[Final Fantasy XII] Media nox, obscura nox

Titolo: Media nox, obscura nox
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: Basch von Rosenburg, Rasler Heios Nabradia
Parte: 1/1
Rating: PG13
Conteggio Parole: 1660 (LibreOffice)
Note: un po’ di violenza, prima classificata alla Sfida Futuro @ True Colors

Media nox, obscura nox
02. La Luna

Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un’altra estate.

Anche la luce sembra morire
nell’ombra incerta di un divenire
dove anche l’alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.
(Fabrizio De André – Inverno)

Nalbina è caduta.
Rasler lo sente nelle grida confuse del suo popolo e dei suoi soldati, che sciamano spintonandosi e morendo come topi nel fumo nero di fuliggine, guidati dalle urla di Basch, da qualche parte sopra la sua testa.
Vede delle macchie sfocate sulle piume del chocobo – è sangue, forse è suo – ma, alzando appena lo sguardo, può almeno accorgersi che, attraverso quelle tenebre, la luna non può seguirli.
Emette un rantolo di sollievo.
Nelle leggende popolari di Nabradia, la morte è una signora pallida e luminosa che mette la testa fuori dalla luna, per volare ad abbracciare le anime di coloro che si avviano fuori dal corpo.
Lui, però, questa sera, ha gli occhi coperti di sporco e di sangue, il suo corpo tremante cozza contro quello di Basch, nei sobbalzi terrorizzati del chocobo.
C’è del bianco, fra le strisce di rosso viscoso che gli cola sulle ciglia – forse il sangue non è suo, perché l’unico bruciore che sente è conficcato nel petto – ed è il bianco di un velo, la curva indistinta di un timido sorriso, il luccicare azzurro di due occhi, e Rasler si oppone con combattiva ferocia al sonno che gli avvolge lo stomaco come una nausea, mentre tutto il suo corpo si bagna di un sudore gelido.
«Tenete duro, Lord Rasler, vi prego, vi prego…»
È una preghiera che lui non sente, è una vaga eco immersa nella nebbia.
La pesante spada del capitano si abbatte con rabbia sui colli di due archadiani che gli ostacolano il passaggio – sente l’osso di entrambi spezzarsi con un rumore orribile mentre i due cadono a terra, già cadaveri dalla gola aperta.
Non gli importa di nulla, adesso, se non del palpito del principe che si fa sempre più lieve ad ogni scossone, del colore rosato della vita che scivola via dalle sue guance in rapide gocce.
Non ha provato a estrarre la freccia, che sa per certo è capitata vicinissima al cuore: farlo in mezzo a tutto quel trambusto equivarrebbe a ucciderlo senza indugio. Ha solo pensato a trascinarlo via, senza neppure avere, oltretutto, la possibilità di trattare il suo corpo ferito con la delicatezza che richiederebbe. Può solo sperare di riuscire a tenerlo ancorato al chocobo con tutta la saldezza che ha in corpo e di correre più veloce che può, infilando i talloni nel fianco dell’animale, le briglie strette fra le dita fino a sentire il cuoio tagliare le pieghe della pelle.
«Altezza,» urla, sovrastando i gemiti dei feriti e il ruggito degli assalitori, nell’accorgersi che il peso del ragazzo si fa sempre più inerte «Altezza, parlatemi, ditemi qualcosa!»
È una richiesta senza senso, la sua, come il fuoco che ha acceso Nalbina al pari di una torcia, ma la paura e l’orrore hanno tolto al capitano dalmasco tutta la posatezza in cui Lord Rasler aveva riposto la propria fiducia: non sa che cosa fare, mentre quel bambino gli sfiorisce fra le braccia come un giglio che perde i petali. Non può neppure vederlo bene in faccia: il barbaglio del fuoco che li circonda si nasconde dietro a un denso manto di fumo, e il cielo è ugualmente coperto. Nemici e alleati respirano la stessa cenere e scivolano nello stesso sangue. Ogni tanto, il riflesso argentato di una navetta archadiana che sfreccia sopra le loro teste gli rivela il viso imperlato di sudore e la testa ciondoloni sulla cavalcatura.
Una liquida sensazione di incoscienza invade il cervello del giovane principe, che la combatte ostinatamente, con il dolore che lo brucia come una lanterna brucia la falena sprovveduta – polvere e detriti schizzano sul suo viso mentre Basch calpesta qualunque cosa per portarlo lontano da quella carneficina. Quel filo di realtà che si rivela ai suoi occhi, da sotto le palpebre appena socchiuse, è un indistinto cumulo nero di notte e di voci, di sangue e fuoco, da cui anche Morte fa fatica a trascinare via i premi della sua vittoria.
Dentro di sé, è tutto un bianco, festoso silenzio: Ashe sorride appena sotto lo scintillio d’oro del suo velo da sposa, e le sue labbra formano una mezzaluna bianca nel preciso splendore dei suoi denti – è bello vederla così felice.
Dalmasca sboccerà come un fiore, sotto la sua mano.
E lui farà di tutto per guidarla.
Basch impreca contro tutti gli dèi, accorgendosi del fioco fremito di quelle labbra già livide: non può accadere, non adesso, non lui, non sotto quell’irrespirabile, velenosa caligine che ha già asciugato i più bei fiori di Dalmasca e di Nabradia – Nabudis è caduta, ma il germoglio che ne porta il frutto è partecipe di ben altro destino, deve esserlo.
Ha già visto tutto questo. Ha già visto le stesse fauci chiudersi a soffocare l’urlo di Landis, trascinando fra i suoi denti tutte le cose che ama.
Non lo permetterà di nuovo.
Il sorriso gentile di Lord Rasler e quello di Lady Ashe sono tutto quel che gli resta.
Un archadiano armato nota il suo carico e si lancia a spada tratta, ma il capitano è più rapido: la sua lama è la prima a balenare in avanti, sferrando un colpo che sfonda all’istante il cranio del soldato.
Altri ne imitano la sorte, fino a che Basch non riesce finalmente ad aprirsi un sentiero macchiato di rosso verso l’aeronave che potrà salvare il principe, il cui respiro è un’insignificante stringa di fiato.
Rasler è cosciente – sa che il sangue continua a svolgersi come un inesorabile filo fuori dai lembi slabbrati del suo cuore, e che i suoi denti battono sotto lo sferzare di un freddo interiore, innaturale.
«Resistete, milord, ci siamo quasi! Fate un ultimo sforzo!» ulula Basch, mentre il vento si solleva in un denso turbine scuro che quasi non si ode, nel fragore della battaglia.
La nube di polvere da sparo e gas resta tuttavia sospesa sulla Fortezza, e Rasler immagina la luna piena splendere al disopra di essa come un fisso occhio senza ciglia, aperto sul suo destino, bianco come la pelle di Ashe.
«Riposiamo, Basch…»
Gli è rimasto un lieve briciolo di voce, che il capitano coglie al volo, nonostante il frastuono. Il terrore che lui sia morto allenta la presa sul suo cuore, ma subito Basch lo guarda con un brivido.
«Se poteste aspettare un attimo, noi—»
«No.»
Basch sente l’orrore annodargli le viscere, perché Rasler è bianco come il marmo, e la sua risposta è stata secca, disperatamente perentoria.
«Va bene» acconsente con dolcezza. Guardandosi intorno, in quell’angolo tanto faticosamente ritagliato, nota un vicolo riparato da una pila di cadaveri. Sprona il chocobo perché si insinui dietro di esso, lontano da eventuali pericoli, e solo allora Basch scende di sella per prenderlo in braccio e adagiarlo sulle lastre sudice del selciato.
Sta tremando come una foglia, ma apre gli occhi per quanto gli è possibile, e solleva una mano verso la sua.
«Basch—»
«No, Altezza, non dite una parola. Riposatevi un attimo e poi ripartiremo, ma non parlate» lo prega il capitano, notando come quelle poche parole siano eruttate in un gorgoglio che sa di sangue, mentre cerca di scaldare la superficie ghiacciata del suo palmo stringendogli la mano.
La bocca del principe si storce in una smorfia che è metà dolore e metà ironia, mentre decide di ignorarlo.
«Quando… quando saremo a Dalmasca dovrò dare ordine di inviare… fondi qui a Nalbina. Per rimetterla in piedi.»
«Tacete, milord… devo riportarvi da lei.»
Rasler sorride.
«Lady Ashe… sarà preoccupata da morire.»
«Si capisce, m-mio signore,» balbetta Basch, mentre i fulgidi occhi azzurri di Rasler scintillano nel biancore mortale delle palpebre «Ma voi siete un giovane forte e valoroso. Tornerete sconfitto, ma intero, così da poter avere la vostra rivalsa sull’Impero.»
«Sì… Glielo promisi.»
«Dovete renderla felice. Avete tutta la vita per riuscirci, milord.»
«Oh, sì» esala Rasler. Il suo sguardo velato non può vedere che le labbra del capitano stanno tremando proprio come lui «Renderemo Dalmasca una terra in fiore, avremo dei bambini… combatteremo l’Impero con le armi della civiltà e dell’astuzia.»
«Sì, Lord Rasler…» asserisce Basch «Sarete un grande re» gli assicura, mordendosi poi a sangue le labbra per mantenere il controllo: il vivo luccichio dei suoi occhi trascolora sempre più.
«Dopotutto, l’ultima speranza di Dalmasca e Nabradia… siamo noi due. Io e lei. E… e non deluderemo nessuno.»
«È questo lo spirito per costruire l’avvenire» sorride Basch, lieto che il principe non distingua la lacrima che brilla in equilibrio sui suoi occhi.
«Si progetta solo quando si è liberi e felici, e io… ho combattuto perché i miei figli possano esserlo… perché Ashe possa esserlo… e perché mio p-padre possa essere fiero di me.»
«Non potrebbe esserlo più di così, milord… né lui… né… né lei» dice Basch, la voce che si spezza in un singhiozzo sul fondo della frase.
«L’affido a te, Basch» mormora Rasler in un sorriso, e immagina, da sotto lo spesso sudario bianco che gli ha invaso gli occhi, che Basch abbia inclinato appena il capo in assenso, e che quel velo sia quello ricco e morbido di lei.
Non ci sono nuvole, ora, a coprire la luna; nel suo sguardo Rasler vede quello limpido e scintillante che ha rimirato quel giorno, al suo fianco, fra i pendagli d’oro dei gioielli nuziali, e vi si abbandona, scrollandosi di dosso la stanchezza.
Per un istante, Basch non osa muoversi, osservando le dita che si adagiano nelle sue, morbide e rilassate come quelle di un bambino vinto dal sonno, bianco come una stella mentre Nalbina si accende di fuochi rossi.
E, mentre lo serra invano in un abbraccio, ha l’impressione di aggrapparsi alla roccaforte in frantumi di un domani che non arriverà mai.
«Sì, Altezza» sussurra ormai a se stesso, lasciando cadere quella goccia di sale che aveva testardamente ritratto.
L’ultimo, esile seme del loro futuro se ne sta solo, ora, sul palmo di Dalmasca.
«La proteggerò. Ad ogni costo.»
Incurante, il vento nero continua a gemere come un ferito sul fuoco delle macerie.
È solo la prima miccia.

~

A/N 14 dicembre 2008, ore 20:58. Grazie, E Nomine. La seconda parte di questa storia, nonché il titolo, è frutto di un tanto reiterato quanto ossessivo ascolto della loro Mitternacht. Partecipante alla Sfida di True Colors con tema generale “il futuro”… ho praticamente urlato finalfantasydodici appena ho letto il bando, e ho poi cominciato una fic mortuaria su Rasler (perché lui è l’esempio di “futuro” più negato e fatalista di questo gioco, quello che mi fa star male ogni volta che riguardo quella maledetta intro), che, alla fine, si è praticamente avvoltolata su se stessa. Quando ho cominciato questa, ci siamo reciprocamente piaciute molto <3, perché è un warfic in cui il romanticismo è al margine, e io di cose così non ne ho mai scritte fino ad oggi, quindi ne sono contenta a prescindere da qualunque posto conquisterà al concorso, nonostante io ammetta che alcuni punti mi sembrino più deboli di altri. È comunque una fic a cui voglio tanto bene <3 e che spero piaccia anche a tutti voi.

A presto!

Juuhachi Go.

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