[Tokyo Babylon/X] Oh bel sembiante per mia sventura incontrato

Titolo: Oh bel sembiante per mia sventura incontrato
Fandom: Tokyo Babylon, X
Personaggi: Subaru Sumeragi, Seishiro Sakurazuka
Parte: 1/1
Rating: NC17
Parole: 1515 (LibreOffice)
Note: omosessualità, NSFW, generica disturbanza dei soggetti coinvolti XDDD! Per il P0rn Fest #5 @ fanfic_italia, su prompt (a quell’epoca a mia insaputa) dell’adorabile Awesomeabacuc ♥. Col senno di ora, nessuno di voi potrà immaginare quanto sia dedicata a lei. Mi sento inoltre in dovere morale di correggere 2011!self: la citazione iniziale è di Garcilaso de la Vega, che Màrquez stava citando a sua volta.

Oh bel sembiante per mia sventura incontrato
[P0rn Fest #5] X/Tokyo Babylon, Implied!Seishiro Sakurazuka/Subaru Sumeragi, Masturbazione; “Nel momento in cui mi ucciderà…”

«Quando indugio a contemplare il mio stato e a guardar la strada lungo cui mi hai condotto, io finirò per abbandonarmi senza arte a chi saprà perdermi e finirmi.»
(Gabriel Garcia Màrquez)

L’estate dei suoi vent’anni, Sumeragi Subaru prende a sognare grossi frutti rossi e verminosi, ne esplora il calore polposo come una larva, scavando lunghe gallerie nella carne dolce e nerastra. Sogna il fumo acre e disordinato di riti proibiti, mentre immagini prive di senso ruotano a vuoto sui cardini male oliati della sua memoria.
Sogna dei fiori.
Ne sogna i petali sottili e stropicciati. Bambino, li guarda cadere in una neve di effimera bellezza. Ne sogna l’odore, soffocante e dolciastro come un miele appiccicaticcio. Li sogna in un tappeto infinito ai propri piedi, finché non scorge dei teschi. Il loro cranio spunta rotondo e nudo fra la coltre di fiori disfatti. Scarnificati, gli sorridono con i denti che mancano.
Sobbalza, cercando di coprirsi gli occhi con le maniche dello shikifuku, ma qualcuno glielo impedisce prendendolo per mano. Si volta, gli sembra che sia un uomo in giacca e cravatta, ma è soltanto sua sorella. Sbatte le ciglia, ed è una bambina che non conosce, forse bionda, vestita di bianco.
Si sveglia gridando, fra le lenzuola fradice di sudore.
Chiude gli occhi, alzandosi in piedi nell’appartamento nudo, con il pigiama attaccato alla pelle, per salutare sua sorella nello specchio. La cerca nel proprio viso pallido e serio, nell’espressione insonne e cerchiata di nero, ma non trova che se stesso. Gli sembra di diventare pazzo: non si vive soli, dopo essere stati tutta la vita la metà di qualcun altro.
E mentre ogni traccia di Hokuto-chan ha preso il volo da quella casa, Subaru sente un presagio, leggero e persistente come la polvere negli angoli del pavimento.
Conosce i propri sogni avvelenati. Sa che non mentono mai.
Tutta la vita che ha vissuto dopo di lui sa d’incenso e di digiuno. Parla la lingua dei sutra meglio del proprio cuore. Ogni arte occulta si adagia mansueta sulla punta delle sue dita, non esiste più demone che non lasci l’anima di un uomo alla vista dei suoi ofuda. Ha mandato a memoria le sacre scritture di ogni religione, ha scandagliato i recessi più oscuri di ogni verso e canto, di ogni dettame, si è inscritto nell’ordine della natura come nessun Sumeragi e nessun onmyouji ha mai fatto prima di allora.
Tutto ciò che è diventato ha preso forma in vista di un unico momento – Subaru lascia che l’attesa dia senso alle sue giornate e uno scopo al proprio respiro. Tutto il suo corpo, in quattro anni, non ha fatto che rispondergli a ondate di malessere, odio, rifiuto.
Camminando per strada, vive nell’angoscia di poterlo riconoscere nell’ombra di un passante, e nella vergogna di non essere a sua volta riconosciuto. Al pensiero, lo stomaco gli si rivolta in preda alla rabbia e al terrore.
È ancora debole, non è ancora abbastanza, conta i giorni stremandosi nella pretesa di diventarlo, flagellandosi di meditazioni e acqua gelata.
Quando lo rivedrà, sa bene cosa dovrà fare.

II.

Subaru guarda il mondo attorno a sé oscillare in una lunga vertigine. Ha la testa premuta contro il marmo freddo di un pavimento – sente il sudore gelare dietro la nuca. Davanti ai suoi occhi si spalanca un soffitto altissimo, infinito. Gli sembra di riconoscere dei volti fra le figure sbiadite degli affreschi. Il cuore batte come a volergli aprire il petto in due.
Prima che possa dire i nomi che fremono sulla punta della lingua, due mani dalle lunghe dita impugnano un’alabarda d’argento, piantandola nel centro della sua gola con una forza tale che la punta, fuoriuscendo dall’altra parte, si conficca in una fessura fra due lastroni.
Si sveglia intrappolato nelle coperte madide, leggero e debole. Quasi sente il sapore del sangue che gli affolla la bocca. Incapace di resistere all’impulso, si tasta con due dita dove ha visto e sentito l’argento penetrare nella carne, tutte le ossa scosse in un brivido.
Ricade sul cuscino, febbricitante di disgusto e di stanchezza.
Spalanca gli occhi col collo poggiato sul lato bollente di un laterizio. Il sole batte insopportabile e caldo. Prima del suo tocco sulla pelle, Subaru sente la presa umidiccia di un palmo che, allargato sulla sua guancia, lo tiene fermo al proprio posto.
Deglutisce, e una scimitarra gli trancia il capo con un colpo netto. Libero dal peso dei propri pensieri, il suo corpo si adagia a terra, disossato e pesante, in una pozza di sangue. Non gli restano che due secondi di coscienza – già morte, le sue pupille guardano il sorriso di miele del boia che si china su di lui.

III.

È appeso per i polsi, tenuto sospeso da un cappio di fiori e legno. Gli punge la carne fino a tagliargli la pelle. Subaru si morde la lingua per non gridare, mentre il suo sangue gocciola lentamente a impiastricciare i fiori e i suoi vestiti. Riconosce una figura davanti a sé, ma i rami del ciliegio, solerti come le dieci dita di un assassino, si chiudono a strangolarlo fino a che la sua vista non diventa una macchia di colore informe.
È morto: la forza del ciliegio (o forse del Ciliegio, perché con i demoni del proprio tormento bisogna essere sinceri) lo ha strozzato per poi spezzargli l’osso del collo. Tuttavia, un onmyouji sa che non servono occhi per vedere e che, dopotutto, nemmeno la morte serve a svanire.
I rami fioriti strisciano fra le sue cosce, freddi e cedevoli come serpenti, e Subaru si osserva mentre i fiori di ciliegio succhiano via la carne dal suo corpo slogato.
«Allora è così,» sussurra, con due labbra livide.
Getta la testa all’indietro nel reticolo fiorito e il sangue torna a scorrere nelle vene. Al posto della morsa dell’albero, le mani di Seishiro lo afferrano lasciandogli addosso il segno delle dita, tastando la pelle sotto i vestiti.
Subaru non ha mai osato immaginare come sarebbe stato baciarlo, ma quando Seishiro sorride ferino sulle sue labbra, decide che non è poi così indispensabile. Gli si arrende con il cuore che esplode nell’incastro delle costole, come non oserebbe mai. La lingua di lui scivola fra le sue labbra in una scia che sa di fiori e sigaretta. Lo stomaco gli si torce di malessere e soddisfazione quando Subaru mormora un mezzo gemito e la succhia lentamente, un velo di sudore che gli luccica sulla pelle.
Seishiro ridacchia, scendendo a baciargli il mento, il collo – Subaru pensa all’alabarda, e una scarica di piacere lo fa vibrare come una corda fra le sue mani – e separa la camicia dalla pelle, scollando la stoffa bagnata. Morde i capezzoli fra i denti, facendolo tremare da capo a piedi. Subaru si aggrappa con entrambe le mani al tronco del Ciliegio, il piacere che sale a piccoli passi lungo la linea dritta del ventre mentre la bocca di Seishiro lecca la punta della sua erezione attraverso i pantaloni, il calore del suo respiro e della traccia della sua saliva che lo fanno strozzare con la propria voce.
«Lo sai, Subaru-kun,» dice, in un soffio che risuona contro il tessuto «che potrei ucciderti per capriccio, in quest’istante?»
Oh sì, Subaru lo sa bene. All’idea del colpo di grazia, il sangue sembra diventargli acqua calda nelle vene. Si tiene stretto alla corteccia dell’albero fino a spezzarsi le unghie nello sforzo di non far cedere le ginocchia, mentre s’immagina scorrere come una linfa fra quelle radici. Barcollando, afferra Seishiro per il colletto della camicia, sollevandolo e baciandolo con tutta la spudoratezza di cui è capace.
«Sono già morto,» ribatte, senza fiato «lo sono sempre stato.»
Seishiro lo bacia di nuovo, puntando un ginocchio su una sporgenza del tronco per schiacciarvi Subaru, una mano che apre la lampo dei jeans e s’infila nello spazio caldo e umido dei boxer.
Quando lo afferra, accarezzandolo con il pollice, Subaru geme puntando la testa contro le scaglie del legno.
Vorrebbe non finisse mai, mentre si spinge con i fianchi contro le dita di lui, scivolose di sudore ed eccitazione.
«Ti prego—» articola, mentre le pareti labili del sogno scoppiano in una bolla di frustrazione e piacere.
Subaru cerca di trattenerne qualche brandello sotto le palpebre serrate, la mano stretta attorno all’erezione tesa sotto la stoffa del pigiama. Si ostina a immaginare come potrebbe toccarlo un uomo che si degnerà soltanto al momento di ucciderlo. Si tocca immaginando le dita di lui chiuse sulle sue e viene mordendosi un labbro.
Resta immobile per un attimo, il cuore che gli rimbomba nelle orecchie come un tamburo e il proprio seme che gli cola fra le dita. Chiude gli occhi, poi, dopo qualche secondo, ride amaramente di sé come avrebbe dovuto fare quattro anni fa, quando si è consumato di rabbia e di pianto su ogni libro sacro del mondo, impegnato, senza successo, a cercare un veleno a quel desiderio che lo mangia vivo più dell’odio e della vendetta, per cui non esiste nessun rimedio.
Se è davvero la sua morte che Seishiro desidera, realizza Subaru con orrore, è esattamente ciò che ha intenzione di offrirgli, dissolvendosi come una libagione fra le anime che affollano il Ciliegio a milioni – un’altra ombra fra i suoi fantasmi, senza pretese, senza memoria.
Per la prima volta dopo anni, Subaru si addormenta sereno.

~

A/N A/N 30 dicembre 2011, ore 19:45. Trovo questa storia un po’ kinky e un pochino disturbante, per tacer del fatto che la trovo pure poco porno e incompleta, ma probabilmente sono io scema che overthinko le entry per il P0rn Fest #5. Non so se questo indichi che ho grossi problemi, ma mi piace pure abbastanza, nonostante tutto… Titolo e citazione iniziale sono tratti da “Dell’amore e di altri demoni” di Gabriel Garcia Màrquez.

Juuhachi Go.

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