Titolo: Crossroads
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: Larsa Ferrinas Solidor, Basch von Rosenburg, Ashelia B’Nargin Dalmasca
Parte: 1/1
Rating: G
Conteggio Parole: 2170 (LibreOffice)
Note: spoiler sul finale del gioco, scritta per il Christmas Meme di Michiru e seguito di In the bleak midwinter
[Christmas Meme] 10. Vischio
«Natale?»
Ashe fissò con curiosità il cartoncino rosso che portava le insegne di Archadia. Era orlato di eleganti ghirigori d’oro, come la regina di Dalmasca non avrebbe mai creduto possibile in tempo di guerra.
«Esatto, Maestà. La lettera dice così» fece la dama di compagnia che l’aveva adagiato nelle sue mani.
Ashe sarebbe stata ben lieta di non doversi sentire l’unico rappresentante di uno Stato a ignorare il folklore archadiano, se avesse saputo che la reazione di Basch era stata identica alla sua. Pensò a lui lo stesso – chissà come si destreggiava bene, ora, con quelle usanze così poco familiari per lei.
Non poté non sorridere al pensiero che quella fosse la prima occasione mondana dopo tanto tempo, dopo tutto quel che era accaduto – e se Larsa ci aggiungeva tutto quel mistero di contorno, era proprio il caso di godersela come meritava.
«Suppongo bisognerà privare le tarme dei loro giocattoli preferiti!» esclamò, alzandosi dalla scrivania con il solito piglio risoluto, che nascondeva accuratamente un entusiasmo tutto bambino e poco regale.
Forse qualcosa dei vecchi tempi poteva ancora tornare.
*
A un anno di distanza, lui e il Natale avevano decisamente fraternizzato, eppure Basch trovava ancora di che stupirsi quando notò che, stavolta, il tramestio aveva una carica diversa da quella dell’evento precedente. Smise di azzardare qualche timida domanda quando si persuase del fatto che sarebbero rimaste inascoltate. Il primo ostinato fautore di quell’omertà sembrava essere lo stesso Lord Larsa.
«Vostra Eccellenza non crede che le decorazioni siano un po’ più grandiose dello scorso anno?» si era infatti deciso a chiedergli una mattina, rimestando pensosamente con il cucchiaino nel tè bollente. Il suo imperatore si limitò a un frettoloso gesto della mano, atto quasi a sventagliare aria fresca sulla sua curiosità.
«Ho deciso di festeggiare quest’anno… Ma parlatemi piuttosto degli aiuti umanitari mandati a Bur-Omisace… Qual è la parte di Rozaria all’interno del progetto?» snocciolò, attardandosi con la stilografica sul foglio tanto che una lieve macchia blu si allargò sulla curva di una “c”.
Basch alzò per un attimo gli occhi, poi si arrese a poggiarli su di lui.
«Stando alle parole di Al-Cid…»
Sarebbe stata una lunga e faticosa giornata.
*
Più la fantomatica festa della Vigilia si faceva vicina, più Basch si accorgeva che praticamente tutte le donne archadiane di rango erano in subbuglio – un subbuglio in merito al quale si taceva sempre e solo al suo passaggio.
Oh, sì. Lord Larsa stava decisamente architettando qualcosa.
*
Archadia le regalò un vestito.
Chiunque avrebbe potuto interpretarlo come un gesto di aperta galanteria.
«Di guerra aperta, forse!» scherzò la regina con le ancelle che l’avevano dato a intendere, rammentando che era un incentivo di natura strettamente pragmatica da parte di Larsa, e non un civettuolo tentativo di persuasione di Al-Cid.
La faccenda restava comunque comprensibile – molto probabilmente la tinta accesa dell’abito era importante per la tradizione a cui era stata chiamata a partecipare, ma altrettanto non si poteva dire di tutta quella smania di segretezza. Non capiva, per esempio, come mai Larsa le avesse fermamente impedito di farsi annunciare in qualità di ospite con il suo vero nome. Certo, la sollevava dalle molteplici seccature del protocollo, ma l’espediente era quanto di più singolare avrebbe potuto aspettarsi da una persona come lui.
Oh beh, si disse, passando le dita fra le morbide pieghe della stoffa, l’ultima volta che aveva usato uno pseudonimo aveva salvato un reame.
*
A Lady Ashe il Natale sarebbe immensamente piaciuto.
Le fiammelle guizzanti delle candele accese in circolo nella sala gli ricordavano le irrespirabili notti estive di Dalmasca, quando la regina era ancora una ragazzina inconsapevole del proprio destino. Spesso, durante i suoi turni notturni a palazzo, Basch l’aveva sorpresa in camicia da notte nella sala del trono, con i piedi nudi sul pavimento di marmo, a scrutare invano la città addormentata in mezzo al fremito luminoso delle candele ormai sciolte attorno ai davanzali in rivoli di cera. Non riusciva a contare le volte in cui l’aveva pregata di tornare a letto, e non c’era stata una sola occasione in cui fosse riuscito a spuntarla, contro di lei.
Il silenzio della notte ispirava la giovane principessa a porgli domande a cui lui non aveva risposte: la morte, la vita, il potere. La gloria, la sconfitta. Ashe si chiedeva quali fossero il giusto significato e il valore da attribuir loro. Più Basch si trovava sottoposto al fuoco amico di quegli interrogativi, più si rendeva conto che i concetti di “significato” e “valore” fossero tutto meno che netti.
«Siamo uomini, Altezza. Non abbiamo che noi stessi. Non esiste valore più alto, arma più potente o limite più angusto di questo.»
Non era stata una risposta granché confortante, ma Ashe, senza sorridere, gli era sembrata appagata, nel riflesso di quel gruzzolo di lucine.
Era una cosa che gli mancava da morire, quella – la reciproca, radicata fiducia che poteva leggere nel suo sguardo sempre distante, sempre ostinato a ritrarsi di fronte al prossimo. Gli mancava la sua caparbia determinazione, e gli mancavano i suoi tremendi accessi di commozione e di sconforto. Gli mancavano la logica ferrea dei suoi ragionamenti, i suoi discorsi secchi e mirati, la patina di regale durezza della sua voce e il guizzo di umanità che risplendeva al disotto di essa. Non che tutti ad Archades difettassero di qualità simili, ma Basch sfidava chiunque a raggiungere i livelli di Lady Ashe.
Dopotutto, la prima promessa di un cavaliere non andava mai dimenticata.
Né si dimenticava facilmente la silenziosa, discreta magia che circondava una persona come lei.
*
L’avrebbe rivisto.
Ci aveva pensato a lungo, e aveva tentato di tenere questa considerazione più al margine rispetto alle altre. Tuttavia, il palazzo reale era rimasto silenzioso e vuoto troppo a lungo: fra tutte le voci che si rimescolavano fra le sue pareti, non ce n’era una che provenisse da quei felici tempi andati – non Basch, né Vossler, Rasler o suo padre. Per tre di quei nomi, la morte aveva provveduto a trasformare in rassegnata nostalgia il bisogno che aveva di loro, ma quello di Basch si collegava a un anno di avversità passate al suo fianco nel fango e nell’acqua, nella boscaglia e nel deserto, si riallacciava a un mondo di parole e verità che avevano spronato la sua battaglia e tenuto insieme il suo cuore. La sua mancanza era vivida, palpabile come i cuscini di uno scranno.
E lo sapeva bene, che annullarla fra le luci splendenti di una festa era null’altro se non una poetica, corroborante illusione.
*
C’erano più candele di quante Basch potesse contarne, nel salone in cui fece ingresso insieme a un fiume di ospiti rossovestiti, tutti indaffarati in un meravigliato cicaleccio mentre rimiravano gli addobbi che sfavillavano sulle loro teste. Gli araldi, intanto, snocciolavano lunghe pergamene di nomi, al suono dei quali Larsa esibiva sorrisi compiaciuti – altra stranezza da tenere sott’occhio, dato che era solito odiare con solerte fervore ogni sfoggio festivo fine a se stesso.
Si chiese distrattamente chi potesse portare un cognome assurdo come von Haastenberg, quando lo sentì declamare nel bel mezzo della sala. Per amor di curiosità, alzò la testa per vedere a quale contessa vecchia e panciuta appartenesse.
E per poco non capitombolò sotto il peso dell’armatura.
Nessuno sembrava sorpreso di vedere Ashelia B’nargin Dalmasca fare ingresso nel salone – nessuno a parte lui, ovviamente, il che non mancò di farlo sentire in imbarazzo, dato che anche i paggi sembravano al corrente della cosa.
Larsa si accostò a lei per porgerle i saluti e, in disparte, Basch poté osservarla con una meraviglia di cui nemmeno lui si capacitava. Non era cambiata affatto. L’unico tratto nuovo era la serenità che le leggeva in viso.
Portava un ampio abito rosso e scollato, sulle cui maniche erano ricamati agrifogli, e il tocco esotico e pomposo di quei vestiti stranieri sembrava sovrapporre un’altra donna a quell’agile, aggressiva ragazzina che si era lanciata a salvare Dalmasca con le unghie e con i denti.
La folla era così pressata nella sala, mentre l’orchestra dava il via alle danze, che gli fu impossibile avvicinarsi mentre Larsa le chiedeva il primo ballo. Accettò la richiesta di una marchesina, ridendo sotto i baffi al pensiero del piccolo furfante che si ritrovava a servire – lui e la sua mania di fare sorprese.
*
«Siete davvero cresciuto» commentò Ashe, notando come Larsa si fosse decisamente alzato dal loro ultimo incontro. Il giovane imperatore ridacchiò nel guidare i suoi passi.
«Gli abiti da cerimonia mi impongono tacchi molto alti, milady… Forse a condurre le vostre danze serve un ballerino che meglio si adatti alla vostra statura» sorrise, lasciando la presa in una piroetta. Prima che terminasse, Ashe aveva già sentito una mano prenderne il possesso, così si voltò, lasciando che il braccio del cavaliere le cingesse la vita. Alzò gli occhi – stavolta il ballerino era finanche troppo alto.
«Buonasera, Maestà» mormorò Basch, con malcelata felicità «È stata una bella sorpresa vedervi qui, vi trovo bene.»
Il sorriso con cui Ashe gli rispose era pieno, quasi commosso.
«Trovo bene anche voi, Gabranth,» e sembrava che lo stesse chiamando col suo nome, invece «così come trovo Archades molto cambiata dall’ultima volta.»
«Non si dice, d’altronde, che la pace rende migliore qualsiasi cosa?»
«Già.»
Ashe distese la mano nella sua, lasciando che lui la guidasse.
«Anche Rabanastre sta sortendo lo stesso effetto… mi chiedo quando tornerete a visitarla.»
Lui la guardò con un po’ di tristezza.
«Il mio cuore non se n’è mai staccato, milady… Si tratta solo di convincere il corpo a lasciarsi cose indietro e a, beh, seguirlo.»
Traducendo in immagini le sue parole, Ashe rise sottovoce.
«È questione di tempo. Non ho intenzione di lasciare Dalmasca sulle vostre spalle, senza che nessuno vi sostenga. Mai più.»
«Attento a non accollarvi troppe promesse in un sol colpo… l’ultima volta che ci avete provato siete finito in quest’armatura, e io…»
S’interruppe, non sapendo esattamente cosa avesse intenzione di dire.
Basch la incitò con un’occhiata.
«… io non voglio più perdere nessuno» risolse, e le parve un compromesso più che adeguato con l’assurdità che le era balzata alla mente.
«Tutta Dalmasca vi sostiene, Maestà. Ha stima e rispetto di voi come non ne aveva nemmeno di vostro padre.»
«Ma io, da sola, non faccio Dalmasca.»
Basch strinse appena l’abbraccio attorno alla sua vita.
«Non siete cambiata affatto.»
Ashe lo guardò senza capire, mentre continuava a muoversi nel valzer.
«State guidando voi.»
«Oh» tossicchiò Ashe, arrossendo appena «Scusate.»
«Dritta con la schiena.»
«Insomma, Capitano, non ho più quindici anni…» brontolò. Li ricordava, quei pomeriggi a palazzo, quando suo padre aveva costretto Basch e Vossler a improvvisarsi maestri di danza. Ricordava i rimproveri e le giravolte, gli occhi di Basch senza ombre, quelli di Vossler senza conflitto.
E quelli di Rasler non erano un fantasma nella sua testa.
«Perdonatemi» si scusò, contrito «è l’abitudine… dopotutto, siete ancora la mia regina.»
Ashe inarcò un sopracciglio, e Basch, dall’alto dei suoi trentott’anni, sentì lo stomaco annodarsi come se ne avesse avuti meno della metà.
«Insomma, ho ancora il dovere di proteggervi, quando ho l’opportunità di farlo…»
«Non è di protezione che ho bisogno, Basch… devo ancora dimostrarvelo?» ribatté lei, mascherando senza troppo successo una punta di asprezza.
«Certo che no, Maestà, io—»
«Basterebbe anche solo il vocio che animava il palazzo, oppure il chiacchiericcio di Penelo davanti al fuoco, e un vostro consiglio su qualunque cosa. Non mi avete insegnato che una regina si foggia nel cerchio di affetti che ha intorno?»
Basch non le rispose. Due anni prima, Ashe non gli avrebbe mai rivelato un pensiero di tale entità. Anche perché, di coloro che aveva amato, rimaneva comunque qualcosa.
E adesso?
Strinse la sua mano più del dovuto.
«Sono qui, milady. Ora sono qui.»
Non si avvide di Larsa che li fissava con un mezzo sorriso, ma ne intercettò lo sguardo nel momento in cui, con un ‘oh’ di meraviglia, gli ospiti videro sottili fili d’oro srotolarsi dal soffitto: all’estremità di ognuno pendeva un rametto di vischio che si dondolava giulivo sulle loro teste.
Basch e la sua regina si scoccarono uno sguardo perplesso.
L’imperatore, che ballava alle sue spalle, picchiettò sulla spalla del capitano, per sussurrargli all’orecchio poche e coincise parole, senza che Ashe potesse udirlo.
«Baciatela, è tradizione!»
Basch non poté evitare di guardarlo in tralice, ma quando si voltò di nuovo verso di lei, Lady Ashe stava facendo di tutto per non mostrarsi divertita dall’espressione imbarazzata che lui suppose di aver assunto.
«Ehm…»
«Beh?» sbuffò lei, incuriosita.
Sciogliendosi in un timido sorriso, Basch sollevò la sua mano e se la portò alle labbra. La vide osservare il suo gesto con una certa sorpresa.
«Buon Natale, Maestà. Dicono porti fortuna.»
Per quanti sforzi Ashe facesse, stavolta il sorriso le sfuggì davvero.
«Buon Natale anche a voi, Basch.»
Lo disse sottovoce, e Basch pensò a come fosse bello riafferrare il suono chiaro che acquistava su quelle labbra dopo tanto tempo.
Nell’osservarli, Larsa non poté trattenersi dall’incrociare le braccia con orgogliosa soddisfazione.
I biscotti allo zenzero, ora, avrebbero avuto un sapore di gran lunga migliore.
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A/N 16 gennaio 2009, ore 0:33. Morivo dalla voglia di scrivere questa storia da un sacco di tempo. Nella mia testa era una fic tatina, ma è uscita una porcheria melassosa. Un giorno la riscriverò per bene. E con questo, CHIUDO il mio personale Christmas Meme, con un grazie a Michiru per le sue idee taterrime e a liz per sopportarmi come al solito XD.