[X] Hakike

Titolo: Hakike
Fandom: X
Personaggi: Subaru Sumeragi, Seishiro Sakurazuka, OC vari
Parte: 1/1
Rating: R
Conteggio Parole: 2330 (LibreOffice)
Note: omosessualità, vagamente nsfw, spoiler su X16 e 17, se non ricordo male

Hakike

Non era un odore piacevole: era dolciastro, denso come un boccone viscido e difficile da ingollare.
Subaru scosse lievemente il capo: il pensiero gli aveva fatto ritrarre lo stomaco in un crampo.
Attirò le ginocchia al petto, i piedi appoggiati sul ballatoio di legno dell’engawa e gli occhi rivolti al cielo. Ne era visibile solo qualche sparuto brandello; un fitto intrico di rami di ciliegio sembrava ricoprirlo come un intreccio di vene nere, e i loro fiori pendevano nel vento come dei cuori abnormi, animati da una flebile pulsazione.
Non capiva se gli alberi da cui si estendevano fossero addirittura esterni alla casa: sembravano essere giganteschi, ma, entrando, Subaru non ne aveva notato la presenza.
I loro fiori erano troppi, ed erano troppo grandi. Si distaccavano sfogliandosi in una miriade di petali larghi e odorosi, spessi come se fossero stati ritagliati da un grande pezzo di stoffa. Non sarebbe stato educato allontanarsi dal luogo in cui la cliente gli aveva gentilmente chiesto di attendere, così Subaru chiuse con forza gli occhi, per costringersi a restare fermo senza cedere alla sensazione sgradevole che quell’olezzo gli stava suscitando. Spostò lo sguardo sulla ciotola di the che gli era stata offerta all’arrivo. Non ne aveva assaggiato che un sorso, per quanto sgarbato potesse apparire un simile comportamento, ma il suo corpo sembrava riluttante a seguire anche una simile norma di buona creanza, ostinatamente insensibile. Seguì l’ennesimo sciame di fiori, più irruente dei precedenti. Gran parte di esso si andò ad appoggiare sul liquido che galleggiava nella piccola scodella, e Subaru, in un gesto dettato unicamente dall’istinto, la urtò con forza. La osservò rotolare a pochi centimetri da sé, il contenuto che si rovesciava sulle assi di legno e scivolava gocciolando attraverso di esse.
Fu allora che lo shoji si aprì con un rumore lieve.
«Sumeragi-san?».
Si voltò leggermente.
La padrona di casa si fece avanti a piccoli passi.
Aveva un viso minuto e dal colorito malsano, più pallido addirittura del suo. Non era bella, non in senso lato: aveva tratti fini e delicati, e grandi occhi castani, ma qualcosa nell’atteggiamento del volto era profondamente stonato. I capelli erano quasi neri, tenuti stretti in una crocchia dietro la nuca, e i polsi sottili si facevano notare appena dalle ampie maniche del kimono blu scuro, su cui erano stampati dei grossi fiori rossi stilizzati.
«Vi ho portato ciò che mi avete chiesto per la vostra abluzione.» mormorò sottovoce, per poi lasciargli accanto una larga bacinella e un panno bianco accuratamente ripiegato.
Lui ringraziò cortesemente.

Non servirà a molto.

Oltretutto, quella non poteva essere neanche considerata un’abluzione vera e propria. Guardò gli shoji che la donna si era appena richiusa alle spalle e fremette involontariamente: c’era ben poco da purificarsi contro la deliberata repulsione che l’aveva colpito non appena aveva messo piede in quella casa. L’aria stessa, nel giardino, era irrespirabile, carica di quell’odore che Subaru avrebbe dimenticato volentieri. Se non altro, sospirò, il debole velo dell’acqua fredda avrebbe agito da isolante per la sua magia, entro i limiti del possibile.
Strofinò delicatamente le mani all’interno del bacile, per poi passarsi il liquido sul viso in mille rivoli gelati.
Distorto da una miriade di gocce, il riflesso sul pelo dell’acqua gli mostrava un volto dimesso e inespressivo, in cui due occhi verdi, lucidi di influenza latente, lo fissavano con mestizia.
Si asciugò con cura.

Hokuto-chan sarebbe terribilmente arrabbiata con me.

Aprì piano lo shoji.
«Signora? Sono pronto per cominciare. Potrebbe guidarmi, per favore?».
Lei annuì con un cenno, per poi prendere a camminare in direzione del grande fusuma di fronte a loro.
Subaru la seguì a passi svelti.

O forse si limiterebbe ad additarmi ridendo.

Era quasi tutto vuoto. Attraversarono due stanze rivestite di solo tatami, senza altro elemento d’arredo, il che superava anche il più rigoroso minimalismo tradizionale.
Ciò che inquietava Subaru erano i toni pesanti della casa: tutto era rivestito di un mogano scurissimo e levigato, che sembrava annullare addirittura la luce che galleggiava dagli shoji. L’onmyouji rabbrividì ancora, invaso da un’intima sensazione di fastidio, perché la presenza – qualunque cosa essa fosse – si stava facendo sempre più vicina, allungava i suoi grandi tentacoli unti verso la sua mente, cingendola in un anello di malessere e di torpore, incostante come fumo e, allo stesso tempo, duro come una lastra di marmo.
Si tastò la fronte con una mano: stava sudando spasmodicamente, copiose gocce ghiacciate che gli coprivano il volto, la schiena, le spalle, un che di zuccheroso e nauseante lo stava gonfiando da dentro, appesantendolo ad ogni passo.
«È qui.» sussurrò la donna, spalancando l’ennesimo fusuma decorato.

In fondo avevano ragione entrambi – sono uno sciocco.

Subaru abbassò le palpebre, nel tentativo di tenere sotto controllo il prepotente rigurgito che si era arrampicato lungo l’esofago.
Giunse i polpastrelli e prese a respirare con la massima calma.
Il vento accarezzava lo shoji con un sibilo.
I rami di ciliegio, là fuori, si stavano agitando pigramente sotto la sua pressione, in una pioggia incessante di polline, di petali, di grida, di canti; ne sentiva l’ombra, la vedeva scivolare sotto le palpebre con piccole zampe di lucertola, intrecciandosi in una retta perfetta, perfetta, così—
Un’ondata di disgusto divampò con un’intensità soverchiante, stringendogli le viscere nel pugno.
Subaru la respinse ingoiandola con altrettanta caparbietà.
«No.».
Tornò a guardare il mondo circostante, la donna che si voltava verso di lui sgranando gli occhi e stringendo le labbra, come a volergli porre una domanda.
«Non è qui.» spiegò semplicemente, con una punta di freddezza. Lei gli scoccò un’occhiata acquosa e quasi spaventata, cosa che, stranamente, contribuì ad irritarlo ulteriormente.
Le piccole mani, sommerse quasi del tutto dal kimono, si tormentavano senza posa, prese, tutt’a un tratto, da un accesso di nervosismo da cui Subaru si sentì contagiato.
«Che… che cosa significa?» incalzò lei, con l’aria di qualcuno in procinto di scoppiare in singhiozzi.
«Che si trova lì dentro.» ribatté lui, puntando il dito di fronte a sé, verso un fusuma ancora chiuso, ai lati del quale erano state poste due candele spente, in alti e sottili candelabri neri.
La donna rimase in attonito silenzio, con l’aria di non aver capito una sola parola, come se Subaru avesse parlato un’altra lingua senza preavviso.
Qualcosa guizzò nuovamente dentro di lui, rendendogli sempre più difficoltoso mantenere il proprio autocontrollo: d’improvviso, quella giovane dall’aspetto innocuo gli sembrò repellente, odiosa, i suoi occhi castani e vacui e i suoi stupidi capelli lo agitavano, indisponevano, nauseavano, sebbene nulla nel suo aspetto potesse giustificare un tale impulso.
Proprio come quando tornava indietro, riavvolgendo l’esile gomitolo della sua vita – di quella vita – per poi dipanarlo di nuovo e correre balzelloni sul suo filo – una treccia di tanti fili insieme, così compatta all’apparenza, e così friabile in realtà – per scoprire, inesorabilmente, l’ambivalenza fra la superficie di odio e indifferenza con cui si schermava e il cuore di arrendevole struggimento che vi si celava al disotto – e che mai avrebbe dovuto esistere.
Le sue ginocchia minacciarono di piegarsi al comando di una scossa elettrica che lo sconquassò da capo a piedi.

Che si sacrifica per gli altri e li lascia sacrificare a loro volta, soccombendo

Che la presenza si trovasse lì o meno non aveva più importanza; le sue laide, invisibili falangi lo accartocciarono da dentro, in un furioso ondeggiare di bile che gli lavò via il colore dal viso e gli riempì la bocca di amaro.
Vide la donna scuotere la testa con forza.
Non demorse – non poteva, non nel suo lavoro.
«Gli spiriti maligni si muovono in linea retta» insistette, stanco della monocromia di quel luogo, così simile al dibattersi continuo della sua anima fra quattro emaciate pareti di carne «e io ho quindi bisogno di un contatto visivo diretto con loro, per esorcizzarli. La sola percezione non è sufficiente.».
«Sei proprio sicuro di voler vedere cosa c’è dietro?».

sotto il peso di un desiderio che non riesce nemmeno a nominare.

Dietro non c’è mai stato niente. Né la vendetta, né una mia convinzione nel volerla portare avanti.
Potrei dire “spero che lei lo sappia, e che lo sapesse già.”

Subaru cadde sui tatami sbattendo violentemente le ginocchia al suolo.
La lignea ragnatela dei rami di ciliegio premeva su di loro con inflessibile perizia, sui polmoni, sugli occhi e sul cuore.
Ma non mi importa, Seishiro-san.
Capitolò al conato che lo stava rivoltando, un braccio sullo stomaco contratto e uno abbandonato in avanti mentre una chiazza di bile si riversava sul pavimento con un rumore viscerale.

As soon as I’m left alone
The devil wanders into my soul

And I pretend to myself

E che non ha il coraggio di guardare in faccia.

Rialzò il capo con le labbra che gli tremavano. Osservò la donna dal basso, inorridendo intimamente del suo sorriso crudo – cattivo – mentre si rimetteva faticosamente in piedi, senza far trasparire nulla dei suoi pensieri.
Lei dischiuse il fusuma piano, in un movimento fluido e compiaciuto, il respiro che martellava Subaru nel petto.
Dietro il pannello, Subaru era riverso su un futon, le labbra socchiuse appena mentre si lasciava sfuggire sottili sospiri.
Brillanti occhi verdi lo contemplavano con aria assente.
Il suo yukata era scomposto sul corpo nudo, e Seishiro, con le gambe fra le sue, passava una mano fra i suoi capelli e le labbra sulla gola che gli veniva offerta,
Dietro
soffiando parole sconnesse sulla pelle scivolosa, la bocca dell’altro sospesa in un singhiozzo spudorato e arreso mentre si sporgeva verso di lui, schiacciandosi contro le mani che gli stringevano i fianchi.
«Seishi—».
ci sono sempre e solo io.
Il desiderio rimase cristallizzato e immobile dentro lo sciamano inerte e attonito oltre la soglia. La scena non gli provocò la reazione che aveva immaginato, fu solo in grado di acuire la sua nausea, ma, stavolta, il conato rotolò a vuoto nella sua gola.
La donna rise.
E Subaru vide il sangue schizzare sul futon.
Subaru si sciolse in un fiotto rosso che intrise il materasso.
Senza scomporsi, Seishiro si assopì con la testa sul guanciale.

Because all of my being is now in pining

«Ma come, Subaru! Temi qualcosa che hai immaginato tu?»
Lui strabuzzò gli occhi, rizzandosi in piedi per la seconda volta, prendendo l’aria a grandi, frenetici sorsi.
E il mondo gli esplose attorno in milioni di frammenti.

*

Si afferrò le braccia, affondando le dita nei muscoli in un movimento convulso, guardandosi intorno con sguardo incredulo.
Il vento di Tokyo lo sferzava implacabile, e l’asfalto scricchiolava sotto le suole degli stivali.
«Bentornato.».
Si voltò di scatto, schiantandosi sul pacato sorriso che Seishiro gli stava indirizzando, lo sguardo freddo dietro le lenti degli occhiali da sole.
Indispettito, Subaru inspirò il vento algido per trovare le parole.
«Perché tu dovresti sapere con esattezza dove sono stato, e la cosa deve restare ignota finanche a me stesso?».
«Io sono io – sapere dove tu sia esattamente è mia imprescindibile prerogativa; vedere ciò che desideri è un gradevole passatempo annesso, e osservare il processo dall’interno della tua mente è un’operazione che presuppone una notevole capacità di interpretazione, stando a quel che ho potuto constatare. Sai, il prendere queste vie traverse l’ho sempre considerato l’espressione della vena creativa di un onmyouji.».
«Devo dedurne che i tuoi criteri estetici stiano decisamente virando verso il peggio?» lo rimbeccò Subaru, incapace di trattenere il sarcasmo.
«Andiamo, Subaru-kun. Al posto tuo, mi limiterei a speculare sul modo in cui la mente ci mostra ciò che non abbiamo il coraggio di voler guardare, finché il subconscio non ce lo lancia in faccia.».
Pausa di silenzio.
«… C’eri anche tu?».
Seishiro sospirò in maniera teatrale.
«Tu volevi che io ci fossi?».
«Un momento. Perché mi sembra alquanto grottesco il fatto che tu stia tentando di psicanalizzarmi?» considerò Subaru, secco.
«Che paroloni. Parlo semplicemente da appassionato del genere.» si discolpò l’altro, ridacchiando malignamente.
Subaru si morse il labbro, lasciando che le immagini distorte di quella dimensione allucinata della sua mente gli scorressero davanti agli occhi.
«… Credi che ognuno abbia visto quel che desidera nel profondo?».
«Frena, Subaru-kun. Da che mondo è mondo, il cervello è sempre il tuo. Ed era tuo anche il fusuma chiuso.».
Da parte di Subaru provenne solo un lungo, meravigliato silenzio.
Seishiro decise di spezzarlo con noncuranza.
«A proposito, cos’è che hai visto, tu, dietro quel fusuma?».
L’altro alzò lo sguardo che, un attimo prima, aveva puntato sul pavimento.
Squadrò Seishiro con un’occhiata penetrante.
«Tu che cosa hai visto?».
Seishiro sorrise, vago.
«E chi lo sa!».
Non tu, specificò fra sé e sé, mentre tendeva una mano fino a posarla lievemente sulla guancia di Subaru.
Non oggi.
Le sue dita divennero di fiori prima che il ragazzo potesse sfiorarle a sua volta.
«Sempre dalla parte dei buoni, e troppo gentile col sottoscritto, eh?».
Subaru non rispose, stette immobile a fare da spettatore mentre Seishiro svaniva in un fruscio di petali.
No, ti sbagli.
Il vento si sollevò con uno sbuffo imperioso.
Lui si strinse nel soprabito.
I buoni non si sciolgono nel sangue.
Estrasse il pacchetto di sigarette dalla tasca e, lottando col maestrale, ne accese una.
Hai sempre confuso quell’irrinunciabile, implicita accondiscendenza nei tuoi confronti con la bontà. Ma non sono il buono che credi, non lo sono mai stato.
Il fumo si avvolgeva nell’aria in una scia di odore acre, familiare, che ruzzolava a rincorrere i pochi petali ancora avvinti nelle raffiche.
Non sono le persone a cambiare.
Li osservò volare verso il mare.
Sono solo i loro desideri a farlo.
Con un’ultima occhiata alle nubi che si addensavano sopra la foresta di grattacieli, Subaru girò i tacchi, lanciando il mozzicone dietro di sé.
Tu sei l’unico che vi rimane appostato dietro, qualunque sia la direzione che intraprendono.
E lui non avrebbe smesso di inseguirne il corso.
Fino a quando i tuoi colori non sbiadiranno da me.
E Subaru non fosse sbiadito in lui, collimando con lui in ogni sua fibra, assottigliandosi fra i rami e i fiori, ritirandosi nell’ambrosia rossa che nutriva le sue radici.
Chissà se Seishiro avrebbe ricordato.
Ma non era importante che lo facesse.

What formerly had cheered me
Now seems
Insignificant
Insignificant

~

A/N 25 novembre 2007, ore 11:08. Se non ci capite niente non posso biasimarvi X°D perché è una cosa confusa abbastanza XD senza contare che l’ho scritta in un arco di tempo che va dall’una alle quattro del mattino, finale escluso XD. Ispirata – non so se il richiamo sia effettivamente palese – alla side-story di Subaru alla fine del volume undici, credo sarebbe anche la mia entry al concorso di lisachan, se non temessi una brutta figura eccessivamente smaccata XD. Era più di un anno che non scrivevo su X in maniera sufficientemente prolissa, e ciò che mi sorprende è come tutto questo sia venuto fuori dal solo impulso di rileggere il volumetto, senza che nulla fosse minimamente in programma XDDD. Sono un tantino arrugginita sul fronte “sano confronto botta&risposta sul fronte Sakurazuka/Sumeragi”, ma sento che qualcuno sarà pronto a saltarmi addosso per aver tentato il passo X°°°DDD… no, scherzo XD.
Ahh, ritorno alle origini is <3. I versi che compaiono qua e là sono citazioni da The Devil di PJ Harvey. Per quanto io veda la canzone sagomata su Wuthering Heights, ho sentito che si inseriva nel concetto generale della storia. In caso contrario, vi autorizzo alla protesta aperta X°D. E ricordatemi altresì di non ricorrere mai più a una formattazione così assurda XD! “Hakike” in giapponese dovrebbe significare “nausea” nel senso di disturbo di stomaco, c’erano tre varianti e ho usato quella che mi suonava meglio XDD…

Juuhachi Go

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