[Sailor Moon] Ill-divining

Titolo: Ill-divining
Fandom: Sailor Moon
Personaggi: Haruka Tenou, Michiru Kaiou
Parte: 1/1
Rating: NC17
Conteggio Parole: 3108 (LibreOffice)
Note: omosessualità, nsfw, spoiler sull’episodio 110, angst, scritta per l’ormai abbandonata Big Damn Table su queste due signorine

ILL-DIVINING
051. Acqua

Oh Dio! Ho nell’anima un triste presagio.
Ora che sei giù, mi pare di vederti
come se tu fossi morto in fondo a una tomba.
Se l’occhio non mi inganna, sei pallido.
(William Shakespeare – Romeo e Giulietta, Atto III, Scena V, trad. P. Ojetti)

«Che hai?»
«Niente.» mormoro, una mano sulla fronte, una a schiacciarmi il lenzuolo sul petto.
«Michiru…» biascica lei, ancora intorpidita dal sonno e intrappolata nelle coperte «… resta a letto, oggi pioverà.»
«Proprio per questo ti consiglio di rivestirti… prenderai freddo.»
«Ungh… solo se tu ti rivesti per ultima…»
«… E poi la maniaca sarei io? Mpf…»
«Considerato che di solito sei la prima a proporre di non rivestirci affatto… beh…».
Mi appoggio coi gomiti sul materasso.
Le sorrido.
No, non pioverà.
Usciremo di casa.
Non potremo più preoccuparci se l’altra finirà in pericolo.

Ho fatto un sogno.

Ed è all’improvviso che Haruka mi dà un bacio lieve. Quasi materno. Che non mi aspettavo affatto. Per la prima volta in tutta la mia vita.
È davvero una brutta giornata, il cielo è tutto grigio.
Il vento spira tanto forte da far gemere i vetri.
E Haruka è l’unica cosa calda attorno a me, la mia testa sul suo seno e le sue labbra premute fra i miei capelli.
«Sono accesi i riscaldamenti?» domanda, un dito che disegna qualcosa sulla mia schiena.
«Sì, stanno a ventotto.»
«Moriremo di caldo.»
«… Insieme. Mi piace.».
«Che spreco.»
«Ohh, smettila.»
«Di’ quello che vuoi, ma da viva sei molto più interessante…» ridacchia.
Con un brivido, mi stringo a lei, di riflesso. I suoi occhi mi seguono, adombrati da una tristezza che non avevo mai visto.
Da vive.
Eh già.
Solo la morte è la fine di tutto.
Mi riscuoto quando Haruka mi intreccia le braccia attorno alla vita, come a volermi strappare a un simile pensiero. Le scivolo di fianco, accostando le labbra al suo orecchio.
«Possiamo restare un altro po’ così?»
Mi fa un sorriso intriso di malinconia.
«Certo.».
Si nasconde sulla mia spalla, io le appoggio una mano dietro la nuca.
Sa tutto anche lei.

Non ti lascerò morire così.

«…Qual è una cosa che non abbiamo mai fatto?» mi chiede, dopo qualche momento di silenzio
«Vediamo…» fingo di pensare «… uhm… credo che di cose che non abbiamo fatto ne siano rimaste ben poche…».
Mi squadra con apparente disapprovazione.
Adoro quando me le offre su un piatto d’argento.
«Vedi che sei tu?»
«Ma scusa, sono cose da dire a una ragazza nuda nel tuo letto?»
«Umph. Cercavo di venirti incontro…»
«Bel lavoro, Uranus…» sghignazzo, dandole una pacca sulla spalla.
«Qualcuno stanotte dormirà sulla poltrona…»
«Potremmo non arrivare a vederla, la notte.».
Haruka mi fissa con sincero stupore.
Giuro che mi è sfuggito. Non avevo intenzione di dirglielo.
«… ma potremmo salvare il mondo.» mi sorride, una volta recuperata la consapevolezza che c’è più di un noi.
Sì, sa esattamente di che sto parlando.
Mi attira a sé. Io l’abbraccio a mia volta, che altro posso fare?
«… Voglio fare una nuotata…»
«… e, fin qui, nulla che tu non abbia mai provato…» sussurra, con la risatina di chi ti sta sbattendo in faccia il vecchio concetto “ormai ti conosco”.
Dio, quant’è antiromantica questa donna.
Grazie a Dio, sa sempre quando è ora di capitolare. In un piccolo moto d’orgoglio, sento di potermi azzardare a dire che questi attimi di presa di coscienza sono tutto merito mio, potere della seduzione.
«Allora comincio a prepararmi, così scendiamo.» sbadiglio, palesando una rilassatezza che – lo sappiamo bene tutte e due – in realtà non possiedo.
Annuendo, lei mi lascia scendere dal letto e mi dà le spalle per andare a cercarsi i vestiti.
Non mi guarderà negli occhi.
Non finché sarà costretta a farlo.
Non che io mi stia comportando diversamente: c’è un punto di rottura che non siamo in grado di scavalcare, non oggi. Non ho idea di cosa potrebbe scaturire se ci lasciassimo sfuggire una sola parola riguardo a ciò a cui stiamo per assistere.
Quando mi sono votata alla mia missione, l’ho fatto con la consapevolezza di trovare qualcuno che, come me, fosse stato designato a condividerne il fardello. E sono stata più che felice nell’attimo in cui ho scoperto che quella persona era lei, la stessa che, da tempo immemorabile, mi ero accontentata di osservare da lontano. Me la sono vista vicino quasi per magia.
In quel momento, nessun problema, eccetto il suo metabolizzare la cosa, mi apparve irrisolvibile.
Ma che posso fare, adesso che è proprio lei quella che, per prima, fomenta il mio dubbio riguardo a ciò che ci tocca portare a termine?
Questo non vuole significare affatto che la sua parola sia legge, per me, o che io sia disposta a seguirla senza mettere bocca nelle sue decisioni: è sempre stata una relazione ad armi pari, è proprio per questo che mi sento nel panico, di fronte al mutismo ostinato che viene da lei e, allo stesso modo, dal centro di me stessa.
La guardo mentre va a lavarsi nel bagno in fondo al corridoio, io, invece, mi infilo in quello che abbiamo in camera da letto, assicurandomi di prendere il costume dal cassettone.
Con un’occhiata al lavabo, mi accorgo che il genio ha dimenticato lo spazzolino di qua. Sospiro, scivolando nella cabina della doccia, e sento che, dall’altra parte, Haruka ha aperto l’acqua.
Curioso.
Il primo rumore d’acqua della giornata lo sento al di fuori di me.
Percepisco che, fuori, l’oceano è in burrasca. Vedo la tragedia dall’occhio esterno del mondo, ma il mio mare non si muove. Acqua immota e fredda. Sento questa calma apparente che si proietta nei mobili, nell’aria, nelle pareti, investe la nostra dimensione della stasi che ci portiamo dentro, e che è destinata ad infrangersi da un momento all’altro.
Lo scroscio ghiacciato mi rotola addosso in mille gocce.

*

Qualcosa, nel modo in cui oggi Michiru scivola appena sotto la superficie dell’acqua, mi provoca un brivido involontario dietro la schiena. Parte dal collo e mi si scarica sul coccige, come se qualcosa mi stesse mordendo.
Ho la sensazione che stia riempiendo qualcosa che vada oltre me. Dentro di lei risuona il mare, le sue onde si agitano sempre contro di me, di solito.
Oggi c’è silenzio.
Sotto il velo limpido dove si vede bene il suo viso, c’è un punto di rottura invalicabile, dove non posso arrivare, dove Michiru stessa diventa altra materia. All’improvviso, la sua figura slanciata che galleggia in piscina, le palpebre abbassate e l’aureola azzurra dei suoi capelli, sono l’incarnazione del silenzio che mi scorre dentro.
Ecco perché la mia acqua non si muove.
Ho voglia di dire una stupidaggine qualsiasi, che la faccia sollevare da quel sudario liquido che le chiude gli occhi e le labbra, ho voglia di riportarla indietro, dove posso ancora toccarla e sentire che il suo corpo è tiepido e tangibile, dove posso attirarla a me senza che l’acqua rischi di riempirle i polmoni.
Oggi è una giornata così grigia che sospetto potrebbe anche annegare, poco importa quanto l’acqua le sia amica. Fra tutti gli elementi, il suo è il più volubile: le onde non ci mettono niente, ad attirarti lontano, se ti reclamano per sé.
«Haruka?».
Sobbalzo così violentemente che quasi Michiru si ritrae: la sua mano bagnata, da dentro la vasca, si è appoggiata sulla mia, che dondolava appena vicino al bordo della piscina. Fra le mie dita tiepide, lei è fredda e scivolosa.
«Non vieni dentro?».
Le faccio un sorriso.
«Preferisco guardare te.».
Il che fondamentalmente è vero. Ma oggi le sto mentendo. Nel caso la seguissi in acqua, il mio primo impulso sarebbe quello di tirarla fuori.
E non posso, perché ci siamo dentro fino al collo.
E sappiamo che stiamo per fare la cosa giusta, e non sappiamo se sentirci più assassine o più terrorizzate dall’idea di restare sole.
Il pensiero che entrambe le cose siano stupidaggini, in confronto alla salvezza della Terra, mi fa ancora più male. Più precisamente, mi fa male il pensiero di dover fare ancora qualcosa nel caso questo mondo diventasse un contenitore vuoto di questo noi che è meno di tutto il resto, ma che mi dà la forza di salvare tutto.
«Sciocca.» mi apostrofa lei, con un sorriso di intenerita indulgenza. Evidentemente, sono rimasta a fissarla con chissà con che faccia impensierita. Senza parlare, anzi, pure un po’ in imbarazzo, mi inginocchio di fronte a lei, la mano protesa, che non vuole farsi tanto vedere, sicura che Michiru non afferri il perché della mia improvvisa repulsione nei riguardi del suo elemento protettore.
Però ne ride silenziosamente e vi si aggrappa, accontentando la mia pretesa. Assicuratami che lei sia ben in piedi sul bordo, le porgo l’asciugamano, con il quale si stende compostamente sul lettino. Io ci ho trovato una conchiglia, una di quelle grandi e rarissime che ti rimandano lo sciabordio spumoso della risacca.
Michiru chiude gli occhi e se l’appoggia all’orecchio. Di nuovo, il rumore del mare se la prende tutta e me la tiene sospesa in una sorta di ascesi.
Michiru.
Non lasciarmi qui.
Non andartene nel tuo piccolo mondo. Chiudi gli occhi su di lui e mi lasci in tua eterna attesa, immersa nel fragore marino dentro di te.
E tutto questo mi accorgo di avertelo detto ad alta voce, armata di una risata che non sento davvero.
E tu non ti senti affatto serena, nonostante ti sollevi verso di me con calma.
«Ho fatto un sogno, stamattina. Era così vivo che mi è rimasto addosso.».
Lo so.
«Mh.». asserisco, con i gomiti sullo schienale.
«… Anche tu?».
«Sì. E sono sicura che entrambi i Talismans appariranno oggi.».
Il solo parlarne lacera quel primo, invisibile filo sotteso nell’aria, sotteso in noi stesse.
Nessuna di noi aggiunge altro, ma adesso il silenzio è diventato dinamico, dietro di esso fremono impazienti montagne di cose da dire, di cose da fare, di cose da chiedere.
E mi sembra di avere così poco tempo.
Eppure resto così schifosamente me stessa: come faccio sempre quando qualcosa non va, mi allontano dai suoi occhi per risalire le scale e andarmene a preferire qualcos’altro che non sia stare a fissarla e pensare che, Dio santo, è così sottile e si sta per sporcare di un sangue indelebile.
Come me.
E me ne vado a preferire il vetro freddo della finestra, le gambe raccolte sul davanzale e i palmi delle mani piantati davanti ai miei, di occhi.
Ho il tempo di riflettere sull’enormità di tutto questo.
Ho il tempo di metabolizzare il brivido che sento quando guardo Michiru in faccia.
Oggi, ogni minimo particolare di lei mi fa male al cuore e sembra che mi spinga ad annegare nell’insidia di questo mare immobile che tento di rifuggire, nel peso che mi porto dietro e che si concretizza nel momento in cui squilla il telefono.
È Eudial.
Ha trovato i Talismans.
«Potrebbe avere ragione.» esordisce Michiru, intenta a frizionare i capelli con un’asciugamani.
«Ne ha.» replico, più atona di quel che era nelle mie intenzioni «Coincide con le nostre premonizioni.».
Sì, mi dicono i suoi occhi.
«Finalmente, è arrivato il momento.».
Lei ha l’aria di star trattenendo il fiato.
È fatta.
Ho le mani già macchiate del peccato che sto per commettere, un sacrificio che è mio obbligo garantire.
Il prezzo da pagare per salvare il mondo intero.
Non mi importa quanto sia grande, né quale sia effettivamente.
Prenderò quei Talismans, costi quel che costi.
Possiamo farlo, siamo insieme, siamo insieme ora.
«Michiru?».
Sollevo la testa, sorpresa. Mi guarda con un misto di tristezza, partecipazione, rassegnazione.
Stanchezza.

*

Lo so.
So perfettamente a cosa sta pensando.
Non che lo sappia sempre, ma lo so ora, mentre prendo la sua mano, che scivola incredula nella mia e si fa guidare contro il mio palmo con un’arrendevolezza quasi infantile.
Haruka ha sempre la pretesa di voler sapere cosa ci sia dietro.
Dietro questo non c’è proprio niente.
Solo la necessità di fare qualcosa per dirle che sono qui.
So che per un cuore profondamente onesto come il suo è un dolore non indifferente, so che sta testardamente andando contro tutti i suoi principi. So che lo pensa e che non me lo dirà mai, così come so che, come al solito, sta cercando di chiudersi dentro e aggrapparsi a qualcosa che non sono io.
Stavolta ho un presentimento troppo orribile per permetterle di farlo, però.
Non ho risposte, non ne ho mai avute. Ho le sue mani nelle mie.
Vorrei farle capire quanto mi basti.
«Ehi.» ridacchia, nervosa «Cosa c’è che non va, così all’improvviso?».
«Haruka.».
Nessuna risposta, mentre le sorrido.
«È tutto a posto. Mi piacciono le tue mani.».
Sorride anche lei, la testa contro il vetro, ed è un sorriso poco entusiasta, ma grato. Appoggio le mani sulle sue ginocchia, giusto in tempo per scoprire che, invece, è lei che si appoggia a me.
«Non possono piacerti, delle mani così.».
«Perfetto, allora che faccio, ti amo escludendo gli avambracci?» la punzecchio, accarezzando appena le corte ciocche bionde dietro la nuca.
Accoccolata come un gatto, le dita che passano e ripassano sulla mia spalla, Haruka non dà segno di voler rispondermi. Lentamente, mi scanso per alzarmi. Lei mi imita, stiracchiandosi. Rimane immobile non appena nota che sto di nuovo scendendo di sotto.
Poi, mi segue.
Non mi illudo pensando che si deciderà ad aprirsi, non è per niente da lei.
Ma non ha senso contrastare il silenzio che minaccia il mondo, se poi non siamo capaci di fare lo stesso con quello che opprime noi stesse.

*

Se le mie paure fossero acqua, schizzerebbero ovunque in un fragore di bolle. Non sarebbero un mare in cui Michiru potrebbe nuotare senza problemi, anzi: quelle onde sono troppo alte e non farebbero altro che travolgerci entrambe. Peccato che tutti i muri difensivi che tenti di erigere non servano a niente: Michiru è di gran lunga più tenace. Mi sono ritrovata più volte a vuotare il sacco delle mie paure e delle mie angosce ai suoi piedi, contrariamente alle mie intenzioni. Ma non è il momento di preoccuparci di quel che abbiamo dentro, penso amaramente, sistemandomi meglio sul lettino.
Michiru si accinge a sfrecciare attraverso la vasca per l’ennesima volta.
Il suo nuoto è cambiato. Saetta da una parte all’altra come se stesse scappando.
E io non posso fare altro che seguire la sua traiettoria con lo sguardo, esterna all’acqua del suo mondo.
Dio.
«Haruka.».
Si ferma con un’ampia bracciata e galleggia verso il bordo della vasca. Mi fa cenno di venirle vicino.
Obbedisco. Senza nemmeno rendermi conto che, nel momento in cui lei ha interrotto la propria corsa, io ho ripreso a respirare, supportata dalla consapevolezza di poter raggiungerla.
Ma, adesso che sono quasi in bilico sul bordo, lei non parla.
«Non chiamarmi con questo tono, mi fa pensare che tu stia per sparire come una sirenetta o che so io.».
«Non potrei mai.» replica, con semplicità.
«Non sparire lo stesso.».
«Vieni qui.» mormora, dopo una pausa di silenzio.
Le sue mani bagnate accarezzano quel che riescono a prendere della mia camicia, e io, docilmente, mi inginocchio per permettere alle sue braccia di intrecciarmisi attorno al collo, le sue labbra gocciolanti che mi sfiorano delicatamente una guancia.
«Michiru…».
Dopo, è solo acqua.
Una scia frizzante e infinita, colorata di azzurro, le mie dita avvolte fra i suoi capelli e la sua bocca nella mia, mentre scivoliamo verso il basso, i vestiti che risalgono in superficie con un gorgoglio.
«Sono qui.» mi dice.
Lo ripete con la pelle che aderisce alla mia, con quelle carezze che tentano di guarire delle ferite che per lei sono visibili come tagli veri, in questo abbraccio liquido e materno che va oltre noi due, ma in cui Michiru si stringe attorno a me come una madre, una sorella, un’amica, un’amante. Come se il mio ciclo vitale si compisse dentro di lei, e il vivere, il nascere e il morire fossero tutti lì, accentrati in lei.
«Va tutto bene, non ti lascio da sola. Non adesso.» sussurra sul mio collo buttato all’indietro mentre mi lascio andare a questo snodarsi di gambe e braccia, in un sussurrio ininterrotto di nomi, singhiozzi, parole sconnesse. Con le mani, mi perdona di tutto quel che mi rifiuto di dirle, mi sfiora senza chiedermi niente, armata solo delle sue dita morbide e del suo sorriso delicato. Ride con dolcezza mentre mi bacia, come se volesse lavare via l’ansia che ci sta divorando, mentre mi tiene stretta come una bimba nell’abbraccio marino che ci circonda. Ride ancora, una scintilla di effimera allegria prima della disfatta, e io mi tendo contro di lei, il silenzio che si solleva, leggero e incostante come l’aria, nel fragore delle sue onde.
Forse posso anche crederci, che tutto vada bene, se è lei a dirmelo, se è lei a tirarmi per il braccio e a indicarmi la strada.
Se è lei a riempirmi.
«Non possiamo più tirarci indietro.».
«Già.».
Poggia la fronte contro la mia.
«Non è un buon motivo per non andare avanti, però. Non è vero, Haruka? Il motivo per cui siamo in due è che una dovrà proseguire qualunque cosa accada… oh, non sto implicando niente, non fare quella faccia!».
Ma non può pretendere che io non faccia questa faccia, non dopo che ha detto una cosa del genere. Mi mordo il labbro, prima di sollevarla fuori dalla vasca.
«Oh, Haruka, aspett—».

*

Alcune gocce d’acqua sfuggono ai miei capelli per infrangersi sulla superficie tranquilla della piscina. Per non sentire freddo, mi preoccupo di immergere per bene le spalle e, riprendendo un po’ di fiato, riposo la testa su una gamba di Michiru, che, ancora lievemente intorpidita, dondola i piedi che indugiano ancora nella vasca.
«Tenou? Ancora fra noi? Non sono io quella che dovrebbe sentirsi un po’stordita?» sogghigna, gli occhi ancora languidamente socchiusi e il respiro ancora irregolare.
«Spiritosa.» borbotto, chiudendo gli occhi e nascondendo un sorrisetto.
«Ehi, ascolta.».

Ho fatto un sogno, Haruka.
Morirò presto, anche se sono contenta non tocchi a te.
Ma questo non posso dirtelo.

La dolcezza della sua voce è cambiata, stavolta mi chiede di squarciare di nuovo la bolla che abbiamo creato. Affonda una mano fra i miei capelli in una carezza esitante.
«Dimmi.».
Non sono sicura di voler sentire.
«Promettimi una cosa.».
«Cosa?» alzo gli occhi. Sta attorcigliando una ciocca di capelli attorno a un dito.
«Promettimi di non voltarti indietro, se oggi dovesse succedermi qualcosa. Io mi impegnerò a fare lo stesso con te.».

Adesso, devo solo preoccuparmi di tirare fuori da te stessa quella forza che ti permetterà di non arrenderti lungo il cammino.

«Sono grande e forte, non ti preoccupare.» rido, palesando una disinvoltura-fantoccio che si potrebbe smascherare a chilometri di distanza, ma oggi gli occhi di Michiru vedono le mie parole, non il mio viso.
«Volevo solo metterti alla prova.» sorride, prima di issarmi fuori dall’acqua tenendomi per mano. Ricambio il sorriso.

Il resto, si vedrà poi.

Potrei credere anche a questo.

~

A/N 22 marzo 2007, ore 12:51. Con un imperdonabile ritardo di un giorno, buon compleanno, Aurelia! Possa la nostra corrispondenza demente protrarsi ancora a lungo! A lei va il merito di avermi spronata a finirla, era una shottina che avevo in mente da un po’ e, per essere un’introspettiva, la tira anche troppo per le lunghe, senza contare che non è come la volevo, ma vabbe’. -__- È stata tremendamente difficile da scrivere, grazie mille a Michiru che mi ha aiutata a sbloccare l’idea che avevo in mente per la parte iniziale del POV di Haruka, la cosa più difficile insieme a ‘sta benedetta scena finale. In sintesi, questa voleva essere una metafora sull’acqua in tre livelli, in rappresentanza, rispettivamente, dell’elemento madre di Michiru, di Michiru attraverso gli occhi di Haruka e del loro essere costantemente unite, alla fine, nella piscina che diventa una sorta di grembo materno. La previsione della propria morte da parte di Michiru, nonché l’utilizzo del sesso come elemento catartico sono una libera ispirazione dal meraviglioso doujinshi Lonely Tropical Fish, che era comunque molto più lontano dagli eventi dell’episodio 110 e, per certi versi, di un’atmosfera decisamente più rilassata XD. La citazione da una delle mie tragedie preferite (da cui il titolo, qualcosa che nel testo shakespeariano originale è tipo “cattivo presagio”), riprendono sì la premonizione di una morte imminente, ma non solo: nell’adattamento cinematografico di Baz Luhrmann Giulietta le pensava mentre Romeo saltava in piscina dalla finestra. Il collegamento mi è stato utilissimo… e spero che tutta questa cosa non vi abbia fatto venire il mal di testa! Ancora mille auguri e mille ringraziamenti ad Aurelia per il suo incoraggiamento, accompagnato da una buona dose di minacce di morte che non guastano mai XD! Adesso, per la Big Damn Table me ne mancano solo altre novantanove! Woo-hoo! (notare la profonda ironia, please XD!) Mille grazie anche a “Shiokaze ni Nosete”, ballata che Megumi Ogata, doppiatrice di Haruka, ha dedicato a Michiru. <3. E a un sacco di canzoni melense che non nomino per questione di dignità XD. Juuhachi Go.

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