Titolo: Standing in the shade
Fandom: X-Men: First Class
Personaggi: Erik Lehnsherr, Charles Xavier
Parte: 1/1
Rating: G
Parole: 1032 (LibreOffice)
Note: omosessualità, e boh? Spoiler per il finale di XMFC?
Now he talks in his sleep
Says I’ve never known peace
And I don’t know him now
He’s a stranger to me
Nei suoi sogni, Charles si porta dietro la sabbia che scricchiola fra i denti, l’odore delle alghe che imputridiscono sulla battigia, il sole sulla faccia e la fitta di dolore unica e lancinante di quando il proiettile di Moira gli trapassa una vertebra e viene cavato a forza da un gesto di Erik.
Nel sonno, ricorda la tensione dei muscoli sotto i vestiti, le braccia di Erik e le sue mani e la sua voce. Conosce la rabbia che lo mangia pezzo dopo pezzo: era uno strascico così forte, ogni volta che si infilava nella sua testa, da lasciargli il retrogusto in bocca. Su quella spiaggia, però, di Erik e della sua rabbia non gli resta che l’odore: il sudore e il sale del mare come se ogni centimetro della sua pelle sia in moto per esplodere, e la traccia sottile del sangue di Shaw sui polpastrelli. In qualche modo, gli torce lo stomaco.
Si sveglia di soprassalto ogni volta.
Fra il sogno e il risveglio, esiste un vuoto di una frazione di secondo. Charles spicca il salto con le mani che gli tremano chiedendosi perché non senta più le gambe, e atterra sull’altro capo della realtà masticando il motivo senza fare una piega.
Fuori, la notte è sempre fredda e sempre uguale. Gli irrigatori spruzzano in cerchio sul prato tagliato di fresco, la luce della luna cade un po’ ovunque sulla parete, illuminando la sua sedia a rotelle e gli occhi di Erik nello spazio dell’elmo.
Assomiglia a Shaw.
«Suppongo che un semplice ‘ciao’ non sia esattamente la scelta più appropriata alla circostanza.»
«Non vedo perché no,» sorride Charles «negalo finché vuoi, Erik, ma parlare del più e del meno ti è sempre piaciuto.»
«Oh, sì,» ridacchia lui di rimando «mi sarebbe piaciuto avere del più e del meno di cui parlare, in effetti.»
«Non ho sperato neppure per un secondo che tu fossi venuto per questo» commenta Charles, assestandosi con un gomito fra i cuscini. È l’espressione un po’ sorniona con cui lo aspettava sul divano con un libro in mano e la scacchiera davanti. Erik non si sente nella posizione di chi, fra loro due, stia sopportando qualcosa, ma non riesce a guardarlo negli occhi.
«Charles… non fingere che non sia successo niente, io–»
«Non vedo come potrei… sei seduto sulla mia sedia a rotelle, e forse per la prima volta riesco a capire cosa stai pensando senza dovertelo strappare a forza.»
Le ruote scricchiolano mentre Erik si avvicina al letto.
«Dovrei esserci io al tuo posto.»
«Mio caro Erik,» ride Charles «so di vanificare i tuoi migliori sforzi per diventare il peggior nemico della razza umana, ma sono ancora convinto che in te ci sia più bontà di quanto tu stesso ti ostini a credere.»
«Attento, finirai per farmi passare per un santo» lo punzecchia Erik, nascondendo l’amaro che gli brucia in gola.
Ma Charles sembra avere tutta l’intenzione di farlo star male – ignora il puntiglio e prosegue.
«Potrei dirti che sei stato tu, e dubito che potrebbe farti stare meglio – o far stare meglio me. Ma non avresti mai voluto. Mi sembra abbastanza, non credi?»
«Non intendo stare qui a farmi consolare da te per averti paralizzato» protesta Erik, la fronte aggrottata sotto l’elmetto che ha contenuto il cranio di Shaw e il ronzio dei suoi pensieri. Si morde un labbro e appoggia le braccia sul bordo del materasso, sporgendosi un po’ verso il suo viso.
Charles è invecchiato.
Alla luce livida della sera, segue i segni sottili che la stanchezza e il trauma gli hanno inciso nella pelle. Niente di così visibile, ma c’è un’ombra attorno agli occhi e alla risata di Charles, Charles che ha sempre una battuta e una soluzione per tutto e per tutti e che adesso è in trappola nel suo corpo.
«Non fare quella faccia truce. Non ti si addice. Non sei Shaw» dice sottovoce, umettandosi le labbra.
«Tu dici? Credi ancora di non conoscermi per quello che sono veramente?»
«Al contrario.»
«Porto un elmo, Charles, non una maschera. Non ti ho mai nascosto quello che ho deciso di fare. Fra noi due, non sono io quello che ha preso un cacciatore di nazisti in casa per farlo diventare un agnellino.»
«Erik–»
«Non si può avere il controllo su ogni cosa. Non tutte le persone sono migliori perché porgono l’altra guancia. Non puoi salvare la gente prendendola di peso, Charles. Alla fine ti accorgerai
che avevo ragione e–»
«… Allora perché sei qui?»
Già. Bella domanda.
«Perché voglio essere con te, quando le cose andranno per il peggio. Vorrei che te ne rendessi conto prima che accada.»
In fin dei conti, è una risposta che non spiega un bel niente, se non il fatto che è notte fonda, e che Erik se ne sta sulla sponda del letto di Charles a morire di irritazione sorda per aver fatto una scelta a scapito di un’altra, quando nell’altra scelta era incluso anche lui e tutto il resto.
«Sei tu quello che può evitare che accada, Erik. Tecnicamente, sei tu la minaccia per l’umanità» ma è una cosa detta a mezza bocca con una mano che gli accarezza una guancia, come succedeva secoli fa con le facce arrossate dal cognac e dal fuoco.
Erik non dice più niente, inghiotte il suo respiro in un bacio che succhia via dalla lingua di Charles ogni parola, la bocca che si apre contro la sua in un angolo storto. Lui lo guarda con gli occhi spalancati nella penombra, sostenendo appena il suo peso addosso, e lo osserva sorridere per un attimo. Non riesce a trattenersi, e soffoca una risata un po’ più forte nel lato del cuscino: Erik allunga il braccio e, con due dita, accenna alla scacchiera sullo scaffale di fronte. Guida l’atterraggio sulle ginocchia di Charles con tutti i pezzi in perfetto ordine, poi guarda lui, con un sorriso da malefatta che grazie a Dio esiste ancora, da qualche parte sotto quell’elmetto.
«Ti va una partita?»
Charles annuisce, e lascia che Erik sposti un po’ le sue gambe per farsi posto sul materasso. Prende i neri e gli lascia la prima mossa, in silenzio.
Per una sera, può anche illudersi un secondo.
~
A/N 12 agosto 2011, ore 20:30. Il mondo ci ha già pensato a scrivere tonnellate di fic del genere, e a farlo meglio di me, in quanto tutto ciò non va da nessuna parte e non ha alcun senso. Sweeter than anything di PJ Harvey, colonna sonora di questo sputo, mi ha uccisa più del solito. Un bacio a Fiorediloto per la proverbiale e necessaria presenza ç_ç!