[Final Fantasy XII] A toast to the bride

Titolo: A toast to the bride
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: Raminas B’Nargin Dalmasca, Basch von Rosenburg, Ashelia B’Nargin Dalmasca
Parte: 1/1
Rating: G
Conteggio Parole: 1021 (LibreOffice)
Note: la scrissi su prompt di Shu, per il suo compleanno e, se non ricordo male, per il suo anniversario di fidanzamento ♥.

A toast to the bride
[birthday fic per Shu] the birds have sung their last, the bells call all to Mass

Io, che ero suo padre, non riuscivo a smettere di guardarla.
Le avevo sempre insegnato a non calcare troppo sulla propria bellezza e ad interessarsene con regale umiltà – e così Ashelia aveva fatto, per diciassette anni.
E adesso era lì, davanti all’imponente specchio di ottone, che rimirava gli infiniti strati d’oro ricamati che le avvolgevano il capo, e la seta che drappeggiava la sua armoniosa magrezza di ragazza. Leggera come una farfalla sotto al sole, lo sguardo splendente che osservava il suo sorriso sul vetro.
Non sorrideva spesso.
Anche le damigelle, intente a fissare la sua contentezza, appuntavano gli orli delle gonne e degli strascichi lanciando gioiose risate, mentre quella sposa che stavo per intessere nell’arazzo della Storia accarezzava il tessuto con soddisfazione.
«Vi piace, Capitano?»
Scorsi il capitano von Ronsenburg oltre lo stipite della porta, senza poter reprimere un sorriso nel vedere uno dei miei più rigidi cavalieri farsi ancor più rigido e imbarazzato al suono di tale domanda – così inusuale, sulle labbra di una giovane donna che lui ed io avevamo cresciuto su fil di spada.
Il suo cognome mi aveva sempre parlato di nobili origini in merito alle quali egli aveva sempre taciuto. Non poteva essere altrimenti: la Repubblica di Landis doveva avergli inculcato un garbo tale da vincere ogni forma di possibile imbarazzo. Lo spiai accennare un inchino con la mano sul petto.
«Vostra Altezza è bellissima» le assicurò, permettendosi di guardarla con franca ammirazione, un sorriso orgoglioso disegnato sul viso. Sembrava un riflesso di quello che io stesso sentivo solleticarmi il labbro.
Mia figlia si appoggiò una mano sul fianco, in un suo tipico, irriducibile gesto.
«Suppongo che si tratti della prima e ultima volta in cui un Cavaliere dell’Ordine di Dalmasca potrà annunciarlo con una tale genuina sincerità.»
Lui le rivolse una breve risata, tendendole una mano perché scendesse dallo sgabello, una volta che le ancelle ebbero terminato di sistemarla, sparpagliandosi verso altre mansioni.
«Dal canto mio, Lady Ashe, oso supporre che questa sia la prima e ultima volta che sentirò palesare nella vostra voce un simile vezzo!»
«Ergo, gli esiti della vostra educazione si sono dimostrati fallimentari, con me?»
«Sono un pessimo giudice, per quanto concerne i vostri riguardi, milady.»
«Davvero?»
Lessi sul suo volto un’espressione di sincera sorpresa.
«Me ne rincresce confermarvelo, Altezza, ma sì… ai miei occhi rimarrete per sempre la principessa più regale che la mia lama abbia mai saputo forgiare.»
«Nonché l’unica…» sentii Ashelia ridere appena, rendendomi conto, solo in quel momento, che non aveva ancora lasciato la sua mano.
«Già» ammise lui. Abituato al suo contegno marziale, risi fra me nel vederlo trattenere l’impulso di inclinare la testa in un gesto di vereconda umiltà «Ma non tutte le principesse sono fatte per essere sagomate sulla spada, mia signora.»
Aggrottai la fronte in maniera così profonda che credetti di poter essere scoperto dal semplice rumore del mio movimento, ma mi sbagliavo: fragili fantasie di un vecchio re, che vedeva bene, però, come il sorriso del capitano si fosse tinto di una nota di malinconia.
Vidi il sorriso svanire dalle labbra di mia figlia. La sua bocca tornò ad essere la linea diritta e consapevole a cui tutta Dalmasca era avvezza, ma si incurvò nuovamente in un rapido luccicare di rossetto.
«È stato grazie a voi che io sono quel che sono ora, Basch» gli rivelò, con la schiettezza limpida che ci eravamo preoccupati di insegnarle, sperando che, un giorno, sarebbe stata altrettanto brava a dissimularla.
«Non potete rendermi più felice di così.»
«Me ne compiaccio.»
Vidi Basch sorridere ancora.
«Saremo felici, Rasler ed io.»
«Non potrei augurare altro, a una sposa così bella, mia signora» rispose Basch, scuotendo lievemente il capo.
Trattenni a stento un’esclamazione, quando lo vidi sollevare il velo dal viso di mia figlia, che non si oppose, ma lasciò che il capitano le baciasse la fronte, con una delicatezza talmente dedita da giudicarsi, a mio parere, poco consona all’addio di un cavaliere.
«Che gli dèi veglino su di voi» aggiunse, riassettandola e porgendole il braccio.
«E su Dalmasca» fece lei, fiduciosa, dopo un attimo di pausa.
«Ricordatevelo sempre, Lady Ashe – non è il vostro regno a rendervi quel che siete. Dalmasca è quel che dovete. Non dimenticatelo mai. Non dimenticate voi stessa.»
«Dividerò il peso su altre spalle perché lo amo, non perché Dalmasca me lo chiede.»
C’era un pizzico di incontrovertibile autorità, nella sua risposta.
Basch annuì, indecifrabile come acqua immobile, le labbra serrate.
«Vi porto da lui» concluse, conducendola attraverso l’ingresso principale del salone.
Sospirai.
Chissà che complicato intreccio le serbava il fato, mi chiesi, ripensando alla lieve amarezza negli occhi del capitano, ma subito mi riscossi – già rintoccavano le campane, sotto il calore sfavillante del sole. Il loro suono profondo scacciava i colombi dai loro nidi nel campanile.
Dalmasca ne avrebbe imitato le sorti, sì.
Allora, però, nelle luci festive del mondo dei vivi, le ombre sembravano meno fitte, in quel giorno di letizia, così tanto che, quando la portai all’altare, sentì che la felicità di averla maritata ad un giovane così innamorato, a cui lei guardava con altrettanta gioia, mi svuotava il petto.
Ripensai alle parole che Ashelia aveva rivolto al capitano e sorrisi d’orgoglio – no, la ragion di Stato non avrebbe mai inghiottito nulla di quel legame, o della scintilla azzurra che osservavo splendere nei loro occhi, mentre salutavano un popolo urlante che sembrava scrollare sui loro vestiti nuziali il fango di una guerra inutile.
A spezzarlo ci avrebbe pensato la morte – e come potevo saperlo, io, mentre li guardavo danzare felici? Tutta la mia preoccupazione, quel giorno, era rivolta agli occhi del capitano: osservava i volteggi di Ashelia e Rasler con una briciola di mestizia, ma si distese in un sorriso nel levare in alto la coppa di vino.
«Viva gli sposi, viva Dalmasca!»
E adesso, dal grembo sotterraneo di questo limbo senza luce, sorrido, imitando il suo gesto di allora, stringendo le dita attorno all’aria nera di questo tetro sottosuolo, nonostante non abbia né un braccio da alzare, né una mano con cui afferrare alcunché – nulla a parte il cinereo riflesso di quello che fui.
Lunga vita a te, figlia mia.

~

A/N 19 gennaio 2009, ore 15:55. Shu, mia diletta. Fa schifo. Avrei voluto che uscisse fuori una bella fic piantata con i piedi per terra, e che il POV di Raminas servisse a qualcosa, ma… mi sono data buca, nonostante il prompt che mi hai suggerito fosse di uno stupendo che trascende l’umano <3 (e oltretutto sono spaventosamente in ritardo). Anyway, ne scriverò un’altra sul matrimonio di Ashe, così riuscirò a farti davvero felice… e anche se c’è un fantasma di mezzo, mio tesoro, BUON ANNIVERSARIO A TE E A SATAIZEN!!!! Ti voglio bene!!

Juuhachi Go.

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