[Final Fantasy XII] Fortune’s fool

Titolo: Fortune’s fool
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: AShelia B’Nargin Dalmasca, Rasler Heios Nabradia
Parte: 1/1
Rating: NC17
Conteggio Parole: 1161 (LibreOffice)
Note: nsfw, su prompt di 52flavours.

Fortune’s fool
08. The blind leading the blind

La fiamma della candela tremò come se Ashe ci avesse soffiato sopra.
In effetti l’aveva fatto, in maniera del tutto involontaria: aveva spostato i morbidi strascichi intessuti d’oro dell’abito da sposa mentre Rasler l’aveva adagiata sulla freschezza nuova ed intonsa del loro letto nuziale.
«Perfetto» aveva sussurrato, battagliera e pragmatica, le guance e le labbra rosse come gigli di Galbana mentre guardava Rasler rimuovere i paramenti dell’armatura.
«No, faccio io» azzardò la principessa, alzando gli occhi e le mani su di lui.
Nascondendo in parte un imbarazzo troppo palpabile per essere nascosto del tutto, Rasler ritirò rapidamente le mani, quasi col timore di intralciarla, intensi occhi blu che fissavano sua moglie e le sue dita che scioglievano nodi e sfilavano ricami, in un silenzio fatto solo di fruscii di stoffa e pelle.
Quando Ashe appoggiò il palmo sul petto di Rasler, sulle labbra aveva un tacito ‘oh’ di meraviglia, e lui aveva l’impressione che il suo cuore fosse teso e gonfio come una corda sotto le sue dita.
«Sei… sei…»
Era.
Non era un cucciolo.
La dolcezza del suo viso s’interrompeva, appunto, dove il viso stesso finiva, lasciando spazio a un collo robusto e a un petto saldo come un diamante, fatto di linee robuste intrecciate fra loro.
Aveva un petto spazioso, virile, e un profumo buonissimo si spandeva da quella pelle di liscio, candidissimo velluto su cui Ashe stava facendo scorrere la propria carezza, sfiorando i fasci dei suoi muscoli.
«Cosa?»
Bellissimo.
«Mio.»
Rasler ridacchiò, abbracciandola attraverso le volute immacolate del vestito, le sue grandi mani che percorrevano la linea delicata della sua schiena, lasciando che la stoffa preziosa cadesse a terra, una virgola bianca e oro dalla quale Ashe si ergeva come una sirena, avvolta in pochi, risibili strati di finissima biancheria che lui – e nemmeno lei, a dire la verità – non aveva del tutto il coraggio di guardare.
«Credo di non… insomma…»
«Io parto con il presupposto di non essere nemmeno all’altezza di me stessa, stavolta…»
«Però l’hai detto senza inciampare!»
«Immagino di non avere nemmeno cognizione di quel che ho detto…»
«È invero un buon inizio…» rifletté Rasler, sfilandosi la biancheria, ben conscio del fatto che Ashe non l’avrebbe fatto.
«Si chiama orgoglio. Ed è una cosa pessima.»
Aveva deciso di non spogliarsi – oltre a decidere che fosse lui a farlo: dovevano pur cominciare da qualche parte a passare la vita insieme.
Rasler non svolse il suo abbraccio, quando la principessa ne fu di nuovo circondata: slacciò quel poco che portava indosso e baciò la pelle che la ricopriva con le labbra che gli tremavano, invitandola fra le lenzuola con una piccola spinta.
Ashe si mantenne sul bordo, col viso in fiamme.
Rasler era di un regalissimo rosso porpora, cosciente del seno schiacciato contro il suo petto e delle labbra che respiravano sulle sue.
«Suppongo che il bacino—»
«Suppongo anch’io.»
Un mormorio appena esalato.
Quando le labbra di Rasler si appoggiarono sulle sue, fu lo stesso bacio che le aveva dato fra i rintocchi delle campane – un bacio asciutto e castissimo, ma mai e poi mai Ashe avrebbe potuto preventivare gli effetti che quello stesso bacio avrebbe potuto avere, nuda fra le sue braccia e con le gambe malamente allargate a contenere… parecchie cose dai suoi fianchi a… beh.
«Ashe…»
Un respiro da bocca a bocca, detto da una lingua per correre su un’altra.
Gli baciò il labbro, piegando piano le ginocchia perché si accomodasse contro di lei – era rigido e caldissimo.
E forse era pure un cucciolo, dato che bastò perché lui baciasse il resto della sua bocca accarezzandole la lingua.
«Mio principe, io—»
Rasler baciò i suoi capelli, la sua fronte, la chiuse in un abbraccio così stretto che Ashe dovette – volette – gettargli le braccia al collo.
La cercò, la mancò… la sentiva, imperlata di rugiada come un fiore al mattino – e non aveva metafora migliore, dato che non vi aveva poggiato gli occhi.
Ashe fece un timido tentativo di essergli d’aiuto, sollevandosi contro di lui quando suo marito, in realtà, l’aveva trovata.
Si mancarono.
«Nei romanzi è facile, accidenti—oh.»
«Roman—o-oh.»
«Rasler… Ra—oh, sei tu.»
«Temo… temo di sì…» gemette il principe di Nabradia, spingendosi dentro di lei come il sole in un fiore, le unghie di Ashe nella schiena, che non affondavano perché erano carezze e lui non si era ancora lasciato andare – c’era una striscia sottile di carne contro cui rimase teso e incerto come prima, sua moglie rigida e timorosa, in stoica attesa del Grande Irreversibile Passo.
«Non voglio farti male…» cercò di addurre come giustificazione, gli occhi di lei nell’ombra della spalla.
«Piano…»
«Posso?»
«…Oh, sì. Così.»
«Sicura…?»
«No, sto sperando.»
Rasler avanzò in eroica avanscoperta con un minuscolo scatto dei fianchi, nel quale Ashe si tese tutta, ingoiandolo letteralmente con un piccolo sussulto.
«Ahi.»
«O-Oh, scusa, io—»
«No, resta…» un lieve lamento, dopo un attimo di pietrificato silenzio mentre una goccia di sangue era scivolata inosservata sul lenzuolo.
«A-» sospirò Rasler, nel tentativo di chiamarla, ma dalle labbra uscì un singhiozzo che Ashe accolse con una scarica di piacere.
«Rasler… va… va bene, io…»
«Mh…»
«Così… credo—ah…»
«Ashe?»
«Ti—»
Amo.
«—Rasler, ti… ah… ti voglio.»
Spudorato, ma inaspettatamente efficace.
Abbastanza perché Rasler mangiasse letteralmente il suo sospiro in un bacio, affondando dentro di lei con la foga maldestra e deprecabile del principiante, una principessa – tutta sua fino alla fine del mondo – aggrappata a quel corpo nuovo di zecca anche per lui, che lo bagnava di miele e respiri.
Rimasero in silenzio, adagiati sul letto come una cosa sola.
«Suppongo sia stato un disastro.»
«Suppongo avremo tempo.»

*

Suppose che, se i cuori fossero quelli che i bambini disegnano sui fogli con le matite, gli angoli superiori del suo si erano accartocciati in mille pezzi, completamente spezzati perché il respiro non vi passava più.
Avanzò con addosso dei vestiti neri e sottili come le ali di una mosca, chinandosi sul letto dove l’avevano deposto, gonfio, rigido e gelato come ghiaccio nell’armatura in cui l’aveva sposata – era la stessa, quella in cui era morto era uguale ma si era spaccata all’altezza del cuore spaccando il suo di rimando.
I capelli erano ancora biondi, si chiese se fossero caduti se ci avesse passato le mani – lo fece una due quattro mille volte con le lacrime sul naso e le ciglia bagnate e i singhiozzi in bocca.
Glieli appoggiò sulle labbra nere.
«Mio—»
Principe.
Amore mio dolcissimo.

Gli baciò le mani senza alzare più lo sguardo – gelate anch’esse, era morto morto morto morto – e le labbra caddero sulla fede nel dito gonfio, intrappolata come un insetto nella tela.
Ashe intinse il dito nella boccetta di unguento, il profumo soffocante che emollieva la carne bianca e le restituiva l’unica parte di lui che non sarebbe andata sottoterra, dove i vermi l’avrebbero divorato poco a poco.
La infilò gelosamente sulla propria.
Suppose che l’avessero foggiata in modo che potesse stare sulle dita di tutti e due.

~

A/N 29 marzo 2009, ore 5:04. Sì, sono davvero le cinque, sto facendo compagnia alla liz con cui ho fatto un gioco – lei ha preso un tema e prescritto pairing, e io scrissi. In realtà non doveva essere angst, ma volevo scrivere dell’anello e di come ci si sente quando il cuore si spezza, ed è uscita così. Grazie, liz. È tutta tua! Ti voglio bene, e scusa se ti ha distrutta! ♥♥♥.

Juuhachi Go.

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