[Final Fantasy XII] Unforeseen [1/4]

Titolo: Unforeseen
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: Ashelia B’Nargin Dalmasca, Al-Cid Margrace, Basch von Rosenburg
Parte: 1/4
Rating: NC17
Conteggio Parole: ~24896 totali, 4937 in questo (LibreOffice)
Note: nsfw, spoiler sul finale del gioco, un po’ di vouyerismo qua e là, forse? Scritta su prompt di 12_teas, è il seguito di Lotus di lisachan, che è a sua volta seguito della mia Love is blindness

Unforeseen
[12_teas] 06. Lady Grey

I. Il da farsi dell’infattibile

I dream of rain
I dream of gardens in the desert sand
I wake in pain
I dream of love as time runs through my hand

– Sting, Desert Rose

Rabanastre bruciava come un inferno d’oro sotto l’abbraccio del sole battente, e Ashe, con gli occhi feriti dalla luce troppo forte, ordinò a una delle sue dame di accostare appena la tenda.
Nonostante fosse mattino inoltrato, era rimasta a letto, e ora, con aria irragionevolmente imbronciata, leggeva e rileggeva la prima missiva di un plico di lettere spiegazzato, lisciandosi in un gesto automatico i pizzi leggeri della camicia da notte.
Non era mai stata pigra, ma si sentiva nauseata e nervosa, come accadeva da un mese a quella parte. Il caldo aizzava ferocemente giramenti di testa delle intensità più varie, il che era una sorta di disonore, per la regina di un regno desertico. Si sentiva come se stesse ininterrottamente trottando su una lettiga, e nemmeno questo era del tutto auspicabile, per lei, perché questo le faceva pensare con una punta di scetticismo al viaggio allucinante – per pretesti e scomodità – che aveva compiuto fino a Rozaria. Ogni volta che Al-Cid le si affacciava alla mente, la sua domanda tipo era “Come ho potuto?”, a cui seguiva un’efficiente risposta in cui tutte le carezze di lui le dicevano che sì, aveva potuto benissimo. Eccome, se aveva potuto.
Rimosse il pensiero con un breve colpetto di tosse, prima di sparire di nuovo dietro al foglio. La nausea si era fatta prepotente, e Ashe odiava qualunque cosa osasse limitare la sua libertà di azione. Con un gesto stizzito, lasciò cadere la lettera fra le lenzuola e cercò di addormentarsi di nuovo, sperando che qualche ora di sonno in più potesse far miracoli.
Purtroppo per lei, si svegliò quando l’ora di pranzo era passata da un pezzo, in mezzo alla colonna divelta di cartacce e coccarde. Sibilando qualche maledizione contro l’assurda burocrazia dalmasca, si tirò su a sedere, ma, quasi istantaneamente, fu costretta ad alzarsi per correre nella stanza da bagno, un rigurgito che premeva sul fondo della gola.
Quella era davvero una pessima giornata, si disse.
Arrancò verso dei vestiti sufficientemente presentabili e si diresse a passo deciso verso la Sala Consiliare, sorda ai sonori rimbrotti del suo stomaco e al cinereo pallore che si rifletteva sugli specchi del corridoio.
«Signori,» scandì, spalancando le porte «perdonate il ritardo. La seduta è ape—»
La seduta, invece, rimase chiusa, con grande sorpresa dei ministri, che si precipitarono a raccogliere da terra la regina svenuta.

*

Ebbe di che tacere, Ashe, quando si trovò davanti agli occhi il viso perplesso del medico di Corte, che si torturava nervosamente l’angolo della bocca di fronte allo sguardo indagatore della sua regina, ancora intontita dal fatto di essersi ritrovata a letto. Di nuovo.
«Vostra Maestà si sente meglio, ora?» azzardò l’ometto baffuto, chinando la testa verso Ashe, che, in tutta risposta, annuì con aria abbastanza confusa.
«Non dovrei?»
«Beh, dipende da quale sia il vostro punto di vista, mia signora, perché, ecco…»
Lei sbatté le ciglia.
«Vostra Maestà aspetta un bambino… sì, insomma…»
«Io aspetto un cosa?!»
«Praticamente sì, Maestà.»
Lei rimase per un attimo interdetta, concentrata sul da farsi mentre appoggiava la schiena fra i cuscini e malediceva la propria capacità di tenere in ordine un regno, e non il conto del proprio ciclo mestruale.
«Bene,» proruppe infine «è chiaro che questa conversazione rimarrà strettamente confidenziale, dottore. Posso contare su di voi?»
«Si capisce, milady.»
«Perfetto. Ora che posso stare tranquilla, debbo purtroppo congedarvi – ho del lavoro da sbrigare.»
Il medico arretrò in un inchino, con un’evidente sfumatura di confusione in viso.
Fu allora che Ashe si concesse uno sbuffo, pensando che avrebbe dovuto strangolarlo prima con la fettuccina del baldacchino, la prima volta, e poi con una felce la seconda, casomai fosse sopravvissuto alla prima antifona.
Scese giù dal letto e marciò verso l’interfono.
«Al-Cid?» chiamò seccamente, una volta che le fu annunciato di essere stata connessa a Rozaria.
«Lady Ashe!» si rallegrò lui, senza poter dare alcuno sguardo sull’espressione tutt’altro che lieta della donna che lo ascoltava da Dalmasca «Non mi aspettavo di sentirvi così presto.»
«No, nemmeno io, a dire il vero» asserì la regina, con ammirevole autocontrollo «Non per simili questioni, almeno.»
«Il pacchetto economico funziona bene?»
«Non solo quello, ve lo garantisco.»
«Cosa intendete dire?» chiese lui, con aria sinceramente stupita.
«Che sono incinta.»
Calò un silenzio sepolcrale, interrotto solo dal profondo respiro di lui.
«Bene.»
«… Ci sarà un incidente diplomatico di proporzioni cosmiche, se si scoprirà che sono andata a letto con l’imperatore di Rozaria. Il Consiglio mi mangerà viva, se partorirò un potenziale erede al trono illegittimo, tanto più se concepito durante – oh, per gli dèi – una visita di piacere che esulava dal mio calendario!»
«Bene.»
«E! Questo causerà abnormi problemi dinastici.»
Al-Cid ridacchiò, costringendola ad una piccola pausa.
«Mi state chiedendo di sposarvi, milady?»
«No!» lo rimbeccò Ashe, indispettita.
«Bene, allora lo farò io.»
«Voi non farete nulla di tutto que—»
«E invece, mia cara, temo sarò a Dalmasca entro quarantott’ore a partire da ora. Di che lega volete gli anelli?»
«Al-Cid!»
«Adoro quando mi chiamate con questo slancio.»
«Volete piantarla?»
«Siate ragionevole. Vedete una soluzione migliore? Ora come ora, l’importante è salvare qualcosa delle nostre bravate dal disastro totale, quindi, siccome il più grande margine di colpa è del sottoscritto, sarò ben felice di ricorrere al matrimonio prima che voi rendiate il fatto evidente. A Dalmasca serve un erede e a Rozaria anche, ma non in sordina, altrimenti è lo scacco.»
«Io avevo esplicitamente detto che—» si scagliò di nuovo la regina, con un’enfasi che chiamare furiosa era dire poco.
«Alt, Lady Ashe. L’ultima volta che ci siamo visti non abbiamo parlato affatto, e tutto quello che è uscito dalle vostre labbra è stato un ‘oh’.»
«Non mi pare che la cosa vi abbia infastidito parecchio!»
«No, affatto, mia cara» Ashe poteva quasi vederlo ridere «Siete davvero il più bel fiore del deserto di qualunque giardino, e io non permetterò a nessuno di puntare il dito sulla vostra reputazione, sappiatelo.»
«Non cercate di sviare con i vostri salamelecchi!»
«E voi non cercate di dirmi che la cosa vi dispiace. Lo sapete, che lo dico sul serio.»
«Ma io—»
«Non temete, Maestà, non prenderò il posto di nessuno. Né di Lord Rasler, né di Sir Basch. Facevate l’amore con un altro uomo, mentre eravate con me, l’avete dimenticato?»
Ashe rimase in silenzio: non era del tutto vero, almeno da quanto emergeva dai suoi ricordi di una fontana e delle sue ninfee, ma affermarlo l’avrebbe precipitata come minimo in una fossa.
«Volete che vi dica che siete un santo, a sposare me, suppongo» sospirò lei, sarcastica.
«Immagino che dovrò accontentarmi di regalarvi una splendida notte di nozze» sorrise, figurandosi il vivido rossore di quelle guance sempre abituate a un controllato candore.
Dall’altra parte, silenzio.
«Andiamo, lo so che l’idea vi piace.»
«Sono ancora arrabbiata» lo redarguì Ashe, armata del suo tono più caparbio.
«Non è vero.»
«Oh, piantatela. Ci vediamo dopodomani. E badate bene: voi non sapete nulla. Nulla.»
«Candido come una vergine!»
«Pagliaccio!» ruggì Ashe nell’interfono, prima di attaccare con un gesto brusco.

*

Le proteste del Consiglio furono ben più rumorose delle sue: nessuno di quei vecchi pentoloni aveva alle spalle un Al-Cid in vena di blandizie, e convincerli che quel matrimonio s’aveva da fare per consolidare l’accordo economico con l’impero di Rozaria equivaleva più o meno all’annunciare loro di eseguire tutti un programmatico suicidio.
Volarono carte e volarono urla, volarono clausole e postille – perché il matrimonio di una regina non doveva assolutamente riguardare la diretta interessata, e perché intessere alleanze con Rozaria significava venirne mangiati.
«Oh, insomma, signori! Governo Dalmasca, saprò come organizzare un maledetto matrimonio politico!»
Qualcuno aveva sollevato qualche obiezione all’ultima esclamazione della sovrana, che non aveva impiegato molto per piovere su di loro come una tempesta, scaricando su di loro quintali di documenti che attestavano Dalmasca avviata lungo il più nero declino: non potevano certo salvarsi contando su Nabradia, che, da quella dannata guerra, era uscita menomata in tutte le sue parti, né potevano far morire d’inedia una popolazione con improbabili soluzioni autarchiche.
«E questo è quanto, signori miei, la seduta può considerarsi chiusa, e anche il resto del discorso!» enunciò Ashe, in un accesso di soddisfatto dispotismo, quando era già notte fonda.
Seduta alla scrivania, si asciugò il sudore dalla fronte.
Sperava solo che quell’imbecille si sbrigasse ad arrivare a Dalmasca.

*

Quando Al-Cid si accomodò nel salotto della regina, i ministri che lo accerchiavano si scambiarono occhiate cariche del terrore più assoluto, dato che Sua Maestà, nelle ultime ventiquattro ore, non aveva fatto trapelare nessuna delle probabili soluzioni a cui sembrava aver pensato per mantenere tale l’indipendenza dalmasca – e nessun Consiglio ottuagenario avrebbe mai potuto riporre le proprie speranze nel savoir-faire politico di una nobildonna di vent’anni.
«Milady. Vi trovo bene» sorrise Al-Cid, accavallando le gambe con aria studiatamente informale.
Prendendo posto di fronte a lui, anche Ashe gli rivolse un breve sorriso, accompagnato da un lieve cenno.
Sorrideva, il maledetto!
«Trovo bene anche voi, Lord Al-Cid. Ma vi prego, sarà meglio procedere.»
prima che mi venga voglia di evirarti, tu e i tuoi stupidi giochini!
Annuendo, l’imperatore lesse il contratto matrimoniale e quello che garantiva la totale indipendenza dei due organi statali l’uno dall’altro, a cui seguiva necessariamente che ognuno di loro sarebbe stato solo nominalmente sovrano dello Stato virtualmente acquisito tramite il consorte. Adocchiò la firma di Ashe, vergata con una grafia precisa e minuta, per apporre di sèguito la sua, in un elegante svolazzo d’inchiostro.
Dopo aver validato entrambi i documenti, la regina lo fissò con un certo imbarazzo, ma lo sguardo di lui non tentennava come il suo: la guardava apertamente, con aria persino lieta, tanto che Ashe si chiese cosa avesse da rallegrarsi tanto… questo, fino a che non lo vide inginocchiarsi di fronte a lei.
Oh, no, ci risiamo!
«Suppongo che questa sia la conclusione della parte più strettamente tecnica, Lady Ashe… ora, mia cara,» disse, tirando fuori un pesante anello d’oro e prendendo la mano di lei «volete sposarmi?»
Ashe trattenne un sorriso. Che gentiluomo da strapazzo.
«Sì, Lord Al-Cid. Accetto» disse, lasciando scivolare il gioiello all’anulare.
Rimessosi a sedere, lui si schiarì la voce.
«Potreste lasciarci soli per un attimo?» li pregò lei, e i ministri tornarono subito alle loro mansioni.
Solo quando si trovarono nel più profondo silenzio Al-Cid si decise a prendere la parola.
«Cosa avete?» disse, prendendo le dita di Ashe fra le sue, ma lei le ritirò, passandosi le mani sugli occhi.
«È una follia.»
«Non potevate portare in grembo un bastardo.»
«Effettivamente avrei dovuto gambizzarvi prima che succedesse.»
«Voi non volete davvero fare a gara fra chi fosse più consenziente fra noi due, vero?» puntualizzò lui, scuotendo la testa.
Ashe lo guardò di sottecchi, sospirando sconfitta.

*

Come da miglior consuetudine rozariana, Al-Cid s’impegnò affinché il matrimonio fosse degno di un’imperatrice, seppur solo di nome – con sommo scorno di tutti i diplomatici dalmaschi e del loro amor di patria.
Impossibilitata a prendere una manifesta posizione in merito senza offendere l’entusiasmo dell’uno e il rigoroso tradizionalismo degli altri, Ashe si limitò ad assistere in qualità di spettatrice tutto sommato divertita, osservando come le sue seconde nozze stessero decisamente prendendo una piega poco… dalmasca, ecco. Non poté reprimere un pizzico di disappunto quando il suo futuro marito le mostrò gli addobbi e i fiori arancioni e fucsia che avrebbero sommerso Rabanastre, così come i canti che avrebbero dovuto allietare i festeggiamenti. Beh, alcuni erano altrettanto coloriti.
Mai quanto il suo abito da sposa: aveva gli stessi accostamenti violenti dei fiori, e la copriva un po’ più di quanto avessero fatto i suoi abiti da principessa in fuga, a suo tempo.
«Di questo passo, dovrò aspettarmi che le campane comincino a urlare…» fu il commento perplesso della regina, pensando amaramente che, in tal caso, forse, ad Archadia ne avrebbero sentito l’eco.

*

Non si trattava di mero sarcasmo: si trattava pur sempre del matrimonio di due potenze, e non ci volle molto perché un roboante invito si andasse a posare sulla scrivania di Larsa Ferrinas Solidor.
Il giovane imperatore di Archadia emise un sospiro impensierito nell’aprire la missiva: non era certo il genere di notizia che si sarebbe mai aspettato, non da parte di un uomo con la fama di Al-Cid, né tantomeno da una donna come Lady Ashe.
Il momento in cui Basch ne sarebbe venuto a conoscenza sarebbe stato tutt’altro che divertente: aveva imparato tante cose sul suo conto, e in ognuna di quelle cose il nome di Lady Ashe era onnipresente, come se in esso convergessero tutti i punti di sutura della sua vita. Nessuno di loro era talmente ingenuo da credere che lei avrebbe mai avuto dal suo popolo il permesso di rimanere legata a quelle nozze senza frutto, così come Larsa era stato abbastanza perspicace da capire che c’erano tante cose, su di lei, che Basch non gli avrebbe mai rivelato, perché non era opportuno che qualcuno ne venisse a conoscenza, prima fra tutti Lady Ashe stessa.
Certe cose non andavano dette dal capitano Basch von Rosenburg, figuriamoci da suo fratello, un Giudice Magister accusato di crimini di guerra in terra dalmasca.
Non c’era nemmeno bisogno di rivelarle, certe cose: Larsa aveva imparato a leggerne ogni riga in quegli occhi sempre velati di malinconia.
«Si sposa?»
Larsa alzò gli occhi dal foglio con tranquillità, sicuro di incontrare quelli di Basch – immobili, trepidi, impegnati, senza alcuna possibilità di riuscita, a trattenere quella scintilla di vivida, concitata agitazione che l’aveva smosso.
L’imperatore – che a sostenere quello sguardo si sentiva colpevole come se l’unione l’avesse arrangiata lui – annuì.
«A quanto pare sì. Dicono che Lady Ashe abbia saputo preservare l’indipendenza di Dalmasca con un trattato, e che Al-Cid l’abbia accettato di buon grado.»
Basch annuì, mentre qualcosa dentro di sé constatava che del trattato non gliene importava un accidente, e che Larsa, in maniera più che comprensiva, continuava a parlare del nuovo assetto politico sfiorato.
«Resta il fatto che avrò degli affari improrogabili giù alla Costa Phon,» aggiunse infine, con un sorriso furbo «e sarò quindi costretto a mandarvi in mia vece, Gabranth.»
Era un ordine che avrebbe rifiutato volentieri, se non si fosse trattato dell’ultima occasione per rivedere lei per quello che la ricordava, e se Larsa non gliel’avesse ordinato proprio per permetterglielo.
«Potrebbe essere pericoloso, signore» obiettò Basch, puntuale «non sono benvisto a Dalmasca.»
«Potrebbe essere imperdonabile non esserci» ribatté Larsa, serafico, e Basch sapeva che, fra i tanti significati diplomatici e politici di quell’affermazione, ce n’era uno – che non aveva nulla a che fare con tutto ciò – che era solo per lui.
«Avete ragione» capitolò con un sorriso, accennando un inchino col capo prima di accingersi a uscire dalla stanza.
«Non ho ancora finito, Gabranth,» aggiunse l’imperatore, nascondendo la curva compiaciuta delle labbra dietro alla pila di scartoffie «credo che una vostra duratura presenza a Dalmasca possa meglio saldare il suo rapporto di amicizia con Archadia, nonché cambiare la reiterata opinione che Dalmasca ha nei vostri confronti. E poi, francamente, temo di dover affrancare le mie capacità politiche dalla vostra protezione – sono grande abbastanza, ormai.»
Il che era una falsità di insondabili proporzioni.
«Non fate quella faccia,» rise Larsa, ben consapevole di quanto Basch stesse ingaggiando una lotta con i suoi principi «non c’è nessuna guerra in atto. Il Senato saprà starsene buono per un po’.»
Basch rimase in silenzio, costringendo il sovrano ad alzare gli occhi dalle carte.
«Andate dalla vostra regina, Basch. Credo abbia davvero bisogno di voi. Molto più di me al momento, almeno.»
Stavolta, lui si concesse un sorriso luminoso, dietro al quale si nascondeva un’amarezza della quale un uomo come lui non osava nemmeno ammettere l’esistenza, ma che non riusciva a inghiottire e sedare in alcun modo.
Uscì con passo risoluto, chiudendo la porta e facendo risuonare il tonfo nell’ampio studio illuminato.
«Oh, ma Al-Cid mi sentirà…» borbottò Larsa, tornando quietamente a scribacchiare sui suoi documenti.

*

«Con tutto il rispetto per il vostro senso estetico,» bisbigliò Ashe a mezza voce, ritta al suo fianco sul carro da parata inondato di fiori «mi sento ridicola.»
«Con tutto il rispetto per il vostro, Lady Ashe,» rispose prontamente Al-Cid «siete di un bello indecente.»
«Colpa del fucsia,» ribatté lei con un certo risentimento «mi fa sentire una entraîneuse.»
«Ma la vostra minigonna non era forse—»
«Al-Cid,» lo interruppe Ashe con un ringhio «fate silenzio.»
Obbedì.
«Avete rimpianti?»
«Non siate—»
Spiritoso.
Per qualche becero scherzo del destino, Ashe si voltò in un gesto casuale, dettato forse dal fastidio per il velo troppo lungo, e i suoi occhi catturarono l’immagine di Gabranth – di Basch – giunto in inimmaginabile ritardo ad occupare il posto d’onore che avrebbe dovuto essere di Larsa.
«Proprio ora sto avendo il rimpianto peggiore di tutta la mia vita.»
Al-Cid tacque, limitandosi a porgerle il braccio quando giunsero in cattedrale.
Ashe fu lieta di non poter vedere gli ospiti, fra la penombra fumosa, appena punteggiata della vaga luminescenza delle candele – in caso contrario, si sarebbe sentita non solo a disagio, ma anche stupida e pretenziosa, per il fatto di sentirsi in colpa nei confronti di un uomo che mai avrebbe pensato a una cosa simile, non quando era stato così risoluto a lasciare Dalmasca con un altro viso e un altro nome.
Quando il sacerdote parlò di fedeltà e di vincoli indissolubili, sia lei che Al-Cid sorrisero con impercettibile, complice ironia.
Era bello – pensò, baciando lievemente le sue labbra – il pensiero di avere un alleato.

*

Lo aveva sospettato, che affrontare il pranzo sarebbe stato molto più difficile. Fra il chiasso degli ospiti e della musica, i suoi pensieri sembravano far rumore, e Basch – in virtù di rappresentante dell’imperatore di Archadia – aveva ben pensato di sedersi di fronte agli sposi, il che aveva costretto Ashe ad intraprendere bocconcini di una conversazione quantomai sciocca e affettata, con l’orrenda convinzione che Basch potesse apertamente vedere il misto di felicità e angoscia che l’aveva riempita nel rivederlo. Non che fosse, d’altronde, particolarmente difficile: era abituata a dissimulare le emozioni in pubblico, ma stava tagliuzzando la sua porzione di frutta caramellata da circa venti minuti, senza averne portato alle labbra nemmeno un boccone. Al-Cid stava tentando di osservarla con signorile disinteresse, ma, purtroppo, riusciva solamente a sorridere mentre la guardava trafficare inutilmente con le posate.
Avrebbe meritato una gomitata fra le costole, ma Ashe decise felicemente di ignorarlo: sorrideva a Basch – come aveva fatto poche volte, durante il periodo che avevano trascorso fianco a fianco.
Vederlo ricambiare le stringeva il cuore e, con un gesto malfermo, depose la forchetta accanto al piatto in segno di resa.
«Ad ogni modo, Giudice Gabranth, Dalmasca è felice di avervi qui» disse, stringendo le dita sul tovagliolo di seta.
Basch sorrise in una maniera che lo rendeva molto meno simile a suo fratello.
«Vi ringrazio, Vostra Maestà. Mi sembra di essere a casa, qui.»
La regina trattenne una risata – se non l’avesse fatto, tutta la copertura sarebbe saltata. Inoltre, cosa ancora più importante, quella cascata di allegria si sarebbe trasformata in un pianto che non sarebbe riuscita a controllare.
Preferì voltarsi verso le eleganti finestre bifore: dai loro complicati arabeschi filtrava un sole delizioso.
«È una giornata splendida. Sarei intenzionata a godermi un po’ di questo bel sole, e di mostrarlo anche a voi, Gabranth… Le giornate, ad Archadia, devono essere assai più rigide… Vi farebbe piacere?»
«Sicuramente, Maestà» le rispose lui, annuendo rispettosamente.
Ashe si volse verso Al-Cid, che ingoiò con giulivo piacere un pezzo del suo dessert.
«Andate pure, mia cara. Avrò tempo per godermi le delizie della stagione, ma il dessert si vive una volta sola.»
Il suo accompagnatore raggiunse la regina per offrirle il braccio e condurla su una delle spettacolari terrazze che gettavano l’occhio su Rabanastre. Dal salone, tutti ballavano e mangiavano contenti, accompagnandosi con crotali e liuti, e nessuno faceva caso a loro, agli occhi di Basch fissi su di lei in un sorriso addolorato mentre realizzava che un solo anno era stato in grado di far sbocciare la sua regina in una splendida donna, e che il lieve profumo di vaniglia e limone della sua pelle era rimasto lo stesso.
«Non avrei mai creduto che sareste potuto tornare davvero» sussurrò Ashe, nascondendo l’eccesso di emozione. Basch rise, rivolgendo gli occhi azzurri verso di lei.
«Vostra Maestà ha poca fiducia in me come in passato, vedo… anche se devo ammettere che, stavolta, il merito del mio ritorno è tutto interamente vostro… e di Lord Larsa, s’intende.»
«Il giovane imperatore più impegnato di Ivalice, a quanto pare… Sono andata a sposare lo sfaccendato sbagliato, temo!» rise, con una mano davanti alle labbra.
Basch, con maggiore serietà, osò sfiorarle la mano. All’anulare, sotto la nuova fede, scintillava al sole anche quella che già conosceva.
Non c’era proprio spazio.
«Invece io vi vedo inaspettatamente felice.»
Era un infame. Un bugiardo infame.
«Oh, beh. Sì, suppongo di sì» asserì Ashe, asciutta, presa dall’improvvisa tentazione di evitare la limpidezza di quegli occhi.
Questo, mentre Basch continuava a dare del bugiardo, dell’infame e del fedifrago a se stesso e a quell’impiastro del suo imperatore mignon. L’aveva detto, lui, che sarebbe stata una pessima idea!
«Se cominciate a supporre mi renderete triste, milady. Ricordate che io voglio lasciarvi in buone mani!»
E non voglio pensare a quando quelle stesse mani ti accarezzeranno.
«Sono grande e forte, adesso.»
In quanto a bugie, Ashe certamente sapeva tenergli testa.
Con la coda dell’occhio, Al-Cid osservò le due sagome attraverso la portafinestra, immaginando – non a torto – che i due si stessero torcendo le dita, incerti sul da farsi dell’infattibile.
Sospirò, visibilmente corrucciato.
Come doveva fare con quei due?
Fece un cenno a una coppiera, che si avvicinò timidamente al suo signore.
«Comandate, Maestà?»
«Chiudi un po’ la portafinestra, e accosta anche la tenda, il sole mi arriva dritto negli occhi.»
«Non preferireste i vostri occhiali da sole lì nel taschino, sire?»
«Al mio matrimonio? È decisamente poco chic» sentenziò l’imperatore, con un gesto di sofisticata noncuranza.
Nobili, pensò la ragazza, apprestandosi ad obbedire, tutta gente piena di strane fisse!
Il drappo di velluto calò su Ashe e Basch come una sorta di liberazione.
Il capitano dalmasco si irrigidì quando le dita di Ashe si appoggiarono sulla cicatrice che gli attraversava il sopracciglio.
«Siete davvero voi…» e stavolta gli occhi le brillavano di lacrime mentre scendeva a tracciare il contorno della sua guancia, fermandosi sulle sue labbra.
Basch non disse niente. Chiuse la mano di lei nella sua e le baciò delicatamente il polpastrello, scivolando piano su tutte le altre dita, sulle nocche della mano, attirandola verso di lui, sfiorandole il viso, i capelli, le guance.
«Finalmente qualcuno che può dirmelo con certezza, mia signora… temo di aver passato troppo tempo nei panni di qualcun altro.»
Ashe rise in un singhiozzo, mentre le parole di lui scivolavano sulla sua bocca come il vento del deserto.
«Mi siete mancato» disse soltanto, prima di accarezzare le labbra di lui in un piccolo bacio, dal quale Basch si ritrasse appena, prima di chiudere nuovamente gli occhi e baciarla a sua volta, dischiudendo la bocca contro quella di lei.
Nel mentre, Al-Cid poté constatare, immaginandosi la scena, che, fra tutti gli sbagli di Basch von Rosenburg, quello fosse decisamente il più sensato.

*

«Sapete,» esordì Al-Cid quella sera, sedendosi sul bordo inferiore del loro letto – uno che nessuno aveva mai toccato, dato che Ashe aveva ordinato di sprangare la camera da letto che aveva diviso con Rasler «vi ho visto quest’aria felice in viso solo quando vi ho bendata, quella sera.»
Seduta sul lato destro, Ashe rise, stringendosi meglio il nastro di raso della veste da camera. Lo guardò negli occhi con quella tipica espressione da bambina che Al-Cid aveva trovato così curiosa la prima volta, e si scansò per fargli posto vedendo che lui, alzandosi, le si avvicinava e, in piedi, le cingeva la vita, chino su di lei.
«Grazie, Al-Cid.»
«È un piacere, mia cara» rispose lui, catturandole le labbra in un bacio.
Con le mani sul suo petto, Ashe si irrigidì per un momento mentre lui saliva sul materasso insinuando un ginocchio fra le sue gambe, le lunghe dita sotto la lucida fascia di stoffa.
La sciolse accarezzando delicatamente il pizzo teso sul seno di lei, e Ashe fremette quando Al-Cid scivolò sulla pelle al disotto, baciando la linea invisibile fra i suoi seni e spezzandole appena il respiro. Si concesse un sorriso prima di schiuderle di nuovo le labbra e lasciare che le sue mani gli sfilassero i vestiti di dosso, attardandosi ad accarezzarlo strofinando la stoffa morbida contro la pelle.
«Uh?»
Al-Cid si riscosse, sorpreso, quando lei scivolò a terra, baciandogli il ventre nello slacciare la cintura dei suoi pantaloni. Sembrava che il riso sulle sue labbra implicasse un tacito messaggio di scusa.
Quasi intenerito, lui la prese in braccio – i merletti della veste ancora impigliati attorno ai suoi bei fianchi di bambola – preoccupandosi di voltarla verso la specchiera e di avvicinarla ad essa.
Ashe si osservò come se non si fosse mai vista prima di allora, il sorriso di Al-Cid a farle da ombra dietro la spalla. Vide i seni sodi e rotondi, i suoi fianchi da donna e lunghe, agili braccia, mani curate e affusolate, vide le dita di lui che tratteggiavano la sua clavicola, mentre le sue labbra baciavano la curva della sua spalla e quella del collo, facendola gemere appena.
Non poteva sentire il suo stesso sapore – salato, perché la giornata era stata calda, e amaro, perché amaro era il gusto del fresco profumo che aveva spruzzato quella mattina.
Facendo ben attenzione che lei stesse guardando, suo marito prese la sua piccola mano bianca sotto la sua, e la poggiò appena sui riccioli biondi del pube.
Arrossendo, Ashe lo guardò come se volesse chiedergli spiegazioni, ma non avesse il coraggio di farlo.
Incapace di trattenersi, Al-Cid ridacchiò nel suo orecchio, mordicchiandolo.
«Toccati. Hai paura?»
La regina sembrò arrossire ancora di più.
«Non ci hai mai provato?» chiese in tono meravigliato.
«Uhm…»
Al-Cid rise ancora, baciandole il retro della nuca.
«Sei proprio una sorpresa.»
Forse avrebbe dovuto arrabbiarsi, pensò Ashe, ma lui non gliene diede il tempo, aiutando le sue dita a scivolare più in basso.
Schiacciando quasi il suo corpo contro lo specchio freddo, Al-Cid sentì il lieve gemito di Ashe intrecciarsi al suo quando, premendosi un po’ di più contro di lei, le diede modo di sentire la sua erezione, spingendo appena la punta delle sue stesse dita.
Ashe si ritrasse un attimo, ma lui, senza fiato, la tranquillizzò lisciandole il dorso della mano.
«Pensa che io sia lui.»
«Ah—» bisbigliò lei, in un singhiozzo bagnato, mentre Al-Cid la pressava fra sé e lo specchio, guidando le carezze di lei, il rossore delle sue guance contro il gelo del vetro e il ventre trattenuto dall’altra mano di lui.
Ashe si sentì quasi mancare quando il suo bacino si mosse timidamente contro il proprio, come a volerle dare il ritmo giusto, ma si arrestò quando il desiderio di lei gli bagnò i polpastrelli.
Sorrise, con un velo di tristezza.
«Dio, non ti ho mai vista così…»
Perché sei tornato a Dalmasca.
Ashe si lasciò andare, affondando la lingua fra le labbra di lui, quando lui sporse delicatamente il viso per reclamarla.
Perché sei tornato da me…
«Per gli dèi, Ashe,» soffiò Al-Cid nel suo orecchio «cosa diavolo ti avrà mai fatto, per farti bagnare così?»
Con una lentezza infernale, Ashe si sfregò contro di lui in un gesto quasi inconscio, facendo in modo che un brivido gli increspasse la pelle sudata.
«Oh, Ashe—» biascicò, in un gemito strozzato, mentre si immergeva lentamente in lei, che si morse le labbra per sopprimere un piccolo grido.
Al-Cid la prese per i fianchi, aiutandola a seguire i suoi movimenti, baciandola e accarezzandola ovunque le sue labbra riuscissero ad arrivare, fino a che, finalmente, Ashe non si lasciò sfuggire quel dannato gemito, confondendolo con il suo.
Svuotati e madidi di sudore, rimasero fermi l’uno contro l’altra, l’uno nell’altra, a riprendere fiato, e Ashe sussultò quando Al-Cid uscì da lei.
«Ashe?» mormorò, appoggiandosi contro di lei in un abbraccio, la voce che scottava come una febbre. Leggera e piacevolmente stordita, lei fece per voltarsi e si lasciò baciare, prima di finire nuovamente con il seno contro il suo petto.
Piano, Ashe si avvicinò a lui quanto più poté, per strofinarsi avanti e indietro contro di lui, in un movimento costellato di baci e di carezze, le dita che correvano curiose sulla sua pelle, finché Al-Cid non le prese di nuovo fra le sue.
«Toccami tu, ora.»
«Come?» balbettò Ashe, spaesata, facendosi guidare in qualche morbida carezza contro di lui, fino a sentirlo sbuffare in un singhiozzo a metà fra un gemito e un sorriso, che si chiuse sulle sue labbra mentre lui la faceva aderire con la schiena allo specchio oramai appannato.
Ashe lo baciò stringendo le mani fra i suoi capelli scuri, circondandogli il collo con la braccia e la vita con le gambe, inarcandosi fino a incontrarlo di nuovo.
Con un fremito, sollevò la testa, le palpebre abbassate mentre scivolava in lei.
«B… Al-Cid!» si corresse, stringendosi forte contro di lui fra un bacio e l’altro.
«Non c’è bisogno di essere così accorti, amore mio,» rise lui «ma ti ringrazio lo stesso…»
E mentre premeva il naso nella sua spalla, aspirando il profumo di lei mischiato col suo, Al-Cid la sentì cedere contro di sé in un sospiro e si rilassò a sua volta, tenendola stretta a sé per adagiarla sul letto, e adagiarsi al suo fianco.
I triangoli erano una cosa invero complicata, pensò, ascoltando il respiro silenzioso di Ashe che, mentre lo guardava, gli scostava il ciuffo di capelli della frangia.

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A/N 1 dicembre 2008, ore 15:36. Sappiate che questa storia finirà per uccidermi, e che liz è la principale responsabile di tutto questo XDDD dato che Love is blindness l’ha completamente rimbecillita di gioia fangirlante su un fandom che manco è suo, <3 amore di donna che è! Ecco quindi che questo è il seguito del suo amabile spinoff (spinoff che, *cough*, al momento in cui sto scrivendo, non ancora esiste *cough, liz, COUGH*), ed è una fic breve ma intenserrima, che vi assicuro sarà piena di sorprese XDDDDDDDDD! Mi raccomando, seguitela senza uccidermi! Juuhachi Go.

Juuhachi Go.

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