Titolo: Hieros
Fandom: Tokyo Babylon
Personaggi: Subaru Sumeragi, Seishiro Sakurazuka
Parte: 1/1
Rating: PG
Conteggio Parole: 1055 (LibreOffice)
Note: omosessualità, spoiler sul volume 7, OOC, angst, AU
«… Ah!»
Con un brusco sussulto, l’aria fluisce nuovamente, dolorosamente nei polmoni.
Cerca di mettersi a sedere immediatamente, ma un lieve capogiro lo esorta a muoversi con più cautela. Così si solleva lentamente, e si guarda le mani.
È completamente ricoperto da svariati metri di un velo soffice e sottile, che si è impigliato fra le dita bianche. Probabilmente una buona parte, mentre dormiva, gli aveva coperto anche il viso. Lo scosta, con un gesto smarrito, mentre gli occhi si dilatano nel tentare di realizzare dove si trova.
Candele. È la prima cosa che vede: parecchie centinaia di candele e ceri ardono dappertutto, in ogni centimetro che circonda il triclinio dove era stato disteso. Gli tolgono quasi il respiro che sente di aver appena riacquistato.
Rabbrividisce e si afferra le spalle gracili con le mani, nel tentativo di riscaldarsi nel calore delle sue stesse braccia. Inspiegabilmente, indossa una lunghissima tunica bianca, di una stoffa leggera leggera, troppo, per quel periodo dell’anno.
Subaru non ha dubbi, alzando gli occhi al soffitto. Quella è una chiesa, rischiarata da non sa quante fiammelle tremule nell’aria immobile.
Dietro di lui, la statua di un angelo ha le mani giunte in una preghiera. Il ragazzino, guardandone le orbite di vuota pietra, si chiede se davvero le preghiere di ogni uomo riescano ad arrivare ad orecchie divine.
Pur essendo un giovane e promettente ministro sacro, questo lui non lo sa.
O forse non ha mai provato a pregare.
Proprio non sa dirlo.
Non ne ha mai sentito il bisogno, ecco. Perché è stato felice.
… è stato?
Sa che non dovrebbe esserlo più.
Ma non ne ricorda il perché.
Con esitazione, un peso lo opprime nel centro del petto, continua a ispezionare con i grandi occhi smeraldo il cerchio infinito di luci e statue oranti.
Con la coda dell’occhio, scorge mazzi e mazzi di fiori.
E una corona.
Di petali splendenti, bianchi, deposta accanto alla riproduzione di un santo.
Trasalisce.
Ha davvero paura.
Il suo respiro freme fra quelle vetuste pareti fra cui – ne è assolutamente certo – si consuma una veglia solenne degli angeli per le effimere spoglie mortali di un’anima salita al Cielo.
Rabbrividisce di nuovo. Quello su cui è assiso è un sontuoso letto mortuario, immacolato, sommerso di candidi cuscini ricamati. Lo sente morbido sotto di sé, è come un giaciglio preparato per un sonno qualunque. Nonostante un tavolaccio di legno sarebbe la stessa cosa, i familiari preferiscono vedere la morte con gli occhi di chi avvista il ristoro dopo troppe fatiche.
Ma… perché è lì?
Ha dormito dove si muore. O, piuttosto, il contrario?
È davvero…?
Ma, nei suoi ricordi, non ha una minima idea di ciò che possa essere successo.
È atterrito al pensiero che nessuno possa venire a cercarlo e che l’abbraccio gelido di quel luogo di culto possa avvolgerlo fino a privarlo del sangue nelle vene.
Perciò, ha voglia di piangere senza più fermarsi, ma non lo fa.
Guarda davanti a sé, verso l’ingresso barocco del mausoleo e il cuore ha un singulto dato che i pesanti, antichi battenti sono aperti – quella che balugina là in fondo è la luce del giorno – e una figura, al limitare del corridoio centrale, rimane impietrita per un istante.
Di nuovo, Subaru non può impedire ai battiti di farsi sempre più convulsi mentre l’uomo divora la navata centrale.
I passi sfrenati si allargano nel vuoto rimbombante del santuario, come chiazze di acqua su una stoffa.
Seishiro.
L’adolescente lo osserva, le mani grandi schiacciate contro il bordo del catafalco, la camicia inamidata si alza e si abbassa al ritmo del respiro. È agitato. Stranamente, Subaru riesce solamente a tenere le iridi fisse sul suo viso, sugli occhi scompagnati, sulla fronte lucida di sudore.
Percepisce il tempo come rallentato, quell’attimo gli è sembrato protrarsi in una maniera estenuante.
Ma Seishiro lo abbraccia di slancio, le mani lo premono contro i suoi vestiti accaldati da una corsa che il ragazzo non sa quanto sia durata, in realtà.
Nessuno l’aveva mai abbracciato così. È piacevole, sente che niente, né la pietra di quei monumenti, né la solennità ghiacciata della cappella potrà più tenerlo là. Affonda contro quel petto, rincantucciato come una piccola colomba tremante.
«Subaru.» mormora, quasi con sollievo.
Non Subaru-kun.
«Sei ghiacciato.» nota Seishiro, così Subaru si rende conto che quel tremito era vero, di freddo, mentre lui si toglie la giacca e gliela appoggia sulle spalle. Il ragazzo non sa se sorridere, ha sedici anni, ma sembra che il tweed dell’indumento copra un neonato, tanto è sproporzionato in confronto al suo corpo. Stringe i lembi e li tiene nel pugno per qualche secondo. Ora lui è vicino, forse sta per abbracciarlo di nuovo.
Qualcosa non va.
«Dov’è mia sorella?» domanda, come se le labbra si fossero mosse da sole in un sogno.
Ecco, il peso nel petto, una vaga opprimenza nella mente.
È preoccupato.
Ma Seishiro non lo guarda più negli occhi e non gli risponde.
Però gli prende il polso, all’improvviso, e lo attira a sé. E lo bacia.
Non è nemmeno capace di rilassarsi in quel contatto improvviso, tiepido, dolce… stranamente asciutto. Ma sente che l’uomo fa un tranquillo affidamento su di lui. Si stacca con un rumore davvero tenero.
Il sedicenne rimane confuso, perché non ha ottenuto risposta. Alza lo sguardo verso di lui.
Seishiro si ostina a non voler parlare. Si limita a prenderlo in braccio, avvolgendolo ben bene nella giacca come in un fagotto.
«Andiamo.».
L’eco si amplifica fra le candele e rimbalza sul soffitto.
Subaru non capisce perché le lacrime gli scendano dal viso senza nessun freno, però si stringe all’altro e, la testa nella sua spalla, osserva il feretro bianco e vellutato allontanarsi ad ogni passo di lui.
Può vedere la forma del suo corpo ancora impressa sulle coltri, e non è affatto una sensazione di sollievo quella che lo pervade.
Però… l’incedere di Seishiro lo culla, è rassicurante.
Scivola con il capo sul suo petto. Ha davvero un gran sonno.
Seishiro si ripara con una mano dalla luce debole del sole invernale. Sono usciti da lì dentro.
Da qualunque cosa a cui ha cercato di consegnare Subaru.
È accoccolato contro di lui e gli sembra piccolo come un bambino, con il respiro sereno e regolare. Gli accarezza la frangia con un gesto curioso.
Note… 9 Luglio 2005, 17:56. Io guardo troppo Romeo+Juliet. Ne sono fermamente convinta, la scena è ripresa dalla parte finale del film! Una semplice, onirica AU su Tokyo Babylon. Ho tentato uno stile più chiaro e immediato possibile per far capire quello che volevo far capire XD, ma non ci sono riuscita… Lasciate da parte i paramenti religiosi… cristiani: questa è la mia versione – lo so, Seichan è OOC – del “coma” di Subaru in Tokyo Babylon, l’ho trasformato in una vera e propria morte apparente che Seishiro stesso ha provocato, addormentando Subaru prima di uccidere Hokuto E SO BENISSIMO che non si capisce affatto… Per questo volevo che Seishiro, nel finale, dicesse una frase che vi togliesse il dubbio, ma non me ne è venuta in mente una. lisa dixit, è la fic stessa che mi diceva di essere finita ç___ç *commossa*!
“Hieròs” è un aggettivo greco, “sacro”, che al neutro significa anche “tempio”. Vedete? Ci sono rari momenti in cui quella stupida materia serve…
Spero vi sia piaciuta! A presto, con l’atteso quinto capitolo di ‘Flesh’!
Oh, mentre leggete questa cosa, vi *consiglio* di ascoltare la Death Scene del film a cui mi sono ispirata!
Juuhachi Go @ “No Hope for Cinderella”