[X-Men: First Class] How deep the bullet lies

Titolo: How deep the bullet lies
Fandom: X-Men: First Class
Personaggi: Charles Xavier, Hank McCoy, implicito Erik Lehnsherr XD
Parte: 1/1
Rating: G
Parole: 727 (LibreOffice)
Note: omosessualità, spoiler, angst

How deep the bullet lies

La prima volta, Charles si rende conto che anche lavarsi è un grosso problema.
Quando Hank lo aiuta a far scorrere il pantalone oltre le ginocchia, lui non batte ciglio, con la solita espressione composta addosso, ma si riserva tutto il diritto di stringere le labbra contro la fitta di umiliazione e vergogna nel momento in cui il suo allievo lo solleva come un fuscello e lo appoggia delicatamente nell’acqua calda, le gambe che ciondolano oltre l’incavo del suo gomito.
«Serve altro?»
«No, Hank, ti ringrazio» mormora Charles, sorridendogli appena. Hank esce dal bagno con un piccolo cenno di saluto, e lui, in silenzio, si immerge nell’acqua più che può, dopo settimane passate a farsi lavare con una spugna e una bacinella d’acqua. In piccoli movimenti concentrici, strofina via gli ultimi residui giallastri di tintura di iodio, e l’odore acre che gli è salito lungo le narici per giorni sparisce sotto una morbida, fruttata scia di bagnoschiuma. Charles chiude gli occhi, appoggiando la testa contro le piastrelle. Se non altro, questo è una specie di ritorno alla normalità, si dice, passando la doccia sui capelli ancora asciutti. Prende un ginocchio con tutte e due le mani e se lo attira contro il petto, intrecciando le dita per evitare che la gamba riaffondi nella vasca.
Non sente niente – non è certo una novità, ma è come se lo fosse, costantemente, in ogni attimo della giornata, oggi più che mai. Tasta il polpaccio sotto le dita come se appartenesse a qualcun altro: con l’immobilità forzata, si è assottigliato, creando una strana sproporzione con la rotula, grossa e sporgente. La sua prima giornata fuori dal letto gli ha dimostrato che casa sua è un posto insormontabile e sconosciuto, visto dalla seduta di una carrozzina, e che ogni movimento non è più suo, ma di tutte le persone che gli vivono attorno. La tenuta non è stata ancora attrezzata, il che significa che, dopo quello che è successo, tutti accorrono alla sua minima richiesta, quasi a volergli far dimenticare lo scarto che esiste fra loro, adesso. Charles riconosce che, se così non fosse, sarebbe condannato a trascorrere la propria esistenza sul sofà al piano terra. Hank ha aggirato il problema portandolo in braccio per decine di rampe di scale tutta la mattina, costringendolo a ricacciare indietro il nodo di inadeguatezza e imbarazzo che gli ha chiuso la gola ogni volta che ha dovuto domandarglielo. Abituato ad avere sotto controllo ogni cosa, Charles non è mai stato un tipo con troppe richieste, e ora si ritrova ad avere il controllo di porzioni di mondo sempre più grandi – ogni tanto percepisce ricordi e persone in un ronzio confuso di lingue e culture diverse – senza avere il minimo controllo del proprio corpo. Gli capita di ricordare le parole di Raven, di tanto in tanto («Facile parlare, con una mutazione invisibile come la tua!»), e sorride con una certa amarezza – a quanto pare, anche i bei tempi della sua condizione privilegiata sono finiti.
Fortunatamente, in termini di conduzione dell’accademia, nulla è veramente cambiato: Charles resta un esimio scienziato (per citare parole altrui, ovviamente), ed è sempre stato un atleta mediocre. D’altronde, se proprio sta a loro vegliare sul futuro del mondo, seduti si sta comodi abbastanza. Pensa a Erik, alla lastra di solitudine e ferocia che era convinto di poter spezzare, pensa alla sua bocca e alle sue mani e alla sua voce – ricordandosi incidentalmente che anche quei tempi sono finiti, per più di una ragione – dicendosi che è stato lui, in fondo, il suo fallimento più grande.
Mordendosi un labbro, si stiracchia nell’ultimo refolo di calore dell’acqua.
Hank? Potresti salire, per favore? Mi serve una mano, temo, sussurra, esitando, e lo aspetta stringendosi nelle spalle.
La porta si socchiude con un piccolo click, e Hank infila il muso nella fessura, con un sorriso ironico che gli scopre i canini.
«Faccia un’altra volta quella vocina vergognosa nella mia testa e giuro che la annego.»
Charles non è sicuro di capire – scosso un po’ dal torpore del bagno, lo guarda con due occhi perplessi e giganteschi mentre, senza troppi problemi, lui lo afferra e lo avvolge in un ampio asciugamani pulito.
«Non si vergogni di farsi dare una mano. Anche questo è essere migliori, no?»
«Saggia osservazione» si stiracchia Charles con un mezzo sorriso, allacciando i bottoni della camicia.
Gli risponde un mezzo ruggito di approvazione.

~

A/N 15 agosto 2011, ore 0:21. Chi mi conosce saprà che per me non è stato facile scrivere questa cosina. Almeno posso dire che a pensarla in questa prospettiva saranno stati in pochi XD. Il titolo viene da una canzone di Kate Bush ed è ad attinenza semi-randomica, ahimè.

Juuhachi Go.

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