[Ace Attorney: Phoenix Wright] Dead man tells no tales [1/4]

Titolo: Dead man tells no tales
Fandom: Ace Attorney: Phoenix Wright
Personaggi: Miles Edgeworth, Phoenix Wright, altri
Parte: 1/4 | prologo
Rating: R-ish?
Conteggio Parole: 16376 totali, 2050 in questo (LibreOffice)
Note: omosessualità, per quanto accennata, AU, violenza. Fu la mia storia per il Big Bang Italia 2011.

Dead man tells no tales

I.

Franziska von Karma aveva la singolare capacità di rimanere impressa nell’occhio del più casuale passante, per più di una ragione. Per questioni di spazio – nonché di riserbo, cosa che Phoenix riteneva semplicemente stupida – Edgeworth aveva una sola foto di lei, l’immagine di una ragazzina minuta e imbronciata, quasi colta in contropiede dall’obiettivo, e la custodiva nella tasca più interna del portafogli. Phoenix, tuttavia, preferiva ricordarla come il primo e ultimo giorno in cui aveva fatto la sua conoscenza, e non era stato decisamente un piacere. Franziska von Karma – e solo in seguito Phoenix avrebbe appreso che lei ed Edgeworth erano fratelli solo per parte di madre – gli era apparsa davanti alla porta dell’ufficio dell’allora Ispettore Edgeworth. Indossava un vestito di seta nera, dall’aria costosa e vagamente retrò, con tanto di maniche a sbuffo e bottoncini sul lato del collo. Sul capo portava una vistosa veletta nera, decorata con grosse orchidee di seta. Sotto il reticolo del tulle, il viso non tradiva nessuna somiglianza con quello di suo fratello: era fine, regolare. Era persino più pallida di lui, e pallido era il biondo dei capelli che spuntavano dalle falde del cappello, ma i suoi occhi erano di un azzurro vivido, da illustrazione. Il motivo principale per cui Phoenix poteva richiamarne i particolari con precisione fotografica dopo due anni non stava tanto nelle sue capacità di detective, ma nell’impressione oggettivamente tremenda che ne aveva ricavato: quella ragazza non doveva avere più di diciotto, diciannove anni al massimo, ma la serietà immobile del suo viso, il portamento rigido e il modo in cui si era vestita le davano dieci anni in più, a dispetto della freschezza dei lineamenti. Le mani calzavano corti guantini neri orlati di merletto, e stropicciavano un ampio fazzoletto di seta. Non gli dava l’impressione di aver pianto, ma il piglio nervoso del gesto rivelava che qualcosa doveva indisporla.
Oltre la porta dell’ufficio, il borbottio vagamente seccato e indistinto della voce di Edgeworth indicava che l’ispettore doveva essere nel bel mezzo una telefonata lunga, noiosa e inevitabile. Cinque minuti di convenevoli avrebbero certo alleggerito l’attesa, se la partner potenziale non avesse irradiato gelo in un raggio di dieci metri dalla sua presenza. Phoenix e la sua affabilità si erano fatti da parte in silenzio, e, quando l’ispettore aveva aperto la porta, sua sorella gli era venuta incontro con malcelato slancio. Lui si era richiuso la porta alle spalle con abbastanza fretta da lasciarla socchiusa, e Phoenix (che doveva confessare di essere curioso come una vecchia signora) aveva captato qualche frase smorzata. Nello spiraglio della porta, aveva visto Franziska nascondere il naso nella giacca di suo fratello, e l’aveva colpito il modo in cui un tipo marmoreo come lui l’avesse stretta in un abbraccio, mordendosi il labbro e quasi cullandola.
«Ehi… non fare così. Sono sicura che diventerai un perfetto procuratore, e che tuo padre sarebbe fiero di te.»
«E pensare che ero venuta qui per chiederti come stava andando il caso.»
«Va che è un pantano» aveva sibilato Edgeworth con disappunto evidente, e aveva preferito trattenerla a parlar d’altro per altri cinque minuti, prima di accompagnarla all’esterno con un cenno di saluto e una mano lievemente poggiata su una spalla.
La scena doveva essere rimasta impressa nella memoria di Phoenix più a lungo di quanto lui stesso si rendesse conto: fra le tante cose di quei due che lo avevano incuriosito in quel momento assolutamente casuale, gli aveva fatto un po’ di immotivata, stupita tenerezza il modo in cui un ispettore di polizia diseredato da una famiglia di arcigni pezzi grossi confortasse con approvazione e dolcezza quella ragazza che, come lui, aveva scelto di rappresentare la legge. Per qualche motivo a lui ignaro, ma sicuramente assurdo, Franziska era stata premiata non solo con l’eredità, ma anche con l’incoraggiamento unanime del parentado, in virtù di chissà che convenienza. Edgeworth, però, sembrava illuminarsi, in sua presenza, di un orgoglio sincero e contento, fra cui il rancore non sembrava trovare posto.

*

A pensarci bene, il resto di quella giornata, per Phoenix, era sembrato tutt’altro che trascurabile: le tanto sospirate firme che gli servivano per lavorare in santa pace erano arrivate con svariate ore di ritardo. Non se n’era stupito troppo: tutta la Centrale sembrava presa da un’agitazione e da una frenesia mai viste prima, ed Edgeworth – che già di per sé aveva l’aria truce di un disgraziato sempre in equilibrio su una fune – sembrava sotto costante minaccia di una calibro trentotto.
«Ehi, Edgeworth,» gli si era avvicinato, scrollandosi qualche briciola di ciambella dalla giacca «che diavolo succede?»
«Omicidio. E comincio a pensare che il dipartimento vorrà la mia testa, prima di quella dell’assassino.»
«Uh?» Phoenix l’aveva guardato senza capire, ma Edgeworth aveva semplicemente aggrottato la fronte e allontanato la questione con un cenno della mano.
«Lascia perdere. Ci vediamo più tardi, credo proprio che per avere il resto delle firme ti ci vorrà un po’, potrei ritrovarti qui, appena avrò finito» aveva detto, con un’ombra della consueta smorfia sardonica che utilizzava per intimidire criminali e sottoposti.
Phoenix gli aveva sorriso, abbozzando un saluto, e si era diretto fuori, con sua sorella che già saltellava impaziente sui gradini della Centrale. Lanciandosi un ultimo sguardo alle spalle, l’aveva sbirciato mentre s’infilava nell’ufficio del capo della polizia.
«Sembra che si sia infilato in un bel pasticcio, stavolta…»
«Chi, l’Ispettore Edgeworth?» aveva chiesto Maya allegramente, aggrappandosi al suo braccio.
«Mhh, già. Una brutta storia di omicidio. Non mi ha dato modo di capire, ma non aveva una bella cera…»
«Non stare a preoccuparti troppo. Edgeworth non ha mai una bella cera, e sa fare il suo lavoro. Qualunque cosa sia, la risolverà alla grande! E adesso… ciambelle!» aveva gridato con eccesso di entusiasmo, mentre lo trascinava via.
«Ehi, ne hai già mangiate quattro!»
«Non lo sai che il cuore di una ragazza passa per il suo stomaco?»
«Ma sei proprio sicura che il detto fosse quello?»
«Avanti, Nick, non fare il sottile!»

*

Per quanto Phoenix fosse scettico riguardo al testardo ottimismo di Maya, di certo non si sarebbe mai aspettato ciò di cui sarebbe stato testimone in Centrale quando, il giorno dopo, aprì la porta dell’ufficio dell’Ispettore Edgeworth con nessuna intenzione se non quella di offrirgli un caffè e assicurarsi che fosse meno pallido del giorno precedente. Dovette riconsiderare i propri calcoli quando lo vide alzarsi dalla scrivania vuota con il pastrano sotto al braccio.
«Buongiorno, Wright.»
Il tono non era diverso da quello monocorde e un po’ saccente con cui lo salutava ogni volta che Phoenix si presentava con una cartella in una mano e due ciambelle nell’altra, ma era un filo di voce stiracchiato che non avrebbe ingannato nemmeno il poliziotto più sprovveduto, figurarsi lui.
«Edgeworth, qualcosa non v-» azzardò, ma la domanda gli morì in gola quando intravide che, nel cestino della cartacce, luccicava la targhetta prima in bella mostra su una scrivania ordinata, ma pur sempre piena di lavoro da sbrigare.
In silenzio, l’amico infilò il cappotto e, arrendendosi finalmente all’idea di non poterselo allacciare con le mani che gli tremavano, uscì all’aperto tirando Phoenix per un braccio, sforzandosi di mantenere inalterato il contegno con cui aveva varcato la soglia di quegli uffici tre anni prima. Stringendo convulsamente i lembi del cappotto fra le dita, si precipitò verso la porta principale come se stesse correndo verso la salvezza, ma, prima che potesse toccare la maniglia, una grossa mano abbronzata gli sfiorò la spalla in un gesto lieve.
Edgeworth si voltò, e Phoenix lo vide gelare.
L’uomo, alto e squadrato, torreggiava letteralmente su tutti e due. Con un’occhiata decisamente poco entusiasta, Phoenix passò in rassegna gli eccentrici occhiali di corno su cui erano state montate delle lenti rosate, e il completo arancione in cui sembrava trovarsi perfettamente a suo agio, nonostante anche Edgeworth lo trovasse tremendamente accecante.
«Vice-prefetto Gant.»
«Non prendertela, Worthy. Hai fatto il tuo dovere» gli disse, esibendo un largo, indulgente sorriso che, a detta di Phoenix non spiegava nulla di quanto stava accadendo, e che, a giudicare dal modo in cui Edgeworth aveva serrato la mascella, non doveva neppure essere molto efficace, come consolazione.
«La ringrazio, signore.»

*

«Come sarebbe a dire, licenziato?» sbottò Phoenix, con gli occhi fuori dalle orbite.
«Significa che dovrò trovarmi un appartamento un po’ più economico, suppongo» mormorò Edgeworth a denti stretti, con gli occhi persi nel vuoto. Il suo tanto decantato sarcasmo perdeva di tono agli occhi di Phoenix, che, spiandolo di sottecchi, notava che Edgeworth non era mai stato così pallido in vita sua.
«Seriamente, Edgeworth… non hai davvero idea di cosa possa essere successo?»
«Seriamente, Wright,» replicò lui in tono acido «hai idea di quanti piedi io abbia pestato da quando sono arrivato là dentro?»
«Allora lo ammetti, che è perché hai pestato un piede di troppo!»
Non poté esserne sicuro, ma gli sembrò che Edgeworth si stesse mordendo la lingua.
«Non posso dirlo per certo» borbottò, col tono perentorio di chi non avrebbe risposto a domande ulteriori.
«Però è strano, sai… ultimamente non trapelava nulla degli omicidi su cui indagavi. Se non mi avessi detto di avere un caso fra le mani, non avrei potuto leggerlo dai giornali, e di solito non è così che accade, in questa città.»
«Al vice-prefetto piace andarci coi piedi di piombo, negli ultimi tempi.»
«… E poi licenzia chi è a capo delle indagini? Questa cosa non funziona, non importa da che parte la si guardi! Non puoi dirmi qualcosa di p-»
«Non credo abbia molta importanza, ormai,» tagliò corto lui, ignorando la sua espressione perplessa «soprattutto se ci mancano i mezzi per provare alcunché.»
«Beh, io avrei un ufficio investigativo…»
«Ma io ho sbagliato a prendere il colpevole, ho preso un granchio e ho perso le autorizzazioni a procedere. L’ho già detto che mi hanno licenziato, Wright?»
«Guarda che se parli tutto d’un fiato rischi di strozzarti» puntualizzò Phoenix.
«Ed ero serio, mi tocca davvero cercare un posto più economico.»
«Ripeto, io ho un’agenzia investigativa.»
«E con ciò?» lo incalzò Edgeworth con una smorfia.
«È in un monolocale abbastanza economico per una persona, e in due non può che essere meglio… Hai le qualifiche per fare il detective, no? Con lo spazio ci si arrangia un po’, ma almeno sbattiamo un po’ di gente in gattabuia per giuste cause!»
«Mhhh…»
Edgeworth, un po’ accigliato, spiò la sua faccia seria con la coda dell’occhio, e lo vide scoprire i denti in un grosso sorriso.
«E poi, cos’è il poco spazio, in confronto alla certezza di poter combattere il Male?»
«Ma da dove diavolo esci, da un radiodramma?» si meravigliò, mascherando in uno sbuffo la voglia di ridacchiare. Con il passare dei secondi, tuttavia, si arrese al solito sorrisino sarcastico.
«Sai che ti dico, Wright? Potrebbe funzionare.»
«Ecco, questo è il vecchio Edgey che conosco!» esultò Nick, abbracciandolo in un impeto di entusiasmo.
«Non-» Edgeworth arrossì, piccato «Non azzardarti a chiamarmi ancora in quel modo, non lo sopporto!»
«Ahh,» Phoenix rise fragorosamente «Parla quello che si fa chiamare Worthy dal vice-prefetto senza fare storie!»
«Piantala-» e qui si interruppe per un sogghigno «Nick.»
«Se vuoi morire a convivenza iniziata dillo subito!»
Per la prima volta dall’inizio di quella giornata, Edgeworth rise apertamente, e si alzò dalla panchina con le mani affondate nelle tasche, spazzando via dai capelli qualche foglia piovuta dagli alberi.

*

Fu così che Edgeworth mise piede in pianta stabile nella sua esistenza, o, più precisamente, sulla moquette lisa di casa sua, e, nonostante le rimostranze iniziali («Ma in che razza di topaia vivi?»), non aveva avanzato proteste considerevoli neppure alla vista della branda che avrebbe dovuto dividere col coinquilino, salvo un po’ di meraviglia per il modo in cui era stata camuffata. Phoenix l’aveva comprata in saldo, in vista di relazioni che, occasionali o meno, non erano mai arrivate. Ci dormiva Maya quando veniva in visita, e, con gli occhi al cielo, Phoenix trovò di un’ironia atroce il fatto che, adesso, ci avrebbe dormito con lui vita natural durante, e che lui non battesse ciglio all’idea. Abbassò la branda e lo osservò distrattamente mentre chiudeva i pochi oggetti di valore che si era portato dietro nella piccola cassaforte che Phoenix aveva provveduto a installare dietro lo schermo del finto schedario – nuove frontiere del vecchio metodo dei soldi sotto il materasso.
«Che dire… benvenuto a casa, socio!»
Edgeworth rispose con un mezzo sorriso.

~

A/N 20 luglio 2011, ore 15:20. E con questo dovremmo aver finito il grosso delle presentazioni!

Juuhachi Go.

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