[Final Fantasy XII] Love is blindness

Titolo: Love is blindness
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: Ashelia B’Nargin Dalmasca, Al-Cid Margrace
Parte: 1/1
Rating: NC17
Conteggio Parole: 3441 (LibreOffice)
Note: post-finale, nsfw, su prompt di 12_teas

Love is blindness
[12_teas] 10. Chocolate Caramel Enchantment

La giornata – si disse, stendendo le lunghe gambe nel mare di schiuma attorno a sé – era stata davvero intensa.
Con un’occhiata imbarazzata alle due ancelle che emergevano dalla nebbia profumata di sali da bagno e vapore, Ashe si arrese, e lasciò che la insaponassero come il costume rozariano richiedeva.
Erano gemelle, silenziose e slanciate come gatti. Pochi panni di lino ricamato coprivano il bruno dorato della loro pelle, e soffici boccoli castani toccavano il pelo dell’acqua, raccolti in una vaporosa coda. Gli occhi felini erano stati pesantemente ritoccati da una densa ombra di kajal, che ne allungava ancora di più la forma. Sospirando, la giovane regina dalmasca si appoggiò contro il marmo della vasca, sperando di non intralciare le loro mansioni e di non risultare maleducata.
Non era stato difficile rendersi conto, fin dal suo arrivo, che Rozaria era quanto di più diverso avesse mai visitato, visto e considerato che gli eventi dell’anno precedente l’avevano costretta a capitombolare da un lato all’altro di Ivalice.
La sua educazione le aveva instillato una relativa frugalità fin dall’infanzia, ragion per cui lo sfarzo, nei possibili limiti della sua condizione, era estromesso dalla sua routine, nonché dal sèguito che l’aveva accompagnata da Dalmasca.
Per Al-Cid, evidentemente, le cose funzionavano in modo diverso.
La reggia della dinastia Margrace era più che favolosa: oltre a coprire una superficie spaventosamente grande, era un viavai irrefrenabile di ospiti, cortigiani e domestici, le cui voci, miste al tintinnio delle loro ricche vesti e al suonare dei liuti, rimbombavano su volte arcuate altissime, delle quali ogni centimetro di marmo bruno era stato arabescato e inframmezzato di gemme preziose.
Nel suo sottile abito bianco, si era sentita quasi stupida quando, davanti ai suoi occhi, le dame ostentavano abiti di un lusso che lei non aveva mai indossato, se non nelle cerimonie ufficiali.
Le usanze che le erano state mostrate, inoltre, avevano la stessa ricercata complessità: schiere intere di ancelle erano praticamente addette a qualunque cosa riguardasse i nobili al di sopra del loro rango, e Ashe non poté fare a meno di pensare che fosse ben strano che fosse ancora concesso loro di reggere una forchetta in mano.
I banchetti – che mischiavano dolce e salato con fantasiosa e gradevole disinvoltura – erano gargantueschi, sia in termini di portate che di effettiva durata. In aggiunta a questo, sembrava proprio che i rozariani preferissero discutere di affari e questioni di Stato in queste occasioni, cosa che le rendeva molto meno piacevoli, per lei: era alquanto ostico innaffiare gli argomenti di vino e pretendere risposte sensate dai gaudenti avventori. Fortunatamente, Al-Cid, in qualità di sovrano e cardine di quelle sedute, si manteneva della sobrietà necessaria per ragionare in merito. Fatto stava che quel regime, che a conti fatti non era durato neanche tre giorni, l’aveva logorata abbastanza, probabilmente perché lo spirito con cui vi si era addentrata era meno festaiolo che mai. Essere la regina di Dalmasca non era certo l’idillio che si era attesa. Era il simbolo dell’acquisita libertà, certo, ma la sua ascesa al trono era pur sempre il risultato di un’uscita da una guerra che non era mai stata ufficialmente dichiarata, ragion per cui il reame navigava in pessime acque. Nemmeno a dirlo, era la prima donna a salire sul trono di Dalmasca, il che dava continuamente modo ai consiglieri più refrattari di battibeccare senza sosta.
Rimettere in piedi uno Stato era impossibile, con il Consiglio completamente diviso e le finanze a terra – ad Ashe non era rimasto che un patto di mutuale aiuto con Rozaria, pur con la convinzione che non fosse esattamente la miglior strategia, e che Basch – o meglio, Gabranth – avrebbe sicuramente offerto una più valida soluzione, se non fosse stato impegnato a fornirla a Larsa, ad Archadia. Non che fosse invidiosa del piccolo neo-imperatore: a volte si sentiva solamente furiosa con Basch, il che significava implicare una tremenda nostalgia di lui.
Inutile specificare quanto Ashe la trovasse stupida e decisamente inopportuna – prima la politica e poi tutto il resto, mia cara – ma altrettanto inestirpabile: non esisteva alternativa migliore per metterlo a riparo, ma l’enormità di quel sacrificio le si presentava davanti agli occhi solo ora.
Con un sospiro, sprofondò nell’acqua calda fino a coprirsi le labbra, imbiancandosi in uno spesso strato di schiuma. L’esperienza le aveva insegnato a non farsi trascinare troppo dai sentimentalismi, perché la ragione ne usciva sempre sconfitta.
Come se il suo pensiero avesse procurato lo scatto di qualche molla, un sonoro schiocco esplose nel silenzio della stanza, e le ancelle, dapprima solerti e indaffarate, sgusciarono via dalla stanza con la rapidità di due uccellini spaventati.
Ashe trattenne l’impulso di alzarsi solo perché la coltre spumosa avrebbe coperto ben poco di sé, ma riconobbe Al-Cid già dallo studiato strascicare dei suoi stivali sui lussuosi tappeti della camera da letto che le aveva assegnato. Lo vide fermarsi di gran carriera sulla soglia della stanza da bagno, con un sorriso sulle labbra e le dita ancora incrociate sotto al vassoio che reggeva.
«Al-Cid!» esclamò Ashe d’istinto, affondando maggiormente fra il soffice biancore delle bolle. Lui si esibì in un inchino teatrale, tenendo le due tazze il più possibile in equilibro, ignorando il contegnoso imbarazzo della regina.
«Perdonate l’intrusione, Lady Ashe,» si scusò l’imperatore, avvicinandosi al bordo della vasca «ma vi ho portato da bere. Mi sembrate molto stanca» e appoggiò il vassoio sul bordo, cosicché la sua ospite potesse darvi un’occhiata.
«Voi in persona?» si meravigliò lei «Voi che avete un’assistente personale sempre appresso?»
«Beh, povera ragazza, merita di riposare anche lei, ogni tanto. E dopotutto, questo non è uno sterile servizio in camera: a Rozaria si tratta di un segno d’ospitalità nei confronti di un proprio pari; oltre a questo, vi considero anche mia amica, e vedere il vostro corruccio mi addolora, sapete?» spiegò, porgendole una tazza. Nonostante non si sentisse a proprio agio, Ashe brindò alla sua salute e ne mandò giù un sorso: cacao e caramello. Era squisita.
«Tutto è più difficile di quanto avessi pensato in principio. Ed è un discreto disastro» sentenziò, abbattuta. Al-Cid annuì con aria comprensiva.
«Non pensavo che fosse così difficile per un popolo immedesimarsi in una regina, anziché in un re, nonostante mi sembri di aver mostrato ampiamente di essere in grado di sorreggere il ruolo. Non ho alcuna intenzione di sposarmi di nuovo,» proseguì, guardando i due anelli d’argento che brillavano sulle sue dita, in mezzo alla schiuma «non per conformarmi all’immaginazione di un crocchio di signorotti lamentosi.»
«Eppure lo avete già fatto una volta, senza redarguire nessuno» osservò lui, sorseggiando lentamente quella mistura dolce e pastosa.
«Io amavo Rasler,» controbatté la regina «lo amavo sinceramente. Forse, se così non fosse stato, avrei potuto mettere fine a quello scompiglio con molta facilità.»
Al-Cid tacque, sorridendo con indulgenza al voluto distacco che Ashe aveva infuso in quelle parole addolorate – riusciva a sentirla tutta, l’amarezza da cui lei avrebbe voluto esularlo.
Non voglio più amare nessuno a questa maniera, diceva il loro implicito messaggio.
«Vostra Maestà deve fare attenzione,» ridacchiò «perché annullare il proprio cuore significa venirne automaticamente traditi.»
«Non si può governare col cuore.»
«No, certo. Ma si può davvero governare senza?»
Ashe lo fissò con aria interdetta.
«Andiamo, Lady Ashe. La battaglia non l’avete vinta da sola. Dimenticare tutto quel che ci rende noi stessi non serve. E nemmeno dimenticare di amare noi stessi almeno un po’ è granché utile.»
La regina rispose con un sospiro.
«Siete in una vasca da bagno che è grande pressappoco come una frazione della Pianura di Giza, in mezzo a litri di acqua profumata, con il corpo ammollo, avete da bere e avete compagnia» rise, prima di concedersi una breve pausa.
Vagamente disorientata, Ashe cercò qualcosa con la quale ribattere, ma Al-Cid alzò un dito per indurla al silenzio.
«Dalmasca vi ama. Il contrario è inammissibile… Dico io, guardatevi, per gli dèi. Bisognerebbe essere pazzi.»
«Al-Cid, Larsa mi aveva assicurato che vi eravate redento, suvvia!» replicò Ashe, evidentemente in imbarazzo, a prescindere dal fatto che lui fosse riuscito a farla ridere.
«Dalmasca vi ama,» continuò Al-Cid, ignorandola «ma se per voi Dalmasca è vuota, se nella sua terra non vi è nessuno che possa amarvi altrettanto per quello che ha condiviso con voi, per quel che siete per lui… beh, allora vi capisco.»
Stavolta, lei rimase in silenzio di propria sponte.
«Per lui potrei benissimo essere la regina e null’altro… O forse anche meno—»
… dato che ha preferito onorare la promessa fatta a suo fratello e rimanere ad Archadia, piuttosto che trovare una soluzione insieme a me.
Avrebbe voluto dirlo, sebbene sapesse che non tutti quei pensieri fossero davvero ragionevoli, ma si fermò non appena realizzò che lo stava facendo davvero.
Si morse le labbra e guardò Al-Cid con aria curiosamente colpevole.
Lui non disse niente. Le fece cenno di alzarsi in piedi e, alla sua risposta accigliata, prese in mano un telo ricamato che aveva portato con sé per assicurarle che sì, d’accordo, sarebbe stata la prima donna che non avrebbe osato sbirciare.
Con il drappo frapposto fra loro, scivolò dietro alle sue spalle e, mostrandole di avere gli occhi ben chiusi, mise la stoffa da parte e vuotò lentamente grandi catini sulla sua testa, facendo scivolare un lucente velo d’acqua profumata sulle curve bianche del suo corpo. Ashe sospirò, rinfrancata, per poi irrigidirsi quando le mani di lui si poggiarono sulle sue spalle nude e scesero fino ai gomiti. Sentì Al-Cid chinarsi appena per cercare il suo orecchio.
«Qualunque cosa voi siate per lui, Lady Ashe, vi assicuro che allontanarsi da voi è stata una scelta molto morigerata, se starvi accanto significava versare nelle condizioni in cui verso io ora… e io sento solo il vostro profumo.»
Le prese galantemente la mano per riadagiarla in acqua e tornò accanto al vassoio per fissarla negli occhi.
Sulle sue labbra c’era un sottile sorriso – uno di quelli che dicevano “siete impossibile”, ma nei suoi occhi c’era il più strano misto di confusione che avesse mai potuto ammirare.
Sorrise anche lui, sporgendosi verso di lei.
«Allora buonanotte, Vostra Maestà» sussurrò, il volto che adombrava il suo, sempre più vicino, e Ashe, le labbra arroventate dal suo respiro, gli si arrese, inclinando graziosamente la testa perché la baciasse.
Al-Cid, non senza un pizzico di sorpresa, lasciò che la mano di lei scivolasse sul tessuto della sua camicia in un rivolo di gocce tiepide, mentre le sue labbra si schiudevano morbide contro le sue.
Lentamente, una delle sue mani asciutte scivolò contro la schiena imperlata d’acqua della regina e, affondando fra gli ultimi sbuffi di spuma, la prese in braccio.
Le labbra di Ashe tremarono di freddo fra le sue, mentre lei si aggrappava alle sue spalle, spostando con una mano il lungo ciuffo scuro della sua frangia. Rabbrividendo al contatto delle sue mani bagnate contro la pelle, Al-Cid prese fiato solo per baciarla di nuovo, succhiandole il labbro inferiore, senza neanche guardare bene dove andasse, mentre Ashe si teneva sempre più stretta a lui, le unghie nella sua schiena e il suo seno gelido contro il suo petto, che bruciava letteralmente.
«Oh,» fece lei, quasi meravigliata, quando le labbra di Al-Cid scesero lungo il suo collo in una scia bollente. Come per rassicurarla, l’uomo lasciò un piccolo bacio sulla sua clavicola, e, nel frattempo, si sedette sul letto, con Ashe seduta a sua volta sulle sue ginocchia.
Succhiò lentamente le piccole gocce d’acqua che ancora camminavano svogliatamente lungo la sua spalla, e la regina, con la pelle d’oca, si appoggiò con la schiena contro il suo petto, il respiro caldo di lui che le scorreva dietro la nuca come sangue e le sue mani che la reggevano per i fianchi per evitare che cadesse. Sicura della sua presa, Ashe si girò di lato, in modo da appoggiare i piedi sul materasso, lasciando che lui le mordesse il lobo dell’orecchio, giocando con i suoi capelli.
Ashe rimase ad occhi chiusi, la spalla appoggiata al suo petto, finché lui non prese una sua mano per guidarla lungo i ganci della camicia completamente bagnata. La tenne premuta contro la pelle fino a scendere alla cintura che chiudeva i pantaloni, e quasi le piccole dita si persero, come se avessero dimenticato come fare. Ridendo, lui la aiutò, e Ashe gli sfilò del tutto la camicia. Non ebbe il tempo di fare altro, perché lui la issò sul letto, fra i cuscini, gettando da un lato gli stivali e i calzoni.
Passò una mano fra i suoi capelli e un dito sulle sue labbra, osservandola con un accenno di riso negli occhi – come aveva fatto Rasler, quella notte a Dalmasca, sfilandosi l’armatura da cerimonia, pensò lei, con un’occhiata alla mano che portava le fedi di entrambi.
Seguendo il suo sguardo, Al-Cid ne intercettò il pensiero e, intrecciando la mano di Ashe alla sua, se la portò alle labbra, baciò le dita, il palmo, lo accarezzò con il respiro, fino a che non lo sentì impigliarsi fra i suoi capelli, mentre Ashe lo baciava con tanto trasporto da fargli mancare il fiato.
«Guardati» le disse, in un basso, arrochito mormorio, lasciando scivolare due dita lungo la guancia, lungo il collo, lungo il solco dei seni, lungo la linea dritta del ventre, facendo il giro dell’ombelico, in un tocco tanto leggero che Ashe si inarcò contro di lui con un fremito, che diventò un singhiozzo quando lui la strinse a sé, schiacciando i capezzoli tesi contro il suo petto scuro e accaldato. In un gesto quasi automatico, lei lo attirò nell’incavo della sua spalla, appoggiandosi fra i suoi capelli, e Al-Cid rise contro di lei in un fiotto di parole brucianti come lava.
«Facciamo un gioco, milady?»
Ashe sbatté le ciglia mentre si lasciava baciare di nuovo, non trattenendo un gemito di sorpresa quando lui, al posto di separarsi dalla sua bocca, scivolò giù, fino al basso ventre, fino a poggiarsi sul monte di Venere.
«Voi che dite?» fremette la sua voce, mentre, istintivamente, si inarcava, tanto da poter quasi sentire le sue labbra sfiorarla.
Al-Cid ridacchiò, staccando delicatamente una delle fettucce scure che pendevano dai lati del baldacchino e sollevandosi per legarla sugli occhi di Ashe.
Spostò una ciocca di capelli dietro a un orecchio e ne baciò il lobo, mordicchiandolo e succhiandolo come per gioco.
«Adesso oltre quella benda potete immaginare chi volete. Un po’ me ne duole,» ammise, leccandole appena le labbra, e sorridendo nel bacio delicato di lei «ma prometto di non offendermi.»
«Sono così poco coinvolta?» chiese sinceramente Ashe, aggrottando la fronte. Lui non rispose e, non visto, le sorrise, chiudendo le labbra contro un suo capezzolo.
«Mhh…»
«No, Ashe…» rispose lui, in un singhiozzo sommesso, perché lei aveva sussultato appena contro la sua erezione «… ma questa è proprio la faccia che faresti se lui fosse qui» mormorò contro la sua bocca, socchiusa a scandire i respiri mentre lui le mordeva sensualmente i capezzoli, come a invitarla ad avvicinarsi di più contro di lui.
Dietro il velluto scuro, Ashe rivide le carezze di Rasler, la sua dolcezza esitante e impacciata mentre la accarezzava, scoprendo ogni piega della sua pelle, meravigliandosi
come un bambino ad ogni bacio, e si accorse che Al-Cid, invece, non le lasciava un attimo di respiro, la vezzeggiava ed esasperava, soffiava sulla pelle umida e la copriva di nuovo di baci.
Si tese quando una mano di lui scivolò fra le sue cosce, ad accarezzare le gocce tiepide del suo desiderio, e Ashe si spinse contro le sue dita con un sobbalzo e un gemito, dischiusa come un fiore. Per un breve istante, si chiese se Basch l’avrebbe fatto, se lei avrebbe singhiozzato così, e lo vide, con i capelli biondi fra le sue dita, che la baciava senza farle riprendere fiato, mentre lei si muoveva contro la trama ruvida delle sue mani, e lui a dirle che sono qui solo per te, Ashe, e avrebbe appoggiato le labbra su di lei—
«Ah!»
Sussultò con una voluttà tale che lui si sentì sciogliere come cera, e fu lei ad attirarselo al seno, con le braccia attorno al suo collo e le labbra che cercavano le sue.
«Ashe—» bisbigliò lui fra un bacio e l’altro, con voce rotta, aggrappandosi al corpo rorido di sudore sotto il suo. Le sollevò delicatamente le gambe per portarle attorno al bacino e la premette contro la testiera del letto per affondare in lei fino in fondo, la lingua di Ashe che soffocava un gemito – o forse un nome – contro la sua, mentre Al-Cid la incalzava sempre più velocemente, guidando la goffaggine di quella notte da sposina a cui era ferma l’esperienza di lei, che, scivolando fino ai cuscini, lo accolse tutto con un fremito, con un singulto, e lui fece lo stesso, tremando dentro di lei.
Poi in una carezza, le dita dell’imperatore di Rozaria andarono a sciogliere il nodo che teneva la benda stretta sullo sguardo di Ashe.
Lei, ancora intorpidita, incrociò i suoi occhi e, facendo schioccare un ultimo, spossato bacio sulla sua bocca, gli scoccò un sorriso, e lui, senza aggiungere niente, uscì da lei, stendendosi al suo fianco con una mano appoggiata sulla sua. Dalla finestra entrava una brezza che gelava la pelle, così si rannicchiarono vicini, sotto le lenzuola, come se lo fossero sempre stati, prima di quella notte.
«Ditemi, per curiosità… non toccavate un uomo dalla vostra notte di nozze?» inquisì Al-Cid, ridendo. In altre circostanze, Ashe si sarebbe infuriata non solo per l’impertinenza intrinseca della domanda, ma anche e soprattutto per il fatto che fosse stato lui a porla. Invece si limitò ad abbandonarsi fra i cuscini e ad alzare gli occhi sui suoi.
«Già, tre anni» riferì, con aria lievemente riluttante, ridendo fra sé e sé del voi che era tornato a stabilire quel muro proverbiale e legittimo fra loro due «… e sì, è stata la prima ed ultima volta, se ve lo state domandando.»
Al-Cid fece spallucce, cosa che costrinse Ashe a rivolgergli occhiate curiose.
«Quanto mi avete dato retta, stasera?» domandò ancora, con un sogghigno galante. Ashe ricambiò l’espressione con un risolino enigmatico.
«Pensavo che un uomo del vostro tenore sapesse giudicare da solo.»
«E io che ho passato la nottata a convincervi che trascendete tutti i miei schemi, milady… checché voi ne possiate dire, mi sono sentito il vertice di un triangolo.»
Ashe non riuscì a nascondere la vena di tristezza della sua risata.
«Sapete, potrei sposarvi.»
«Cosa?!» scattò lei, incredula.
«Non abbiamo preso precauzioni, Lady Ashe: se questa notte dovesse avere conseguenze, sul trono di Dalmasca ci sarebbe un piccolo Margrace.»
La regina annuì in silenzio alla sua osservazione.
«In tal caso, non voglio sapere cosa debba essere gestire Dalmasca in concomitanza con un impero!» esclamò, con una risata argentina «Temo di avere già abbastanza problemi con la ricostruzione di Nabudis.»
«Ne avete davvero intenzione?» si interessò lui, inclinandosi verso di lei.
«Già,» confermò lei con disappunto «È una questione morale, più che altro perché era la città di Rasler, e perché sono l’unica sua congiunta vivente ad aver avuto in sorte il regno di Nabradia. Vorrei che fosse sepolto lì, e che tutto tornasse il più normale possibile, ma sembra proprio che il Myst e i Bacnamus siano troppi, ormai. È proprio una città cadavere» sospirò, delusa.
«I fiori nascono anche da quelli, mia cara, e voi non avete nemmeno vent’anni. C’è una soluzione ad ogni cosa.»
«Tipo sposare voi?» s’informò la ragazza con ironia, mentre Al-Cid, falsamente risentito, si accigliava.
«Non ditemi che vi dispiacerebbe, sappiate che non vi crederei. Caldeggerei anche una vostra eventuale relazione con un Giudice Magister!» rise, e Ashe gli sorrise di nuovo, rimanendo un attimo in silenzio. Si alzò, andando alla ricerca di una veste da camera, e il padrone di casa la imitò, riprendendo possesso dei propri abiti.
«Beh, domani ripartirete come da programma, credo.»
Ashe non parlò, ma, a braccia conserte, si avvicinò a lui, sfiorandogli una mano, le stelle che le inargentavano il viso e i capelli.
«Addio, Al-Cid» sussurrò, quasi con gratitudine. Il giorno dopo si sarebbero salutati nella cerimonia di commiato ufficiale, ma entrambi sapevano che nulla di quella fanfara avrebbe avuto significato.
Lui riuscì a coglierla di sorpresa, chinandosi sulle sue labbra per un ultimo bacio, per poi sgusciare di soppiatto fino alla soglia.
«Sapete, credo di essermi cacciata in un grosso guaio» constatò lei, pensando a Basch e tutto quello che adesso aveva un nome e un senso nei suoi riguardi.
«Capita» rispose lui, fiducioso, con un baciamano.
Ashe sorrise, e lui, senza voltarsi, svanì fra le ombre del corridoio.
Si fermò solamente in prossimità dei propri appartamenti, e solo allora si concesse di scuotere il capo.
Forse si era cacciato in un grosso guaio anche lui.

~

A/N 25 novembre 2008, ore 23:52. Io NON LO SO come mi sia venuto in mente di scrivere su questi due… così. Davvero. Avevo bisogno di mandare un po’ il pudore alle ortiche dopo tre anni senza het!p0rn, e in due giorni è uscita fuori lei, che alla fine è una Basch/Ashe sotto spoglie molto mentite… molto. Anyway, io mi chiedevo come potesse innamorarsi di un uomo una donna che nel frattempo sta andando a letto con un altro uomo, ma… ma la liz ha approvato tutto e se l’è scolata mentre la scrivevo, nonostante sia fuori fandom, dichiarando inoltre di aver trovato il suo OTP. E quindi io sono felice. E questa è per lei dalla prima all’ultima parola. Quindi io amo la mia madre <3.

Juuhachi Go.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *