[Final Fantasy XII] Little birds

Titolo: Little birds
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: Vossler York Azelas, Ashelia B’Nargin Dalmasca, Basch von Rosenburg
Parte: 1/1
Rating: R+
Conteggio Parole: 1191 (LibreOffice)
Note: nsfw. Utili al fic-riguardo i FMV sulla consegna della Spada dalmasca a Vossler dopo le Gallerie di Barheim. Scritta per Temporalmente, ai temi del fu Criticoni.

Little birds
“Not sure I understand this road I’ve been given.” (Feel – Robbie Williams)

Della sua adolescenza, la prima cosa che ricorda sono quegli arazzi variopinti appesi al muro.
La nobiltà della famiglia Azelas era oramai l’unica cosa a cui i suoi componenti potessero abbarbicarsi, quando Vossler era bambino, unico erede di un piccolo casato fatto di antiche gesta dal sapore fin troppo mitologico e di un fazzoletto di terra strappato al deserto. Non ha potuto crescere in maniera diversa dalla folla di ragazzetti con gli occhi lucidi che invadeva Rabanastre con il loro scalpiccio di topolini, riunendosi in quelli che allora non erano che magazzini di cui il vecchio Dalan era l’unico prode abitante.
Il vecchio Dalan era già vecchio, allora: solo il corteggio di ragazzini che lo attorniava avrebbe continuato a cambiare di anno in anno, esibendo gli stessi occhi incantati davanti alla corolla di umili tappeti su cui il vecchio sedeva, magro e scuro come un esile ulivo, gli occhi azzurri vivaci e luccicanti nel viso infossato, lunghe, ossute mani d’aedo senza cetra.
Vossler era un ragazzino schivo e spettinato – si nascondeva fra le piccole teste finché non li vedeva uscire tutti, per poi sedersi con aria cupa sulle casse impolverate.

*

«Non hai mai pensato di vivere in superficie?» borbotta un giorno, quasi balbettando – non è abituato a rivolgersi alle persone con tanta informalità, e non sa se il vecchio stia ridendo per questo, o per altri motivi.
«Soffro molto il caldo, figliolo.»
Vossler scrolla le spalle – non capisce perché un vecchio debba lasciare che l’umidità e la scarsa igiene dei depositi, dove vive solo chi non ha passato né futuro, debbano piagarlo con così tanto piacere – ma non domanda.
Suo padre sta morendo, e sua madre con lui – ogni volta che torna a casa, non vede che i suoi occhi sempre più spenti, meno lucenti di quelli febbricitanti dell’uomo nel letto, uno scheletro asmatico e rachitico. Non ha certo tempo da perdere con i problemi degli altri.
Guarda il muschio in una fessura dei mattoni e ha voglia di grattarlo via, ma le unghie sono tutte mangiucchiate o spezzate dal peso della zappa e della spada di legno che usa da solo, ora, contro i riccioli capricciosi del vento – suo padre non potrebbe più sostenere il peso delle proprie stesse dita.
A ispezionare la pelle dei palmi e delle dita, e a vederla dura come cuoio, Vossler ammette a se stesso che i canti, le romanze e le favole del vecchio Dalan sono in grado di fargli dimenticare tutto – e gli piacciono.
Raccontano una Dalmasca così lontana nel tempo da non poterla afferrare, da non poterla neanche vedere, in cui l’onore non era il ricamo di rame su una corazza, o il vessillo cucito sul petto, ma il sangue di nemici barbari versato ai piedi del re, per difendere il re – un mondo che non si contava a suon di guil, ma a suon di quanti Cokatoris eri in grado di scambiare.
Ammette anche che immaginare Dalan in quel mondo gli fa venire la voglia di sorridere.
Lo osserva ridacchiare sotto la spessa pennellata dei baffi, mentre gli occhi indicano l’antica spada all’angolo della stanza – la forma s’intuisce attraverso il sottile telo sbiadito e arabescato, e gli occhi di Vossler sono quelli di una lince: la punta dell’elsa fa capolino da un piccolo angolo, l’argento annerito riflette ancora la luce della lanterna.
«E tu hai mai pensato di diventare un Cavaliere dell’Ordine, ragazzo mio?»
Il ragazzo lo guarda con l’angolo di un labbro che accenna a sollevarsi in un movimento di interdetta sorpresa.
«Io penso tu abbia stoffa…» insiste il vecchio, con un riso felino.
«Sono un nobile decaduto. Chi non ha un nome non passa mai. Ha poco da difendere per se stesso, e niente che lo spinge avanti.»
«Beh,» ribatte Dalan con un’alzata di spalle, fissando il vecchio involto con sguardo lontano «ha più tempo per difendere tutto il resto.»
«Che resto?» dice, e pensa ai suoi avi chini in ginocchio a dare la vita per un Re Dinasta, e gli viene quasi da ridere perché lui si china davanti al letto che contiene meno di un uomo.
«L’onore, direi, giovanotto. Di tutto il resto che puoi. Il tuo, poi, verrà da sé.»
E per un attimo a Vossler viene da pensare che, in fondo, tutti i cavalieri vengono dal deserto, tutti con lo stesso orgoglio, tutti per lo stesso re, e la stessa causa.
Guarda il vetusto fagotto anche lui.
Non crede che facciano ancora spade così.

*

È stato il primo che gli sia saltato in mente di cercare, e adesso se ne pente, nella penombra della capanna, perché Vossler riconosce il suo viso fra i nodi incolti della barba, scorge due occhi scoloriti dall’orrore e dal sole, e una cicatrice che prima non c’era, e fondamentalmente si trova davanti all’ombra di un uomo, o forse di molto meno.
«Tu.»
C’è meno odio di quanto ne serva in realtà – Vossler lo mischia all’impersonalità di un politico e a quella di chi ha sempre creduto che i morti non tornino, ma i vivi che osano farlo debbano avere una ragione.
Il che non implica che a Vossler la ragione possa piacere.
Basch abbassa la testa con aria contrita.
«Per quello che può valere in apparenza, sì.»
Gli rispondono un paio di sopracciglia aggrottate.
Basch sospira.
«Amalia—»
«Ho dei vestiti puliti, dentro» e si volta con astio.
Basch lo segue, senza aspettarsi alcun cenno.

*

Fortunatamente ha le unghie corte, mentre si aggrappa alla pelle liscia e scivolosa di lei, le mani troppo grandi che la chiudono contro la sua, di pelle, in uno schiocco.
Lei asseconda le sue spinte pigolando a ritmo come un uccellino, piccola stretta e quasi vergine e Vossler lo sa, questo, mentre la luce della lanterna illumina un volto delicato di ragazza, le mani che portano i due anelli di un matrimonio che forse avrà consumato una volta sola, non di più.
La stringe alla base della schiena, dove ci sono i segni rossi del cuoio troppo duro dei vestiti – quando la testa di lei è sulla sua spalla, e non si vede che una virgola fine e bionda di capelli, la sente soffocare un grido più forte nell’incavo della sua spalla, con le ginocchia che si premono nelle sue anche e la presa del suo corpo su di lui che cede leggermente.
Vossler affonda completamente dentro di lei, e non si districa, dopo.
Basch dice sempre che ognuno ha le sue gabbie da scardinare.
Vossler aggiunge sempre che non tutte hanno sbarre che rendano il compito intuitivo.

*

Sul ghiaccio si slitta.
Lady Ashe si aggrappa con forza alla sua casacca frusta con le dita intirizzite chiuse in una morsa – Basch ricorda da quale armadio venga e non ha dubbi che lo sappia anche lei, che stringe quel pezzo di cuoio come se fosse un nodo, un pezzo di cuore, un pezzo di carne, il viso nascosto nel bianco della tormenta.
«L’avreste mai pensato, di vedere una cosa del genere?» la sente dire, con gli occhi che accennano al paesaggio circostante – Basch lo sa, che è per non guardare nei suoi.
Scuote il capo.
«No.»
Nessuno si riferisce alla neve.

~

A/N 4 giugno 2009, ore 19:00. Ho ricominciato FFXII per scrivere roba in-game. Pomeriggio ho passato le Gallerie di Barheim e ho consegnato la spada dalmasca a Vossler – i filmati che hanno documentato l’evento mi hanno ispirato roba a mille – peccato che nella mia testa sia venuta meglio di come l’ho scritta – e yay, prima e ultima fic per Temporal-mente. Questo è l’unico prompt che mi piaceva, e volevo fosse Vossler.
E grazie, Def, per sopportarmi. <3

Juuhachi Go.

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