dita che tracciano il tuo cuore e le sue labbra che ti restituiscono memorie di sale e sabbia, resina e foglie, rocce e pendii su cui avete viaggiato insieme, morendo d’amore e di fame.
Del dolore, nessuno di voi due parla – c’è il tuo nome, fra i suoi respiri, e siete sempre convinti che si assottiglierà come gesso, chissà quando, chissà se, mentre il tempo passa e i morti nutrono i fiori di tutta la terra.
E solo stanotte potete rendervi conto di come siate vivi in mezzo al loro rigoglio – non c’è il riflesso di nessuno in quei baci, ci sono le carezze piene di chi ha avuto sete di una presenza senza poterne bere – bevi di lei ora che puoi, e cerchi di non pensare che domani sarai poggiato sulla curva opposta del mondo, allacciato a un altro nome.
Ashe, tuttavia, quando la candela giace spenta in un monticello di cera sciolta, si accoccola sulla tua spalla, le labbra vicine al tuo orecchio.
«Potessi essere solo Ashe, domani, ti ordinerei di non andar via.»
Ridi, perché l’affermazione è programmatica – non te lo chiederebbe, te lo ordinerebbe, come è abituata a fare, come una regina: così, la frase è scevra di qualsiasi sdolcinato accenno di melodramma, e definisce perfettamente cos’è che siete chiamati a portare avanti. E si tratta di qualcosa di incommensurabile, per un bene più grande del vostro.
«Se fossi ancora Basch, sarei libero di obbedire» sussurri, con un sorriso che lei non vede, e appoggi la testa sul cuscino, il peso di Ashe che t’attira nel sonno.
Pensi che i capelli sono cresciuti.
Tornato ad Archades, dovrai tagliarli di nuovo.

~

A/N 14 aprile 2009, ore 17:03. Qualcuno mi spieghi come si fa a scrivere una cosa di un tale livello di tristezza con gli AC/DC O_o. Scritta molto molto di getto fra ieri sera e ora, yay! Mi sono tolta uno dei prompt più ostici della tabellina di diecisudieci in un baleno, e spero che il “pianeta”, inteso come Ivalice, si senta con abbastanza forza… dedicata a Shu e a Valychan con tutto il mio affetto e la mia gratitudine ^___^! Dovrei piantarla di scrivere smut, quand’è che mi deciderò a tramificare? XDDDDDD.

Juuhachi Go.

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