[Ace Attorney: Phoenix Wright] Be a world child, form a circle

Titolo: Be a world child, form a circle
Fandom: Ace Attorney: Phoenix Wright
Personaggi: Phoenix Wright, Miles Edgeworth, Manfred von Karma
Parte: 1/1
Rating: R
Parole: 1328 (LibreOffice)
Note: omosessualità, spoiler sul finale

Be a world child, form a circle

C’era stata una volta in cui Miles Edgeworth aveva sospettato che fra lui e il proprio mentore potesse sussistere una particolare, compassata accezione di affetto, una eccessiva dimostrazione della quale avrebbe cozzato malamente con il carattere di entrambi, e che andava, pertanto, accantonata, o almeno relegata entro soglie massime rigidamente definite.
Ma si era trattato, appunto, di un attimo: era stato sufficiente un minimo di permanenza in quella casa perché Miles – un bambino certamente grato al procuratore, ma un bambino sveglio – capisse con precisione quale ruolo il suo maestro gli avrebbe fatto ricoprire, e che grado d’importanza il proprio benestare avrebbe raggiunto nei suoi pensieri.
Ma, dopotutto, Miles non aveva neppure molta fretta di rimpiazzare la figura di suo padre – anzi, era certo di non volerlo e poterlo fare, a causa di parecchie circostante. Perciò, aveva preso la saggia decisione di adattarvisi come solo un vero uomo avrebbe potuto fare, almeno di giorno, quando gli incubi non avevano campo libero.
Il passare degli anni, poi, era stato in grado di insegnargli anche di più.
Il protettorato di Manfred von Karma era più o meno uguale alla sua politica di conduzione di un processo – implacabile e gelosa dei propri metodi. Erano certezze che aveva avuto modo di acquisire solo il giorno in cui aveva messo piede nel suo ufficio – per la prima volta in veste ufficiale di procuratore, fresco d’università e di tirocinio, pieno di conoscenze perfettamente impilate nella memoria come dozzine di dossier in uno schedario.
Molto di quello che aveva potuto osservare con l’occhio di un collega, quel giorno, gli aveva rivelato il perché e il percome delle voci che inseguivano la fama di von Karma.
Prima di tutto, ogni cosa, in quell’ampio ufficio in cui la luce era schermata da spesse tende di velluto, gli somigliava: aveva la foggia severa e antiquata di un colonnello della vecchia Europa pre-Prima Guerra mondiale. Grossi tomi di giurisprudenza, tutti dall’aria incredibilmente vetusta, e tutti rilegati in cuoio marrone, se ne stavano incasellati in massicci scaffali di mogano, in una serie di librerie che accerchiava la stanza. Non c’era un soprammobile, in nessun luogo, escluso il fermacarte d’avorio – una natura morta – sulla scrivania, e un solenne Cristo di frassino crocifisso sopra la porta. Documenti e cartelle dovevano essere gelosamente serrati dietro gli sportelli che scorgeva sotto gli scaffali: nessuno di essi era in vista, nemmeno (o forse soprattutto?) per gli occhi del suo figliastro.
Trattenne in tempo il lieve sorriso che gli si stava arricciando sulle labbra: la scrivania stessa aveva l’aria di un ampio, imponente banco d’accusa, ed era un monito-decorazione di per sé più che sufficiente.
Gli venne in mente (e qui lo sforzo per restare assolutamente atono gli richiese maggiore impegno) che, a voler proprio indovinare un attimo in cui von Karma era stato vagamente orgoglioso di lui… beh, era stato quando aveva deciso di seguire le sue orme diventando un procuratore.
Seduto nella propria poltrona, von Karma lo fissò con aria intenta per qualche secondo, facendo combaciare i polpastrelli, come a voler emettere una sorta di verdetto d’idoneità nei suoi riguardi: la sua era una postura rigida, nervosa, e in evidente atteggiamento di chiusura. Teneva le dita intrecciate fra loro, con le mani ritratte sul bordo lavorato del legno.
Miles non amava von Karma, il che non era necessariamente un male: laddove l’affetto veniva meno, s’instaurava il rispetto fra due uomini sicuri della precisione del proprio operato, dell’infallibilità di una giustizia che andava perpetrata ad ogni costo, con ogni mezzo.
Quindi, non disse nulla: in attesa, tossicchiò e si strinse nelle spalle mentre le lunghe dita dell’anziano procuratore aprivano la prima pagina della sua documentazione
«Lei, signor Edgeworth,» commentò (assolutamente vietato ogni tipo di confidenza, sul lavoro!), frapponendo fra i loro visi la cartellina con i suoi dati e sfogliandone rapidamente il contenuto «sembra aver compiuto notevoli progressi, nonostante la sua giovane età.»
«Immagino di sì, signore,» rispose lui, incolore, accavallando silenziosamente le gambe e tormentando impercettibilmente la stoffa che gli copriva un ginocchio.
Lo osservò poggiare il plico sulla scrivania, prima di ricominciare a scrutarlo.
«Mi domando semplicemente quanto tempo un ragazzo tanto giovane riuscirà a resistere in un’aula di tribunale, costantemente inseguito da una muta di mastini» disse, concedendosi il beneficio di una lieve smorfia – quella da ubi maior, minor cessat, a quanto pareva.
«Sospetto solo il tempo potrà dirlo, ma… non spetterebbe a noi procuratori, il ruolo di mastini?» ponderò, senza battere ciglio.
Von Karma curvò un labbro, in un’espressione a metà fra divertimento e sprezzo: un sorriso sui generis, senza dubbio, ma gli occhi rimasero severi. Si alzò in piedi e gli si avvicinò per toccargli rapidamente una spalla.
«Venga, le darò un esempio pratico sfogliando l’archivio,» disse, costringendo Miles ad alzarsi dalla sedia con un cenno. Lui ripiegò il cappotto su un braccio, affrettandosi fuori dall’ufficio sul filo della sua voce «non esiste innocenza che non possa essere demolita, con i mezzi opportuni.»
Si chiusero la porta alle spalle.

*

«… E tu potresti riuscire a dimostrare tutto questo semplicemente con l’impronta parziale del dito medio della mano destra? E chi potrebbe mai usare anche il medio per impugnare una pist—Ehi! Aspetta un attimo, ci sono!» sobbalzò Phoenix, cercando di non soccombere sotto il peso delle cartelle che Mia gli aveva affidato mentre correvano da una sala udienze all’altra. Lei lo osservò con la coda dell’occhio e sorrise mente lo sentiva declamare: «Un imputato che sotto i guanti abbia pollice e indice di legno!»
«Beh fatto, Nick!» e rallentò il passo per afferrargli il gomito, prima che, presi dall’entusiasmo del momento, i piedi gli si attorcigliassero fra loro.
«… E si ricordi che le redini del processo non appartengono mai a un avvocato difensore!»
Frasi del genere avevano parecchia attenzione da attirare, nei corridoi di un tribunale: sia Mia che Phoenix sollevarono la testa per capire da dove fosse arrivata, e mossero un passo di lato quando videro un uomo alto e pallido che, avvolto in un lungo soprabito nero, trottava a passo sostenuto con una cartella sotto al braccio, guardando dritto di fronte a sé. Dietro di lui, un ragazzo vestito di una tonalità improbabile faceva del suo meglio per tenere la stessa cadenza. Annuiva con aria seria, ma, a differenza sua, si voltò un istante, giusto il tempo di incontrare lo sguardo sorpreso di Phoenix, e rispondere con un’occhiata dubbiosa.
Passò oltre, reprimendo la tentazione di voltarsi indietro – dove aveva già visto quella faccia?
«Bah!» mormorò, e non sentì quel ragazzino che, dietro le spalle, si lasciava sfuggire un’esclamazione che era un po’ sorpresa, un po’ emozione, un po’ nostalgia e un po’ un sacco di cose… inclusa un po’ di sacrosanta irritazione, perché ehi, come se gli avvocati non fossero mai pesticciati abbastanza in un tribunale!

*

Parecchi anni dopo, letteralmente spalmati sul divano extra-lusso dello Studio Wright & Co, ubriachi con largo anticipo sulla notte di Capodanno, ma ancora presi dall’euforia post-processo, si guardano con occhio un po’ vacuo quando Miles riemerge dal suo bacio con uno schiocco e lo osserva con aria sospettosa.
«Eh? C-Cosa» balbetta Nick. Sta armeggiando con la cintura, e il fatto di non riuscire a scardinarla lo fa sentire un cretino, anche se sospetta non sia quello il dettaglio su cui Miles abbia intenzione di concentrarsi. Probabilmente.
«U-Un uccellino—» borbotta lui sottovoce, abbastanza rimbecillito dall’alcol, dalla contentezza e un po’ dall’ansia da prestazione (quand’è stata l’ultima volta, in effetti?) da rischiare di strangolarsi con le balze del fazzoletto che porta al collo «—mi ha detto che tu sei diventato avvocato per rivedere me» e conclude l’argomentazione con un bacio.
«Va’ là,» sdrucciolano due sillabe di smentita, mentre Nick vince la propria personale battaglia con la cintura e lo acchiappa per le spalle per riportarselo addosso, onde evitare ulteriori crolli della propria soglia minima di dignità «chi se le inventa queste scemenze?» commenta, arrossendo nell’incavo della sua spalla.
Una sola conferma su dettagli del genere, ed Edgeworth sarebbe diventato insopportabile.

~

A/N 25 giugno 2011, ore 4:08. Non so quante volte dovrò ringraziare la Crim in questi giorni, gente XD! Ebbene sì, ho giocato a ‘Phoenix Wright: Ace Attorney’…. e vi dico solo che la bozza di questa fic si chiamava ‘mazzuolatealcanon’, dato che io fessa non avevo mica capito che von Karma avesse preso Edgeworth in casa come figlio suo °_°. Che poi, sicuramente, non avendo ancora giocato ‘Justice For All’ (o almeno, avendolo acceso dieci secondi solo qualche ora fa), al 99,9% ho comunque scritto castronerie. Anyway, che io shippi Nick/Miles in qualunque ordine (dai, quando Nick dice di essere diventato avvocato per lui è una cosa da esplodere d’amore) e che non sappia decidermi fra chi mi piaccia di più mi sembra una dichiarazione terribilmente prevedibile XDDD *si sotterra*! Spero di riuscire a raccapezzarmi abbastanza da farvi avere dell’altro! Oh, il titolo è un verso di ‘Street Spirit’ dei Radiohead: non riesco a smettere di ascoltarla, e ho deciso di usarla perché, insomma, tutti e due questi adorabili signori sono un po’ costretti a gettarsi un po’ in pasto al mondo con almeno un po’ di disincanto (Miles, poi, sarà cresciuto in fretta!)… e perché, beh, sono la dimostrazione, in un modo o nell’altro, che tutto ritorna in un circolo! No? ♥

Juuhachi Go.

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