Titolo: The dancer
Fandom: Kingdom Hearts II
Personaggi: Axel, Roxas
Parte: 1/1
Rating: NC17
Conteggio Parole: 1063 (LibreOffice)
Note: omosessualità, nsfw, e spoiler su KHII, su prompt di 52_flavours
11. Your pretty blue eyes are just stained glass
Importa relativamente poco al Mondo Che Invece Esiste – fuori da loro e dalla loro esistenza – il fatto che Roxas abbia deciso di girare i tacchi in barba a tutta l’Organizzazione. Il mondo continuerà a scorrere ignaro e indispensabile: lui un Custode ce l’ha, inoltre: Roxas non custodisce che se stesso, dietro i freddi occhi blu. Si è sigillato talmente in profondità che nemmeno Axel riesce ad afferrare alcunché di lui.
Non è strano.
I Nobody non possono sentire.
Axel aggira la questione – non fa altro che leggere in superficie su quello sguardo, e per interpretarlo ci vuole veramente un’arte sottile di cui si compiace per un attimo. Ma non è che lui senta Roxas.
Eppure sa che se ne andrà.
E dannazione, non gli serve il cuore per andare in bestia.
*
«Mi stai seccando.».
Passi nervosi lungo il bianco impersonale del corridoio.
«Anche tu.».
Roxas si volta stizzito, e i suoi occhi attraversano quelli di Axel con una frecciata.
«Vedi? Almeno io sono onesto, e il tuo mutismo mi sta veramente sulle palle oggi.».
«Facci l’abitudine e fatti i cazzi tuoi, Axel.»
«Non farò in tempo a fare nessuna delle due cose.» risponde, con un sorriso mesto. Qualunque cosa deve aver toccato, si trova molto in profondità. Non è stupefacente? Loro dovrebbero essere involucri a due dimensioni.
*
Axel è nelle sue radici. Affonda nel suo spessore inesistente, si dice Roxas, impotente: non riesce ad abbandonare il suo pensiero, le immagini impresse nella sua mente come fotografie patinate.
He came riding fast like a phoenix out of fire flames
He came dressed in black with a cross bearing my name
Eppure il suo fuoco non lo brucia. Gli sembra così remoto, chiuso in una scatola tanto distante da qualunque parte cava del suo petto, che pensa benissimo di potersene separare.
O almeno di poterla spingere ai margini della memoria, quella muraglia nera e scivolosa su cui ogni uomo – o frammento di esso – scivola invano, senza poter né scendere né risalire.
Esce dalla sua stanza e si dirige a passi svelti dove?
*
Lo accoglie una stanza circolare.
Grandi disegni sono scavati nel marmo, e leggere, lunghe tende arancioni ricoprono tutta la sala, come una folla di fantasmi imbarazzati; come un inferno – Roxas deglutisce – di fiamme spente.
La vetrata di fronte a loro è spalancata, il cielo è senza stelle.
Quieto.
Piatto.
Axel è lì.
Lo sa – e non aveva affatto voglia di incontrarlo, ma se lo ritrova esattamente alle spalle.
Ha le braccia conserte, il sorriso sbilenco ed è pallido come un morto.
«Mi stai evitando?».
Silenzio.
«Mi stai preparando?» e ha quasi il tono di una scoperta, piuttosto che di una domanda.
Rispondere “a cosa?” sarebbe compromettente e scomodo: Roxas sceglie il silenzio – sceglie qualunque cosa sia lontana da Axel, non è lui che vuole, non gli interessa, se prima non sa cos’è lui stesso.
«A cosa?».
Ma gli scappa e basta.
«Semmai tu prendessi la decisione di andartene – ma tu non puoi farlo – lo sai che il primo che manderebbero ad ucciderti sarei io.».
«Almeno saprei di avere davanti un avversario metodico.» risponde Roxas con un’alzata di spalle.
È sull’orlo del riso, ma Axel non gradisce lo scherzo.
«Non sono mai metodico quando sono incazzato.» ringhia, afferrandolo per un polso. Roxas si aggrappa a uno dei drappi di velo con un pugno e libera nell’aria una risata sprezzante.
«Axel, io conosco tutti i tuoi punti deboli. Potrei ucciderti anche ora.»
«Avanti.» Axel lo deride, indicandosi, ma un suo pugno scatta sulla faccia di Roxas come una molla non appena il ragazzo prova ad avvicinarsi.
È guerra, pensa Roxas, rotolandosi a terra con Axel sopra di lui fra tutti quei veli. Lo è sempre stata.
Molti drappi si stanno staccando, piovono su di loro come piume fra i colpi violenti che si assestano, si macchiano – Roxas si asciuga il sangue che cola dall’angolo della bocca e tenta di restituire il colpo. Lo manca.
«Vaffanculo, Roxas.» sibila Axel, nel floscio tulle che li avvolge, mentre tira giù la zip del suo cappotto. Roxas si divincola come un pazzo, ma Axel non desiste: non può, è una questione di principio che vale tutte le bestemmie furiose di quel moccioso di merda. Gli sfila i pantaloni.
Nessuno parla, in quel mondo arancione.
Chino fra le sue gambe – Roxas è troppo attonito anche per liberarsi con uno strattone – Axel lo studia con una rapida occhiata e lo avvolge piano con le labbra.
Tutto quel che Roxas ha potuto sentire fino ad ora è stato il suo calore. Ma non basta. Non basta a nessuno, nemmeno a lui.
He said “Laugh a while, I can make your heart feel”
He said “Fly with me, touch the face of the true god”
Il calore si disperde, senza un cuore pronto a contenerlo.
Uno sforzo inutile.
Sottile e inconsistente come un foglio di zucchero.
Roxas si muove piano nel fruscio dei veli che li tengono uniti – il nodo è troppo fragile e casuale, lo puoi tenere insieme solo se ne hai voglia – adesso Axel lo sente duro e pulsante sotto la lingua, può vedere i suoi ansiti mentre lo lascia scivolare più a fondo in bocca. Roxas è tutto una corda di violino, le mani chiuse fra i suoi capelli – un groviglio irto e inospitale – a guidare il ritmo della lingua di lui attorno al suo sesso; non è sottomissione.
And then cry with joy at the depth of my love
Axel riesce a farti sentire sottomesso anche a scoparti da sopra, con tutta la malagrazia del mondo.
E Roxas – più forte, più veloce – lo odia di brutto, questo fatto.
Axel lo sente trattenere un qualcosa che minaccia di sfuggirgli dalle labbra: il suo corpo è scosso da un singhiozzo che lo fa fremere tutto, lo sente gemere e sospirare, accaldato, stoico e inerme.
«A-Axel.».
Vai all’inferno, Axel.
Vorrebbe urlarglielo: si limita a lasciarsi andare fra le sue labbra. Si svuota tutto, il respiro è un tamburo nel petto, i nodi dei veli sono lenti, e gli occhi di Axel verdi e muriatici.
«Non ti ho chiesto niente.» mormora, indifferente.
Raccoglie i suoi abiti, passa una mano fra i capelli, si districa da lui, dai veli, gli dà le spalle.
«Nemmeno io.».
E guardami ora, Roxas.
Roxas finge di non sentire – non è questo che gli interessa, cantilena nei propri pensieri: il nodo si è sciolto.
Si allontana.
~
A/N 14 agosto 2008, ore 4:31. Buon Akuroku Day in vistoso ritardo. Ho cercato disperatamente di scrivere qualcosa su di loro e di dedicarla a Nausicaa (il sesso orale con Roxas seme è colpa sua XD!), che arriva qui alle 14 è_é. Il titolo e i versi sparsi vengono dall’omonima canzone di PJ Harvey, scelta e pseudo-fanficcata in mezz’ora, cosa di cui chiedo perdono al cosmo. Il riferimento al’”effetto sottomissione” di Axel è un rimaneggiamento di una lol-volgarità di mamma liz, che io amo e venero <3. Prometto solennemente che le prossime Akuroku – nonché le altre due pianificate per questa giornata .___. – non faranno cagare in maniera così vergognosa… ma ci tenevo proprio a buttar giù qualcosa. Ogni tanto farei meglio ad astenermi XD. Me e le mie manie XDDD. Beto al risveglio, o potrei profondermi in parolacce.