[RG Veda] Due

Titolo: Due
Fandom: RG Veda
Personaggi: Yasha-ou, Ashura
Parte: 1/1
Rating: G
Conteggio Parole: 2024 (LibreOffice)
Note: uhm… penso che ‘omosessualità’ non sia il termine tecnicamente adatto da usare, still XDD. Spoiler sul finale del manga, scritta per il mio set su 10_clamp.

DUE
(53) 1. Bonded

Yasha si era ritrovato più volte a pensare che Ashura fosse una creatura della notte, a prescindere dalla presenza, oramai segregata, di quel suo lato oscuro. Scacciati da ogni villaggio perché riconosciuti come i principali fautori della distruzione del Tenkai, si erano ridotti a fare i viandanti in un mondo che, millenni or sono, la furia del dio della guerra aveva ridotto a una landa riarsa dal fuoco.
Eppure l’erba era ricresciuta.
La pioggia aveva ripreso a cadere, il vento a trascinare i semi delle piante.
E i fiori erano sbocciati ancora a primavera, e avevano lentamente riempito la terra brulla di un variopinto fremito di vita.
C’erano tante cose, però, che non sembravano essere cambiate affatto. Ben pochi conservavano memoria di quel che era accaduto nei pressi dell’antica Zenmi-jou, ma le leggende che ne circondavano le macerie risuonavano come un tremendo monito nelle menti dei giovani.
Yasha-ou sorrise.
Quando calava la notte, Ashura sembrava preda di un sottile, genuino incantesimo. Che facesse caldo o freddo non aveva alcuna importanza: lui si ravvolgeva goffamente nella ruvida coperta che Yasha gli aveva appoggiato sulle spalle il giorno del suo risveglio e fissava con aria trasognata il cielo di liquida ossidiana che gli si rivelava a sprazzi fra il fitto fogliame delle foreste che eleggevano a loro dimora. Spesso, in quei luoghi, l’aria era carica dell’odore penetrante della vegetazione e dell’olezzo dei suoi fiori, ma, soprattutto, il buio completo permetteva ad Ashura e Yasha-ou di guardare le stelle.
«Guarda, Yasha!».
Il dito di Ashura si era proteso con infantile entusiasmo verso la luna piena le loro teste.
«Oh, sì, è davvero enorme, stasera.» sorrise il guerriero, attirando a sé il corpicino sottile di Ashura e affondando la guancia nell’arruffata cascata di capelli corvini.
E che importava dell’ostilità indelebile della gente, se Ashura aveva recuperato il sorriso, e si addormentava illuminandosi tutto?
«Mhh… Yasha?» gorgogliò Ashura, in uno sbadiglio.
«Sì?» ridacchiò, intenerito da quella voce involontariamente bambina.
«Non credi che le cose siano molto più belle, quando sono complete?».
«Già.» mormorò, fissando tranquillamente le lingue guizzanti del fuoco che li scaldava, mentre drappeggiava entrambi in una coperta più ampia e lasciava che Ashura scivolasse fra le sue braccia, vinto dal sonno.
*
Ashura protestò debolmente quando Yasha sollevò fra le braccia la sua figurina ancora insonnolita e prese a camminare sotto il sole novello di quella giornata.
«Non abbiamo fretta, possiamo dormire ancora cinque minuti…».
«Siccome non sei pesante, posso concedertene giusto cinque, ma quando arriveremo al villaggio farai meglio a reggerti su tutte e due le gambe, altrimenti come pretendi che io possa provarti dei vestiti nuovi?».
Ashura aprì un occhio.
«Villaggio… vill… Cosa?!» rischiò quasi di capitombolare giù dall’abbraccio di Yasha, quando si rese effettivamente conto delle sue parole.
«Hai sempre detto che è meglio tenersi lontani dai villaggi perché potremmo trovare brutte sorprese…» tentò di dissuaderlo, con scarso successo.
«Io non so cucire, ma non posso certo prendere la strada per il Nord con te conciato così, amore… non ho aspettato per secoli solo per vederti morire assiderato.».
Ashura arrossì lievemente, fingendosi imbronciato: Yasha era stato abituato per troppo tempo all’espressione marmorea del suo viso addormentato per resistere ai suoi capricci.
Quel che non sapeva era che la sua indole protettiva, dopo tanti anni, si era tragicamente acuita.
*
Vistosi battuto su tutti i fronti, Ashura finse di dormire per tutto il tragitto, con inaudita, adorabile sfacciataggine: era così comodo trastullarsi fra le braccia di Yasha che, nella sua incorreggibile pigrizia, non si pose minimamente il problema di dover scendere, considerato che, conoscendo Yasha, lui era ben contento di poterlo coccolare, nonostante il suo cipiglio suggerisse il contrario.
Diede segno di muoversi appena solamente quando gli giunse il vociare festoso degli abitanti, insieme al concitato scalpiccio dei loro passi. Aprì gli occhi, e lo spettacolo di Yasha che tentava di farsi strada fra frotte di popolani in visibilio lo convinse a farsi appoggiare a terra per rendergli il passaggio più felice.
Tutti erano pressati l’uno all’altro e intonavano sutra, suonando gioiosamente, in un frenetico, felice ondeggiare di vesti colorate. I venditori, appostati dietro le loro bancarelle di legno, cercavano di attirare clienti esponendo le loro leccornie, ma le loro grida venivano inghiottite da quella profusione di canti.
Non c’era pericolo che i due devastatori del Tenkai, coperti com’erano dai loro mantelli, potessero essere riconosciuti in mezzo a quella calca ubriaca di festeggiamenti.
Yasha afferrò il polso di Ashura per paura di perderlo in mezzo a tutta quella moltitudine di gente, poi prese ad avanzare, senza preoccuparsi di assestare qualche spintone involontario per aprirsi un varco.
Intanto, Ashura, per quanto stesse dietro al guerriero, non era in grado di staccare lo sguardo da ciò che aveva individuato, e che, ad occhio e croce, doveva essere quel che calamitava l’attenzione dei presenti.
Al cospetto di un sacerdote, una giovane coppia – un uomo e una ragazzina – danzava attorno a un falò, cantando inni di lode agli dei. Entrambi vestivano abiti sontuosi, e Ashura rimase sorpreso da come i tessuti si intrecciassero fra loro nella danza, come se fossero irresistibilmente ammaliati. Un morbido velo ricopriva i capelli di lei, lustri e neri come i suoi, non poté trattenersi dal pensare, e una placida brezza lo faceva oscillare con grazia. I gioielli che le adornavano la fronte, il collo e i polsi si dondolavano a ritmo della sua danza e mandavano bagliori multicolore sotto i raggi del sole. Il suo uomo le stringeva la mano. Era corpulento, vestito di seta, e mormorava il suo canto da sotto la folta barba, mentre seguiva la giovane donna.
A giudicare dall’aroma intenso che si sprigionava dal fuoco, qualcuno vi aveva bruciato delle offerte odorose, il cui profumo, misto al calore che la calca emanava, gli stava facendo girare la testa. Fortuna che le braccia di Yasha seppero sostenerlo al momento giusto.
«Ashura? Tutto bene?» gridò l’uomo, con evidente preoccupazione.
«Sì, sto… sto bene.» esalò Ashura, asciugandosi con una mano il sudore dalla fronte. Yasha gli passò un braccio attorno alla vita.
«Andiamo, vieni via, cerchiamo un posto dove si possa respirare un po’.» disse, intuendo il suo malessere e sorreggendolo con forza mentre lo tirava via.
Con la coda dell’occhio, Ashura tentò di catturare, invano, qualche immagine della cerimonia che lo aveva affascinato così tanto. Yasha si voltò nella direzione a cui il suo sguardo sembrava tendere, e sorrise appena della sua irrequieta curiosità.
*
Non era certamente colpa sua, sì, ma Ashura si sentiva ugualmente dispiaciuto del fatto che Yasha si fosse sentito costretto a fermarsi in tre diversi villaggi per trovare dei mercanti che, in quel periodo dell’anno, vendessero degli abiti pesanti. Con un po’ di difficoltà, erano però riusciti nel loro scopo.
Si era fatto buio, l’alito della notte aveva già cominciato a rinfrescare l’aria e a sollevare la polvere sulla strada di terra battuta. Yasha, riparandosi col mantello, teneva la mano affusolata di Ashura nella sua, guardandolo con attenzione e stando tuttavia attento a non fargli scorgere la profondità del suo esame. Con un braccio, il ragazzino teneva stretti i suoi abiti nuovi, con l’altro era impegnato ad affidare la propria mano alla sua. Fissava con aria assorta le lanterne delle bancarelle in procinto di chiusura, e ne seguiva il cigolante dondolio con lo sguardo. Yasha non aveva interrotto neanche per un attimo il suo meditabondo silenzio, che durava, salvo qualche raro monosillabo, da quando avevano visitato quel villaggio quella mattina. Non se ne preoccupò, perché sapeva bene che non derivava né da qualche tristezza, né da qualche improbabile arrabbiatura.
Strinse una mano sulla sua spalla esile, e gli sembrò che Ashura lo guardasse con muta, sollevata gratitudine.
*
«Yasha?».
Erano ormai arrivati all’estrema periferia del villaggio, quando Ashura gli rivolse finalmente la parola.
«Dimmi.».
«Cos’era… la cerimonia che abbiamo visto stamattina?».
Yasha osservò Ashura con maggiore intensità, per poi liberarsi del mantello, ora che quelle viuzze erano completamente deserte. Poi rise. In maniera allegra e tonante, tanto che Ashura, capendo che non era sua intenzione deriderlo, non si vergognò, nonostante avesse compreso di aver probabilmente detto un’ovvietà.
«Ho aspettato tutto il giorno che ti decidessi a farmi questa domanda. Quello è un matrimonio.».
Ashura, imbarazzato dal modo in cui Yasha aveva dimostrato di conoscerlo a fondo, balbettò qualcosa.
«E che cos’è… di preciso… un matrinonio?» aggiunse subito dopo, desideroso di sapere.
«Matrimonio.» lo corresse lui, senza scomporsi. «Un matrimonio è una promessa.».
Ad Ashura sovvenne immediatamente la promessa che aveva salutato il suo risveglio, e guardò Yasha con i grandi, liquidi occhi d’oro, senza poter trattenere il colore che gli saliva alle guance, non per imbarazzo o cosa, ma per semplice emozione.
Non poté dirlo con esattezza, ma ebbe la sensazione che Yasha avesse previsto anche questa sua analogia.
«È la promessa» continuò «che due innamorati fanno davanti a una comunità, per restare legati tutta la vita.».
«Mhhh.».
Yasha suppose che la poco articolata risposta di Ashura stesse per ‘la promessa l’abbiamo, il resto un po’ meno.’.
«Beh,» lo sentì concludere, dopo qualche attimo di silenzio «è un’altra di quelle cose che non potrò mai offrirti completamente.».
Toccò a Yasha arrossire, adesso: in un sol colpo, aveva colto il non troppo velato riferimento a un figlio che non sarebbe mai nato, alla verginità che lui non avrebbe mai preso, al piacere che non avrebbero mai provato e alla tristezza che tutto questo ispirava.
Sicuramente c’erano altre cose importanti, di questo era sempre stato convinto.
Ma questo non toglieva che, per Ashura, dire che lui era la sua persona speciale davanti a qualcuno che potesse riconoscerlo fosse altrettanto rilevante, così come sembrava esserlo anche il fatto di dare a Yasha, se non un erede, almeno se stesso.
«Tecnicamente, il nostro problema è che, quando abbiamo suggellato la nostra, di promessa, non avevamo testimoni.».
«Beh, comprensibile, li ho uccisi tutti…».
«Piantala col vittimismo, stupido.» fece Yasha, brusco, scorgendo l’ultima bancarella al margine del villaggio e l’assonnato riverbero del suo lume.
Lasciò la mano di Ashura e, in un attimo, si dileguò della notte, lasciando Ashura colpevole e decisamente impaurito.
Il terrore non durò che una manciata di secondi: di nuovo al suo fianco, Yasha gli porse qualcosa che riluceva sul palmo della sua mano.
Era un orecchino.
Da elaborati riccioli d’argento tintinnava una fitta serie di pietre rosse, luccicanti alla luce della luna, e Ashura, delicatamente, lo sollevò fra due dita quando Yasha lo esortò a prenderlo. Prima che Ashura potesse dire alcunché, lui gli sottrasse il piccolo monile dalle mani per infilarlo nel foro che aveva sul lobo dell’orecchio.
«Cosa…» fece, incapace di raccapezzarsi per un dono tanto improvviso.
«L’altro lo tengo io.» sorrise Yasha, e gli mostrò il gioiello identico che teneva nell’altra mano. Lo appuntò al fodero di Yamatou. «Così, vedendo che questi sono uguali, tutti capiranno che tu hai fatto la tua promessa solo a me.».
Lusingato dall’importanza di quel regalo, Ashura rifletté per un momento. Questo avrebbe fatto sì che tutti avrebbero potuto capire l’entità del loro giuramento. Ripensò alla folla che si era stretta attorno alla giovane coppia, ebbra di danze e di gioia, e alla freddezza e all’odio che avevano incontrato quelle volte che erano stati riconosciuti.
Si ricordò che quell’astio non l’aveva mai toccato.
Non fino in fondo.
Era un’altra cosa che non aveva colpito completamente né lui, né Yasha.
Che diceva di poter vivere solo se Ashura era accanto a lui, nonostante Ashura potesse fare così poco per ricambiare quello slancio.
Si erano detti di non lasciarsi mai, proprio in virtù di questo, sebbene, a prima vista, la loro relazione fosse così diversa da chi si univa in matrimonio.
Quello aveva bisogno di un uomo e di una donna, da quanto aveva capito.
Aveva bisogno di qualcuno che vedesse quella promessa con gli occhi.
E, per ultimo, aveva bisogno, visto il regalo di Yasha, di qualcosa che potesse contenerla.
Ridacchiò.
A conti fatti, loro non avevano mai avuto tutte queste cose fino in fondo.
La loro promessa se l’erano ritagliata su misura.
Ed era grande abbastanza.
Lasciò cadere l’orecchino.
«Questi sono un po’ piccoli, per noi due.».
Yasha lo guardò ridendo.
«Ora capisci perché non te ne ho mai regalati?».
~
A/N 8 luglio 2007, ore 3:55. Tutto è partito da una vaga ispirazione che gli orecchini molto Ashura-style che ho comprato per il mio compleanno – passato esattamente quattro ore fa XD – mi hanno attaccato. L’innesco è avvenuto grazie alla Tai/Ash che la mia adorata Wren mi ha consegnato alle 23:55, come regalo di compleanno. Sotto fulminante inspirazione, ho scritto questa cosa pucciosa, che le dedico con tutto il cuore: GRAZIE WREEEEN. Scritta praticamente a notte fonda in qualche ora, e ci tengo a dire che quel che c’è scritto sul matrimonio Hindi è molto blando e in parte inventato XD.
Spero vi piaccia!

Juuhachi Go.

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