[Ace Attorney: Trials and Tribulations] To lose my way

Titolo: To lose my way
Fandom: Ace Attorney: Trials and Tribulations
Personaggi: Phoenix Wright, Miles Edgeworth
Parte: 1/1
Rating: G
Parole: 2081 (LibreOffice)
Note: omosessualità. Mi ha dato talmente tanta gioia scrivere questa fic, che ancora me lo ricordo ♥.

To lose my way
Vacanze di Natale, “Cosa farai?”
[maritombola] .87

All my books are lying useless now
All my maps will only show me how
To lose my way

(Vienna Teng – Nothing Without You)

A pensarci ora, dicendo ‘Questa storia andrà a finire male‘, era probabile che Edgeworth si stesse riferendo proprio a una cosa come questa.
«N-Non siamo costretti a entrare, se non vuoi,» disse Phoenix, un po’ incerto.
«Wright, potevi ricordartene due ore fa. Adesso il tuo concetto di socializzazione mi viene a costare ben sessanta dollari l’ora, e non vedo cos’altro potremmo fare, conciati in questa maniera» lo rimbeccò lui, seccato.
«Solo perché hai deciso di pagare anche per il mio smoking, signor Robin Hood!» sbuffò Phoenix, altrettanto risentito.
«… Dato che non avevi un centesimo.»
«Ma—»
«E mi hai telefonato tutto contento dicendo ‘Al massimo vengo con il solito completo‘.»
«Non vedo cosa ci sia di m—»
«… A una festa in bianco.»
«… Ah.»
«Ergo, dato che sei stato tu a prendermi per i piedi e tirarmi in questa pagliacciata perché ‘È salutare socializzare con i propri colleghi di lavoro‘, non ti autorizzo a squagliartela per nessuna ragione.»
«Edgeworth, ti stanno sudando le mani.»
«Togliti quel sorriso dalla faccia!» disse lui, mordendo un sorriso fra i denti. Phoenix ridacchiò, assestandogli una pacca sulla spalla.

*

Se non altro, il riscaldamento del locale faceva dimenticare la neve raccolta ai lati della strada, si rassegnò, mollando il cappotto nel guardaroba con le mani così gelate che, se fossero cadute, non se ne sarebbe sorpreso.
Edgeworth si strinse nelle spalle, guardandosi attorno con aria diffidente: in pratica, lì dentro era assiepata la Procura tutta, e aver passato un generoso lasso di tempo qua e là attraverso l’Europa faceva sorgere in lui l’improvviso desiderio di formare un tutt’uno con la tappezzeria, specie a guardare Wright che, al posto di comportarsi come un agnellino circondato da un branco di lupi, saltellava qua e là dispensando convenevoli e sorrisoni fra il bancone e i tavoli. Trattenne l’urgenza di darsi una manata sulla fronte (nonché di ridere di gusto come un cretino): che razza aliena di avvocato era mai quello? Assolutamente non all’altezza della sua vis comica, lui passò a fatica fra la gente biancovestita che affollava la sala, borbottando qualche frase di scusa.
Phoenix se lo trovò praticamente arrampicato su uno degli sgabelli del bar, a sorseggiare punch al mandarino con aria contrita, le spalle curve nel caso Gumshoe fosse mimetizzato fra i presenti e pronto a fargli mostra di tutta la propria stima nel modo più rumoroso possibile.
Si voltò da un lato, esasperato dalla confusione e dall’odore di sigaro che appestava l’aria, e quasi si rovesciò addosso tre quarti del bicchiere.
«Wright,» esalò «pensavo fossi ancora in giro a diffondere pace e amore per tutto il club!»
Phoenix lo guardò con aria perplessa.
«Ti ho spaventato!»
«Mi domando come tu faccia a non sentirti un pesce fuor d’acqua,» si ostinò a commentare lui, ignorandolo.
«Beh,» Phoenix sorrise, appoggiando i gomiti sul ripiano «non è certo la prima volta che ho a che fare con dei procuratori» e Miles roteò gli occhi «Dopotutto, sei stato tu a dimostrarmi per primo che non mordete, no?»
Nella fretta di obiettare, nonostante stesse per prendere un sorso, Edgeworth morse l’orlo di vetro del bicchiere.
«Vuoi farmi credere che non ti ho mai intimorito?» sputacchiò in fretta e furia, più punto sul vivo di quanto gli piacesse ammettere – va bene riscontrare gli effetti benefici della sua amicizia, ma fargli fare il redentore magari no.
«Il fazzoletto, forse!» rise Phoenix, mimando con le dita le balze dell’immancabile cravattino bianco. Edgeworth, in tutta risposta, aggrottò le sopracciglia e allontanò il bicchiere di qualche centimetro. L’amico seguì il suo movimento, incuriosito, ma lui fissò un punto imprecisato in fondo al punch ancora fumante, con l’aria di chi stava ponderando su un grosso problema cosmico.
«Ehi, Wright.»
«Mh?»
«Manca una settimana a Natale… Sei andato a trovare Iris, al Centro Detenzione?»
Leggermente stupito, Phoenix scosse la testa.
«No,» replicò, asciutto «dice che osservarmi dal divisorio di plastica le mette tristezza… che mi fa sembrare lontano anni luce.»
«Suvvia, addirittura anni luce,» borbottò il procuratore «mi sembra un’esagerazione eccessiva, anche per un’ingenua fanciulla cresciuta nella neve…»
Quando non ottenne risposta, Miles si decise a osservarlo meglio, realizzando, forse, di essere nel bel mezzo di uno di quei momenti topici in cui la sua abilità nello sbattere una supposta verità in faccia a un imputato smuoveva gli ingranaggi di un processo, ma lo rendeva socialmente inetto nella vita di tutti i giorni.
«… Wright, da quanto tempo non vai più a trovare Iris?»
Lui si strinse nelle spalle, un po’ mogio. Quando faceva così, anche un accecante smoking bianco sembrava un vecchio straccio abbandonato su una gruccia.
«Credo, beh, di aver smesso questa primavera.»
Socialmente inetto con chiunque tranne lui, ça va sans dire, a giudicare dalle risposte sincere che scaturivano dal pressing.
«Che razza di sciocchezza è mai questa!» sbottò, forse con troppa forza. Quando perdeva la calma, si accorgeva sempre con un attimo di ritardo di parlare come Franziska, il che forse spiegava l’espressione divertita di Wright, intento ad alzare le braccia come a volersi chiamare fuori dalla questione.
«No, non azzardarti a farmi spallucce!» lo incalzò, «mi fai fare millemila miglia in due ore per venire a difendere la sacerdotessa di un tempio dimenticato da Dio, mi snoccioli che ‘ci eravamo tanto amati‘, e poi mi fai spallucce e non prendi di petto la situazione?»
«Ti dirò, sono estremamente deluso,» considerò Phoenix, centellinando lentamente il proprio drink, arrivato giusto con un paio di millenni di ritardo «sono sempre stato convinto che quella strizza spaventosa dipendesse dal fatto che Larry ti aveva detto che stavo praticamente per morire, e non per le mie velleità da avvocato difensore!»
«Non è questo il punto!» si oppose lui, consapevole di come le orecchie gli stessero diventando paonazze «Avevi una certezza, sapevi finalmente che era una brava persona e—»
Fu in quel momento che Edgeworth si interruppe, probabilmente per la prima volta in vita sua, e realizzò quanto le sue parole suonassero vuote persino alle sue orecchie: Wright lo stava fissando in assoluto silenzio, con lo sguardo attento che riservava ai momento in cui doveva smantellare le sue arringhe. Tacque: dacché mondo è mondo, arrampicarsi sugli specchi era uno sport pericoloso per chiunque.
«E tu, Edgeworth? Ne hai, di certezze?»
Avrebbe potuto chiederglielo con il sarcasmo che meritava, ma era la serenità un po’ fiacca e indulgente di chi, risolto un conflitto, lo metteva in tasca come una vecchia fotografia da sventolare in faccia agli amici alla prima occasione.
Non rispose. Anni di indefessa attività in Procura, sommati a quelli passati accanto a quell’uomo assurdo, gli avevano insegnato che certe domande erano prettamente retoriche – e che, se non lo erano, avrebbero fatto meglio a restare tali.
«Ecco, vedi,» riprese Wright, gesticolando «è una distanza decisamente più affrontabile del riallacciare un rapporto con la fidanzatina dei miei diciannove anni. ‘Essere una brava persona‘ è una di quelle cose che personalmente mi solleva, ma impersonare tua sorella gemella e mentire a un uomo innamorato come un idiota per otto lunghissimi mesi merita solo un ‘no grazie‘ da parte mia, se permetti. E questa è solo la punta dell’iceberg.»
«… Wright, dimmi che non mi stai usando come termine di paragone per le tue débacle sentimentali» lo pregò Edgeworth, dopo una lunga pausa di silenzio.
«Hai le orecchie rosse» gli fece notare l’amico, con una certa compiaciuta noncuranza.
Edgeworth stava facendo dell’ignorarlo un arte. Accolse quel blocco di confessioni col tipico piglio alla Miles, con tutte le implicazioni complicate del caso – se da un lato il nodo allo stomaco che lo aveva vessato per mesi si stava sciogliendo, dall’altra parte riusciva già a sentire il tintinnio di un campanello d’allarme, per tacer di un certo vago senso di irritazione perché no, la conversazione non aveva esattamente virato dove avrebbe preferito condurla. D’altronde, si concesse con una smorfia, doveva pur esserci un motivo per cui, tanto in tribunale quanto fuori, Wright sapesse ribaltare in calcio d’angolo i suoi ribaltoni.
«Edgeworth, per quale ragione sei qui?»
Ecco, tipo questo.
«Che domande, per i tuoi sogni di riscatto sociale!»
«No, no,» fece lui con un cenno della mano «mi hai frainteso. Perché qui, in America.»
Dieci secondi di ritardo non gli erano bastati a formulare una risposta che fosse, insieme, politicamente corretta e a prova di terremoto, ma gli sarebbero bastati, a quanto pareva, per affondare in un sol colpo tutta la flotta – stendere in una serie di balbettii incoerenti un misto di bile e cameratismo su ciò che l’avvocato era per lui non poteva assolutamente rappresentare una motivazione adeguata. Quasi se la prese con se stesso, quando, scavando più a fondo, non riusciva che a trovare la sua presenza e la sua prontezza di spirito e quel modo irritante di guardarlo con l’aria di un so-tutto-io, quando Edgeworth sapeva benissimo che quell’uomo traeva diletto nel bluff come la gente normale nei cruciverba. Optò per la risposta fondamentalmente vera e fondamentalmente indolore.
«Beh, mi pare ovvio,» decretò, con l’aria più snob che potesse ostentare in un momento come quello «io non ho alcuna fidanzatina dei miei diciannove anni da cui scappare, in fin dei conti.»
Nonostante il cicaleccio dei presenti e tutto il resto, Edgeworth si rese conto di come quella manciata di parole avesse praticamente rimbombato fra di loro. Il silenzio di Wright che ne seguì – denso, intento, catastrofico – fece scampanare il suo allarme interiore come impazzito.
Contemplò con orrore il piccolo sorriso che spuntò sulle labbra dell’avvocato – uno di quelli un po’ fuori personaggio – e vide il proprio riflesso diventare giallo formaggio nella curva del bicchiere.
«… E questo non ti fa sorgere nessuna domanda in particolare, immagino.»
«N-No?» affermò Edgeworth, cauto.
Phoenix rise, il martini dimenticato in un angolo del bancone mentre l’orchestra jazz, da dietro il sipario al centro del locale, prendeva a suonare Have Yourself a Merry Little Christmas.
Prima che Edgeworth potesse avere il tempo di realizzare l’orrore che gli si stava profilando davanti agli occhi, Phoenix l’aveva afferrato per un braccio, facendolo alzare in piedi e incrociando in gesti un po’ esitanti le braccia dietro la sua schiena.
Let your heart be light un benemerito!
Il contrariato ‘Wright!‘ di circostanza gli morì in gola – insieme, sospettò, a un paio di riflessi motori, dato che rimase rigido nel suo goffo e inappropriato abbraccio come uno stoccafisso – quando lo stramaledetto avvocato del diavolo appoggiò il mento sulla sua spalla.
«Di che hai paura, Miles?» e gli sembrò di avere nove anni di nuovo, e di poter rispondere ‘ora come ora, di ogni cosa‘ come avrebbe fatto allora.
«Wright,» mormorò, con le orecchie che avevano ormai sparso rossore ovunque e la tentazione di allentarsi il farfallino che era tutto tranne un brutto cliché cinematografico «sai che ripongo tutta la mia stima nelle tue capacità di investigazione del prossimo, ma questo è oltremodo ridicolo!»
«Sessanta dollari l’ora e venticinque di consumazione a buffet per comunicarmelo?»
Edgeworth, suo malgrado, sbuffò nel suo orecchio in una mezza risata, dicendosi che forse non era poi uno stoccafisso (verità di cui si sarebbe sicuramente pentito il giorno dopo, beninteso) e che le mani sulle sue spalle, ormai, poteva sentirsi autorizzato a posarle.
«Non potremo mai addurre tutto questo all’alcool, temo.»
«Temo di no, basta ascoltarti quando parli – te stesso in tutto e per tutto.»
«Pensavo fosse uno dei problemi di stasera!»
«Lo è, infatti… ma prenderne atto è un bel primo passo, che ne dici?»
Edgeworth non seppe mai se, a voler deviare il corso delle cose, avrebbe raccolto il coraggio di annuire, o se gli sarebbe convenuto mettere su la sua migliore faccia di bronzo, perché Wright non era in cerca di una vera e propria risposta – in una calzante applicazione del principio o la va o la spacca, intercettò il movimento inconsulto del suo collo e mirò alle sue labbra con determinazione suicida. Centrò quello superiore, chiudendo gli occhi in attesa di un cazzotto che, però, non giunse a rompergli il naso.
Anche se avesse voluto, Miles aveva il cuore che pulsava alla velocità di quello di un porcellino d’India, e, a quanto pareva, le reazioni emotive di un bambino di cinque anni e mezzo, se non quelle – decisamente più consone – di un sedicenne coi bollori.
«Mi chiedevo—» sussurrò, nel momento in cui Phoenix, staccandosi da lui, lo guardò con gli occhi di chi persisteva nell’attendere il cazzotto suddetto «—hai programmi per questo Natale?»
«Fai il gradasso, adesso?» lo rimbeccò Phoenix, sogghignando. E neanche lo schiaffetto che si prese sulla nuca gli sembrò un’obiezione abbastanza pregnante.

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A/N 11 dicembre 2011, ore 22:33. Beh, c’è da dire che, con questa fic, ho vessato per giorni le povere Crim, Ely e Shari, a cui tutta questa idiozia è molto sentitamente dedicata X3. La prima delirante ispirazione è derivata da questa immagine, poi la mia voglia di sbattere in faccia a Miles il fatto di essere un closet case, per poi eliminare l’attributo ‘closet’, ha fatto il resto XD. Niente da fare, fra me, PW e il Natale c’è un rapporto felice ù/////u.

Juuhachi Go.

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