[X] Piece by piece

Titolo: Piece by piece
Fandom: X
Personaggi: Subaru Sumeragi, Setsuka Sakurazuka, Seishiro SAkurazuka
Parte: 1/1
Rating: PG13
Conteggio Parole: 2665 (LibreOffice)
Note: omosessualità, spoiler X16, 17 e 18, accenni incest, songfic. All’epoca fu scritta per la Disfida Dualiteam del fu Criticoni, e la mia squadra /Harriet, Shu, Wren ed io) arrivò terza

Piece by piece
Amore/Odio

«Che senso aveva tenere ancora due cuscini nel letto?»
– Senza titolo,
Shu

Lo scroscio melodico e primordiale della pioggia si era fatto sentire sulle foglie lucide del giardino. Setsuka ne vedeva l’ombra guizzare rapida sugli shoji, come un invisibile popolo felino che rotolava agile sull’ordinato fiorire della vegetazione.
Ancora immersa in una compatta lanugine di sonno, sfregò le piccole dita sugli occhi e si mise a sedere fra le coperte spiegazzate, i capelli liberi sulla sua schiena come la densa, odorosa ombra di un fantasma. Il sogno – l’aveva sentito battere dietro le palpebre a piccoli passi, in un fremito sanguigno di vita e di verità – aveva danzato sotto le sue ciglia con una tale vividezza che ora, al suo confronto, la realtà pareva il frutto di una grottesca distorsione.
Aveva visto, Setsuka. Aveva visto quanto bastava e quanto si aspettava di trovare all’interno di un’esistenza peculiare come quella di Seishiro: l’inamovibile freddezza di un cristallo di ghiaccio, il colore rosato dei fiori di ciliegio punteggiati di sangue caldo e rosso, l’assoluto, impersonale biancore delle sue emozioni, il nero sicuro e impenetrabile dei suoi desideri più reconditi e insondabili. Nulla di straordinario, in un Sakurazukamori, se si escludeva il fatto che, in suo figlio, tutti i poteri del clan scorrevano nella loro essenza più pura, come non era mai accaduto a memoria d’uomo.
Eppure, sorrise, nella linearità del futuro già scritto per lui c’era una crepa della più mirabile fattura, tinta di un verde quasi prepotente, nella sua intensità.
Chiuse gli occhi e, attorno a quel colore, si delineò l’esame attento di uno sguardo curioso e innocente che le restituì l’occhiata in un gioioso ammiccare, ma solo quando vide passare l’ombra di suo figlio, dietro alla notte fonda di quelle pupille, comprese.
La stella di Seishiro era così vertiginosamente splendente perché sarebbe stata l’ultima.

*

Subaru aveva scelto, fra la gamma di futon che il vecchio oshiire gli aveva offerto, quello più ampio di tutti, in cui, nella sua immaginazione, Seishiro doveva essersi steso anche solo per capriccio, in un tempo in cui la successione a capo dei Sakurazukamori era un delizioso gioco di morte sulle spalle di un florido ragazzino.
Voltandosi nelle spire di un sonno che sarebbe rimasto declassato a vago senso di torpore, Subaru fissò il suo sguardo disuguale sul vuoto del cuscino al suo fianco, sulla stoffa sgualcita della federa, mentre le lenzuola fredde gli facevano salire un brivido dietro la schiena.
Forse di Seishiro c’era solo la polvere, si disse, in uno slancio di malinconia poco consono, e il sentore dei suoi sogni ridotti in mille briciole, in uno schema crudele di linee parallele in cui Seishiro non era mai passato per deviazioni. L’unica volta in cui si era chinato verso la sua traiettoria, presumibilmente in un moto di perversa compassione, aveva fatto in modo che il segno dell’evento lasciasse un solco nella sua pelle, più in profondità di qualunque altra cosa al mondo.

Subaru-kun, io ti amo.

E nessuna di quelle parole aveva ragione di sussistere, non meno di quanta ne avesse Subaru per rimanervi aggrappato.

First of all must go
Your scent upon my pillow
And then I’ll say goodbye
To your whispers in my dreams

I frammenti di quello che rappresentavano si velavano di apatia – meglio così, si ripeteva lui, perché quel che rappresentavano non era mai esistito come avrebbe dovuto – che si abbarbicava sulle rocce come muschio, copriva le fenditure e le asperità, man mano che il tempo passava.
Ma, come tutte le cose che circondavano Seishiro, anche quella era un’illusione.
Non esisteva rimedio per rimarginare ferite del genere.
A volte Subaru aveva la sgradevole impressione di essersi costituito attorno ad esse, che la sua carne si fosse generata dal taglio che Seishiro aveva inciso in lui prima ancora che nascesse.
E poi aveva reciso il filo, ovviamente.
Aveva biforcato le strade, gli aveva concesso delle scelte che scelte non erano, era sceso dentro di lui come un fantasma.
Per quanto gli riguardava, Subaru aveva inghiottito – era stato giusto e sacrosanto passare sopra all’idea della sua morte e del morire per lui – e si era preso la sua vita e la sua casa e tutto ciò che avrebbe fatto di lui un assassino.
Seishiro si era preso i suoi sogni.

And then our lips will part
In my mind and in my heart
‘Cause your kiss
Went deeper than my skin

Li aveva riempiti tutti con una prepotenza che scavalcava anche i suoi usuali limiti, perché Subaru sognava della vita che era rimasta vent’anni intrappolata nei pori del legno di quella casa – una vita in cui Seishiro era un ragazzo imberbe che una donna meravigliosa prendeva per mano, una vita che lui vedeva solo con gli occhi dello sciamano, con lo sguardo talentuoso e assoluto del suo potere. Le vibrazioni spirituali s’infilavano nella sua mente indifesa nella quiete del sonno e diventavano materia – c’era ben poco che Subaru avrebbe potuto fare, anche se avesse voluto. Semplicemente, le ore che non spendeva in sempreverde veglia sul suo pensiero affondavano a piene mani in quel passato a cui sopperiva con tiepida fantasia, nei momenti in cui non bastava più vederne con i propri occhi, con l’amore che corrodeva lo stomaco come un veleno.
Perché l’aveva lasciato lì.
In balia della geometria fatalista in cui l’aveva rinchiuso, indifferente a un “prima” e a un “dopo” in cui Subaru si sentiva ugualmente cieco, in cui l’unica costante era un cuscino che non era stato mai pieno.

First of all must fly
My dreams of you and I
There’s no point in holding on to those

Sorprendentemente, nelle sue peregrinazioni senza pace all’interno di quelle stanze in cui si sentiva più ospite trascurato che altro, trovava più tracce di vita di quanto avrebbe creduto possibile: a cercarle, nella linda tetraggine dell’ordine che lo circondava, Subaru scovava i giocattoli impolverati e smontati di un ragazzino, e un tocco solo bastava a determinare l’età delle mani che vi avevano armeggiato – nove, dieci, undici, dodici, e io ero nato a malapena, si ripeteva sempre – e a riconoscere l’antica novità di quei tratti arrotondati nella morbidezza della puerilità, in un minuzioso disegno di particolari che si formava rapido sotto le palpebre come con l’aiuto di un ragno zelante.

*

La trovò in un giorno uguale a tutti gli altri, chinandosi fra gli scatoloni di un piccolo ripostiglio scardinato.
Con Seishiro se n’era andata una parte della sua discrezione – in una casa non viva e non sua i pomeriggi non passavano, né la luce filtrava, attraverso la polvere che l’aveva invasa come una nebbia. Si sentiva come uno scavatore che si faceva largo con le mani in un cumulo di rovine e, allo stesso tempo, si muoveva con il reverenziale timore di scorgere i fantasmi a cui quel posto apparteneva di diritto.
Era grande e scura. Non aveva fatto in tempo ad esplorarla tutta – non aveva voluto riaprire ferite, non aveva voluto affacciarsi più del necessario sulle visioni di raffinata felicità che gli si affacciavano alla mente ogni volta che toccava qualche oggetto, ma lo sgabuzzino sembrava ammiccare verso di lui, con gli scatoloni esposti in bella vista a suo uso e consumo.
Avvicinandosi, notò come nessuno avesse aperto e toccato nessuno di essi per lungo tempo: erano strettamente sigillati con parecchi giri di nastro adesivo, oltre che coperte da uno spesso strato di pulviscolo su cui si era subito impressa la sagoma delle sue dita.
Lacerò il cartone con una testardaggine che non aveva mai sentito tanto forte prima di allora, per poi lasciare che il contenuto scivolasse leggero a terra, avvolto in un lieve odore di vecchiume e di cipria. Obi e varie parti di kimono spaiati, ventagli, fermagli, bracciali e inutili gingilli, fiori di carta, biglietti e boccette di profumo disseccato rotolarono sul pavimento in un fragoroso tintinnio.
Lentamente, le mani di Subaru si misero alla ricerca di qualcosa che potesse sentire veramente suo, fra le stoffe e il ciarpame spuntati da un’epoca lontana in cui lui non esisteva ancora. Dalle pieghe di seta affioravano solo resti ingialliti di fotografie in cui una bellissima donna – quella dei suoi sogni – sorrideva con aria affascinante all’ombra dei ciliegi in fiore, sotto al braccio di Seishiro, seduta accanto a Seishiro su una tovaglia da picnic, o sulla neve, circondata di bambole in un’immagine e di camelie in un’altra.
Seishiro non c’era.
Non c’era mai stato, perché quello che vedeva non era Seishiro. E quella donna – a Subaru i sogni gliel’avevano sussurrato sulla pelle – lo sapeva meglio di lui. Non l’avrebbe mai visto davvero, e non avrebbe mai potuto amare più di quel che vedeva.
Il resto era toccato tutto a lui, realizzò Subaru amaramente, proprio mentre le sue dita scivolavano su una cravatta, su un flacone di profumo recente, pieno solo per metà, che nessuno aveva avuto il tempo di vuotare. Accanto, c’era una foto in cui erano in tre, raggianti, splendidi, illuminati di quella felicità così meravigliosa che poteva essere solamente finta.
Trattenne un singhiozzo mentre le lacrime prendevano a bruciargli sulle guance come vetriolo.
Gli sembrava di impazzire.
Probabilmente Seishiro non avrebbe atteso altro, si schernì con rabbia.
«Vaffanculo, mi hai sentito? Avresti potuto lasciarmi la voglia di morire! Ma devi sempre fare quello che vuoi, con me! Tanto lo sapevi, che sarebbe andata come volevi. E lo sapevo anche io!»

E sarà sempre così per tutta l’eternità.
Sono io che ti amo, Seishiro-san.
Avrei voluto amare me stesso con un centesimo della stessa intensità.
Sarebbe andato tutto meglio.
Sarei stato io a tagliare il filo, senza lasciar fare a te.

And then our ties will break
For your and my own sake
Just remember
This is what you chose

La bambola era rotolata giù dal fondo della scatola con un rumore inudibile, e gli era caduta fra le mani nel più assoluto silenzio.
Era un involto di pezza sporco e floscio, su cui due bottoni facevano da occhi, e un rado involto di lana imitava dei lunghi capelli neri. Dei ritagli di stoffa colorata erano stati cuciti sul corpo a mo’ di kimono.
La tristezza di Subaru scemò in un lampo di meraviglia.
Quel giocattolo sudicio e dozzinale doveva essere stato tutto fuorché un divertimento interessante, per Seishiro, ma, percorrendone i tratti rozzamente ricamati sul tondo schiacciato della faccia, Subaru avvertì l’elettricità raccogliersi sulla punta delle dita, come se le due cose si attraessero irresistibilmente.
Improvvisamente, sentì il fiato esaurirsi in un soffio, mentre i suoi occhi attraversavano la trama della stoffa trapassandola come una lama.
Fu allora che vide. Tutto quello a cui aveva il diritto di assistere.

*

«Vieni, Seishiro» si levò dolcemente la voce di sua madre, sovrastando il liquido canto della pioggia «Ho voglia di giocare un po’ con te, oggi» sorrise, aggiustando il nodo sontuoso del kimono nel riflesso dello specchio.
Suo figlio fece capolino dal fusuma con una squisita aria di obbedienza tratteggiata sul viso elegante, e trovò Setsuka intenta a tirar fuori dal suo cestino di cucito gli aghi, la lana e la stoffa variopinta che usava per cucire futili e deliziose pupattole di stoffa. Inginocchiandosi accanto a lei, studiò gli utensili con derisorio interesse.
«Non mi sono mai ritenuto un tipo incline a giocare con le bambole, madre!»
«Uff, che ragazzino maleducato» si lamentò lei, arricciando le labbra in un falso broncio «Non hai davvero idea del dono che ti sto preparando, mio caro» cinguettò, imbastendo l’esterno del pupazzo e cominciando a imbottirlo di bioccoli lanuginosi.
Incantato dalla grazia dei suoi movimenti, lui rimase a fissarla con immotivato orgoglio – quello di possedere un simile ninnolo tutto per sé – mentre lei cuciva silenziosa, circondata dai triangoli di stoffa variopinta sparsi sul pavimento. Amava quei momenti: erano un’imprescindibile componente del fascino di sua madre, fragile e letale come i fiori di ciliegio, altera, sensuale e slanciata come una camelia.
«Sai, ho fatto un sogno» mormorò Setsuka, come il vento fra il fogliame, ed era proprio la consueta aura di sogno che mancava, in quelle parole che avevano rotto il silenzio. Se Seishiro avesse potuto riconoscere la piccola incrinatura che ne riportava il tono a livello terreno, l’avrebbe chiamato “malinconia”.
«Era sul tuo futuro» la sentì aggiungere. Rise. «Faresti bene ad ascoltare.»
«Non ho il cuore di disobbedire» rispose lui con leggerezza.
«Tu sarai l’ultimo Sakurazukamori puro» ribatté sua madre con spettrale serietà «Colui che arriverà a ereditare i tuoi poteri avrà un cuore così pieno di te da non possedere la benché minima nozione della loro portata» e, così dicendo, infilò l’ago nel polpastrello, senza palesare un minimo fremito di dolore. Qualche grossa stilla di sangue affiorò sulla pelle, e la giovane donna si affrettò a tracciare un pentacolo sulla tela del giocattolo, mormorando un incantesimo.
«Andiamo, madre. Non c’è verso che io possa innamorarmi di una persona simile.»
Setsuka si voltò verso suo figlio con uno sguardo acceso di una consapevolezza e di un desiderio così struggenti che temette che il suo cuore – prima immobile in un anello di ghiaccio – potesse scapparle via dalle ciglia.
«La coscienza del più grande potere al mondo non può nulla, mio adorato Seishiro, una volta che il cuore impara a spostarsi dai suoi confini.»
«Parlate di cuore, madre? Voi?»
«Decisamente. Crescerai anche tu, un giorno.»

Piece by piece
Is how I’ll let go of you
Kiss by kiss
Will leave my mind one at a time
One at a time

*

Abbandonando la bambola di pezza sul pavimento, Subaru ne sollevò piano la veste consumata per poter scorgere la traccia rugginosa del pentacolo al di sotto. Aprendovi la mano sopra, avvertiva nettamente l’energia che vi turbinava attorno, e chiuse gli occhi per dominarne il flusso – la sua spirale nera era morbida e vellutata come le lusinghe di una fata, e il giovane sciamano cercava invano di distogliere la mente da un solo pensiero.
Entro le linee di quel pentacolo si erano incontrati un sogno del passato e uno del presente. La corrente che era germogliata spingeva il suo cuore e la sua stanchezza oltre i limiti che poteva permettersi, oltre i limiti in cui Seishiro lo aveva costretto per serbare il suo ricordo.
Aveva bisogno di restare.
Perché aveva bisogno di Seishiro più di ogni altra cosa, più di quanto avesse bisogno del suo stesso corpo e della sua identità e dignità e di tutto il resto.
Aprendo gli occhi, si trovò al cospetto di una donna bianca come marmo e sottile come una bambina, goffamente avvolta in un kimono cucito alla buona, ricavato da larghi pezzi di tela colorata.
«Setsuka» bisbigliarono le sue labbra, in un moto quasi involontario.
Lei scosse la testa.
«No. Sono solo il desiderio di pezza che lei ha costruito quel giorno» parlò quella bambola fatta di carne. Tese le lunghe braccia contro di lui, e Subaru vi appoggiò la testa, in un gesto dettato da una stanchezza sconfitta, terribilmente ancestrale.

I’ll shed like skin
Our memories of lazy days
And fade away the shadow of your face

Lei gli accarezzò i capelli come si fa con un bambino, prima che Subaru abbassasse le palpebre e permettesse alla piccola, pallida mano di aprirsi un varco nel suo petto, con un rosso strappo.
Fu una soddisfazione, per Subaru, pensare che l’ultimo battito che poté udire fosse di inenarrabile felicità.
Era sempre così, che sarebbe dovuta andare.

*

«Tieni» fece Setsuka, tendendo la bambola verso le mani del figlio «Chiuderà il cerchio.»
Seishiro la guardò senza capire, perplesso dal piglio pragmatico della sua voce. Divertita, Setsuka cullò la mano di lui fra le sue, prima di pungere un dito con l’ago, lasciando gocciolare il suo sangue sul pentacolo, lasciando che la magia ne seguisse perfettamente i contorni. Soddisfatta di aver calcificato il futuro a venire con quell’attimo in cui Seishiro era suo e di nessun altro, appoggiò un piccolo bacio sulle sue labbra.
«Lascerai la catena incompleta, se sparirai dal mondo senza che chi ti ama più d’ogni cosa possa morire per mano tua… ma così non sarà più. Lo spirito di questa bambola si è forgiato in un nostro brandello d’anima. Sei tu, e sono io. Il Successore potrà trovare il suo riposo, quando il momento lo richiederà, e in lui si avvolgerà tutto il filo dei Sakurazukamori, fino a divenire polvere.»
Seishiro ridacchiò, baciando delicatamente le sue dita.
«Ma i fili sono fatti per essere tesi e spezzati, senza rimedio.»
«L’ho già detto, no, che imparerai a crescere, vero?»
Seishiro sbuffò.
«Sì. Mi costringete a credervi sulla parola, così!»
«… E tu lo farai, vero?»
«Vedremo.»
In un certo qual modo, mentivano entrambi.

~

A/N 5 novembre 2008, ore 23:49. In realtà la nota è di dieci minuti dopo, con consegna del contest alle 23:55 XDDDDD. Mai consegnata una fic a sei minuti da una scadenza. Scritta di volata per la IV Disfida di Criticoni – ma davvero di volata, nel giro di ventiquattro ore. Dopo mesi di rimugino, tutto si delinea nella mia testa andando a Lucca, con Piece by Piece di Katie Melua nelle orecchie (perché i primi due versi hanno fatto scattare tutto il meccanismo), e non potevo non scriverci songfic sopra. Beh, certo, dovrei smetterla di ridurmi all’ultimo: ci saranno quattro punti in sei pagine scarse, accidenti a me!

Juuhachi Go.

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