Titolo: Lullaby
Fandom: Tokyo Babylon
Personaggi: Subaru Sumeragi, Seishiro Sakurazuka
Parte: 1/1
Rating: PG
Conteggio Parole: 1715 (LibreOffice)
Note: songfic, spoiler sul volume 7, accenni a omosessualità futura (?!?), also questo è il post in cui smetto di scusarmi di aver avuto quattordici anni, I guess, altrimenti mi devo strappare i capelli a ciuffi. Guardate la data in cima al post, guardate come piango ;___;. Also facciamo che di questa vi risparmio le note finali.
‘cause all I want and all I know is only to fly
They call me Lullaby
I’ve never seen their blood
I’ve never seen
That sparkle in their eyes
Gorgo di petali rosati come un grido.
L’occhio di un ciclone dall’essenza che è come una droga.
Impossibile dimenticare, no.
Rancore che scorre fra i sinuosi meandri di quel tronco, un tormento inestirpabile che si è insidiato fra le grandi radici.
Quel colore… possibile che quella linfa assomigli così tanto al… sangue?
Occhi.
Verdi, grandi, liquidi, stupefatti che osservavano attoniti e atterriti.
Tentò di lanciare, invano, un qualche incantesimo, non riuscendo a capire il perché di tutto quel lacerante dolore in fondo al cuore, avrebbe voluto estirparlo… Tokyo era così densa di richiami che ben poco avevano di terreno! Gli pareva che addirittura il vento si sciogliesse in languidi mormorii, in sintonia col suo animo… in quel non-luogo di sola ombra. Dov’era…?
Pioggia… rossa?!
Così piccolo, ai piedi del grande ciliegio, ammantato nel kimono candido forse troppo lungo per lui, il capo sollevato in un silente e reverenziale esame delle gocce vermiglie che s’infilavano in mezzo al tenue sbocciare di fiori, come piccoli rubini, assolutamente interdetto mentre un rivolo rosso caduto dall’altro gli macchiava i palmi alabastrini.
Scrutò con maggiore attenzione l’ambiente circostante…
La sorpresa non tardò a far schiudere le giovani labbra: tranquillamente assiso fra i rami, in un turbinio di petali, c’era un ragazzo con qualcosa fra le braccia. Lo spettatore in miniatura non si curò dei piccoli schizzi scarlatti che gli si appoggiarono sulle guance…
Un accenno di sorriso si stese sulle labbra dello sconosciuto.
Gelido come l’inverno, così tanto da congelare ogni suo pensiero.
Quello sguardo. Castano, penetrante, riluceva di un bagliore disordinato e folle come di tante lucciole impazzite.
Gelo, gelo, gelo. Non tradiva la minima emozione.
Troppo assorto, il piccolo sciamano, per scoprirsene spaventato.
Un sussulto lo percorse da capo a piedi quando notò che il braccio dello sconosciuto trapassava da parte a parte quello che si rivelò essere il corpo lugubremente inerme di una bambina.
L’espressione di quel dio della morte non fu soggetta al minimo cambiamento mentre, con un gesto brusco, ritirava l’arto con rumore di stoffa che si lacerava e lasciava che il sangue della fragile bambola precipitasse con leggiadria sulla splendida fioritura in un dipanarsi di macabri arabeschi.
Paralizzato dallo shock, l’indifeso ragazzino premette con forza le mani sulla bocca, il baluginio verde dei grandi occhi si dimostrò più che eloquente.
What’s hidden in their minds
They call me Lullaby
One day I saw a man
Trying to wash away the dirt on his hands
And the pain on his face when he saw me
He wished that he could cry
And he called me Lullaby
Le iridi dorate si abbassarono ai piedi dell’Albero e scrutarono con divertimento la gracile sagoma spiazzata da quella brutale esibizione che lui non capiva cosa avesse di così… abominevole.
L’odore del sangue… lo elettrizzava così tanto!
Lo sguardo insistette sulla pallida fisionomia goffamente ravvolta nel kimono da cerimonia.
Curioso, come non riuscisse a trovare il fondo di quel paio di smeraldi trasfiguratisi in un tremulo uragano.
La spensieratezza, l’innocenza così tipica degli occhi dei bambini, serica e traslucida. L’aveva distrutta. In pezzi, così. Ne era assolutamente deliziato.
Storse la bocca in una smorfia di voluttà cattiva e si sbarazzò del cadavere lanciandolo di lato come un qualcosa di inutile, abbandonando il suo posto fra le salde propaggini dell’enorme sakura e abbattendosi fulmineo sul diafano astante il quale pareva avere a che fare con un’entità spirituale piuttosto che umana, a giudicare dall’aspetto. Un piccolo tocco sulla fronte gli fu sufficiente per fare in modo che il ragazzino crollasse contro di lui.
Rimase inginocchiato.
Era la prima volta che veniva sorpreso ad uccidere… inoltre, quel frugoletto così adorabile pareva essere un suo… ‘collega’. I suoi polpastrelli pulirono con attenzione le gote screziate di rubino.
Che ne facciamo di te, adesso?
Meditò un istante, senza abbandonare la piega ironica delle labbra, prima di accostare con delicatezza due delle sue dita alla morbida frangia d’ebano, così, immediatamente, il piccolo giocattolo riprese i sensi e realizzò di essere lungo disteso fra le sue braccia. Mortificato, si sollevò, scusandosi con educazione e ringraziandolo per l’aiuto.
Ne fu sinceramente sorpreso.
In quel divertente esserino, tutto intento a profondersi in inchini nel vistoso costume tradizionale, poteva leggere una fragilità e una goffaggine che giudicò da subito… invitanti. Un lampo di trionfo trapassò in un momento il piglio atono del giovane, una pungente esibizione di soddisfazione gli tagliò la bocca: eureka…
«Questi fiori di ciliegio sono bellissimi, non trovi?» proferì con voce morbida, accingendosi a tornare in piedi e a mostrargli il suo sorriso più dolce.
Vide quelle labbra schiudersi in un solare assenso. La sua voce si fece più bassa e suadente:
«Scommetto che non sai che sotto i ciliegi sono seppelliti dei cadaveri…»
«Dei… dei cadaveri?!» balbettò lo scricciolo
And as far as I can see
There is one way this could be
I’ve been told we were born to be free
And as far as I can see
There is one way this could be
But they struggle and they fight
They weep but they still try
Everything that they can
Everything that they can
And they call me Lullaby
And they wish they would they have
Everything that they can
Everything that they can
And they call me Lullaby
«Il motivo per cui i ciliegi ogni anno fioriscono così splendidamente è che sotto ci sono sepolti dei morti. Il vero colore dei loro petali, infatti, sarebbe il bianco. Sarebbero candidi come la neve. Allora capisci…» si apprestò a interrogarlo, sorridendo «… perché invece il loro colore è il rosa?».
Si arrese davanti alla piccola cervice che sottolineava con uno scotimento la propria ignoranza riguardo alla questione.
Un attimo di silenzio per concedersi il lusso di osservare quel visetto latteo in attesa, per distendere il proprio taglio labiale, per esplicare: «Perché succhiano il sangue dei morti che sono sepolti sotto…».
La bocca ancora inclinata in un riso che, da carezzevole, era diventato crudele.
Quella silente risata… Avrebbe dovuto stridere con la dolce fragranza e la delicata silhouette dei petali intorno a loro, elaborò il neo-onmyouji, ma, al contrario, pareva fondersi con esse, silenziosamente…
Due stille di salata tristezza orlarono i bordi delle stupende iridi… che cosa atroce, sotto quei fiori bellissimi!
Avrebbe dovuto correre, non avrebbe dovuto trovarsi lì! Eppure, le gambe rimasero ferme. Si sentiva così… in trappola, ma, nonostante questo, riparato, come se stesse dormendo in mezzo a quei boccioli di velluto traditore e non fra le loro radici, come quelle persone…! Tirò un respiro e pigolò con la vocina infantile incrinata:
«Ma… agli uomini che stanno sotto gli alberi… non fa male, vero…?».
Fu quanto bastò per gettare il suo misterioso interlocutore in un attimo di mutismo in cui boccheggiò, senza avere la minima idea di cosa rispondere. DISARMATO. Si ricompose poi nel solito ghigno (stavolta, probabilmente, si era lasciato andare alla derisione di sé stesso, ma questo la propria arida emotività non gli diede mai, nemmeno in seguito, modo di constatarlo) e si inginocchiò di fronte alla bella bambolina…
«Facciamo un patto…» scandì quella bocca di giovane uomo. Si guadagnò l’attenzione di colui che se ne stava dirimpetto contro il suo sguardo, immobile. Ginocchioni, la statura del cacciatore si adattava perfettamente a quella del suo nuovo passatempo.
«Quando io e te ci rivedremo… passeremo un anno, e, bada, uno soltanto, insieme».
Con enfasi, si stava rivolgendo a quelle fini fattezze tese nell’incredulità e concentrate sulle sue parole contro cui un vento profumato di ciliegi in fiore si scagliava violento.
«Il tuo animo è totalmente opposto al mio…» parlò con maggiore chiarezza a quelle polle limpide che lo seguivano come incantate, le piccole, soffici labbra lievemente dischiuse «… tu sei dolce, puro, sincero, credo che anche da grande rimarrai tale, con questo tuo buon cuore… perciò, se dovesse capitare di rincontrarci ancora, io…»
I’ll fly, I’ll fly
Just like a lullaby
Just like a lullaby
Until the day I’ll die
Oh me
I’ll fly, I’ll fly
Like a lullaby
Like a lullaby
Until the day I’ll die
I’ll fly, I’ll fly, I’ll fly
«… cercherò di affezionarmi a te…» promise, appoggiandogli due dita sulle gote « … ma solo per un anno.» lo avvertì, come per informarlo della pericolosità di quel gioco, pur sapendo che il volere di quel pupazzetto non avrebbe avuto alcun peso sulle sue decisioni.
Una sensazione così inebriante quella che scaturiva dal prendersi la vita di chiunque, decidendo per essa! L’onnipotenza era umana, sì… no, un momento, era sua e del suo clan. Riuscire a provare qualunque sentimento per quella cosina deliziosa ne sarebbe stata l’ineluttabile conferma, ma perdere non era nel suo stile, perciò avrebbe vinto, con la stessa facilità con cui aveva pronunciato quel giuramento.
Inoltre, per il solo ciliegio, una bambola così fine, presa senza divertirsi, sarebbe stata un’imperdonabile spreco.
«Se trascorso un anno ti considererò una persona speciale avrai vinto tu e io non ti ucciderò, ma se, in caso contrario, tu non dovessi rappresentare per me niente di speciale, come quel cadavere laggiù…» e indicò quest’ultimo voltando il capo, sogghignando nel vedere il pargoletto ritrarsi lievemente … beh, in quel caso io… ti ucciderò, perciò oggi ti lascerò andare.» decretò, prendendo le piccole mani fra le sue.
Stava tremando sottilmente, bene.
«Per poterti riconoscere quando ti rivedrò, ti imprimerò un sigillo che indica…» si interruppe, avvicinando la sua bocca al dorso perlaceo di una di quelle manine così pure e sottili per imprimervi un bacio lieve, seguì poi con particolare godimento il movimento del collo pallido che si gettava all’indietro, lasciando ciondolare la testa inerme –palese manifestazione di incoscienza- mentre il pentacolo che la sua bocca aveva tracciato con una sua lieve pressione luccicava di sangue, il quale, scendendo giù lungo il polso che l’assassino teneva con forza, era arrivato a macchiare il bordo della manica del kimono immacolato.
Gli occhi color dell’ambra notarono un singolo rivolo scarlatto ravvolgersi lentamente attorno alla base della mano. Increspando lievemente le labbra, fece in modo di appoggiarle sopra la leggera traccia per arrivare poi a suggere con la propria lingua quella singola, invitante stilla; sottrarre una goccia della linfa vitale di quel cucciolo gli era risultato più che piacevole, immaginarsi la sua vittoria, cosa avrebbe potuto scatenare!
Se lo sarebbe preso, completamente, quando tutto quello sarebbe terminato… la pelle candida dell’altro arto pareva risplendere, così sfregò il suo sorriso privo di luce su quella soffice superficie per trasformarlo in un tocco morbido dalla cui conseguente ferita prese di nuovo a stillare quel nettare intossicante e dolce. Le sue labbra non esitarono e si mossero flemmaticamente sul marchio che avevano rilasciato, ripercorrendolo al contrario.
La forza che le sue mani avevano fino a quel momento esercitato sulla sua preda divenne minima. Si distanziò di poco per contemplare, soddisfatto, il suo operato, decidendosi a terminare la frase quando vide il ninnolo schiudere le gemme annebbiate e confuse.
«… che tu sei una preda dei Sakurazukamori.».
Stordito, l’interessato avrebbe avuto intenzione di proferire parola, ma la veloce successione degli eventi glielo rese impossibile.
Quel riso indecifrabile galleggiava leggero fra nugoli di petali.
… Perciò…
Petali di ciliegio dappertutto.
… oggi…
Sui vestiti.
… ti…
Fra le dita.
… lascerò…
Sulle labbra, sugli occhi. Migliaia.
… andare…
Così tanti da rassomigliare a un’illusione.