[Final Fantasy XII] Unforeseen [4/4]

Titolo: Unforeseen
Fandom: Final Fantasy XII
Personaggi: Ashelia B’Nargin Dalmasca, Al-Cid Margrace, Basch von Rosenburg
Parte: 3/4 | 1 | 2 | 3
Rating: NC17
Conteggio Parole: ~24896 totali, 7994 in questo (LibreOffice)
Note: nsfw, spoiler sul finale del gioco, un po’ di vouyerismo qua e là, forse? Scritta su prompt di 12_teas, è il seguito di Lotus di lisachan, che è a sua volta seguito della mia Love is blindness

Unforeseen
[12_teas] 06. Lady Grey

IV. Le cose che non dici

The games we play
The shows we give
The hearts we break
We live through this
The games we play
The rules we bend
With lovers’ lust, we will defend
The games we play
You say it’s solid poetry

– Andreas Johnsons, The games we play

S’era mossa silenziosamente, stringendosi nella vestaglia e scivolando nella nursery in un lieve fruscio di ciabatte, senza farsi annunciare.
A quell’ora, il corteggio di nutrici che attorniava l’erede al trono era di entità quantomai ridotta, dato che era solito scendere a colazione dopo aver provveduto a quella di Darian, che, come ogni mattina, era tornato a dormire pasciuto e felice, le lustre unghiette cacciate in bocca e il visetto scuro che spuntava dalle trine bianche – e francamente esagerate – della veste.
L’ambiente era caldo e profumato, ma lei – che aveva messo addosso la camicia da notte ancora umida della sera prima – aveva freddo, e si mise a camminare con fare circospetto per scacciarlo, cercando di non fare rumore mentre si sporgeva sulla culla del figlio, senza sapere se incantarsi o, più semplicemente, sorprendersi, come si era abituata a fare da quando era nato.
Darian era identico ad Al-Cid.
Di lei non aveva che qualche vago tratto, prepotentemente assorbito dai colori rozariani del padre, e c’erano mattine in cui constatarlo le faceva pensare a quanto impensabile fosse tutta quella situazione.
Allungò una mano per accarezzare quel disordinato piumino di capelli che aveva sulla testa, le fedi – tutte e tre – che baluginavano nel movimento.
Era lo stesso tiepido involto che aveva sentito come parte del suo corpo per tutto il tempo, in quei mesi. Adesso Dalmasca se l’era preso tutto, come non aveva potuto fare con lei a suo tempo, come non aveva potuto fare neppure con Rasler. Il che significava che tutto, adesso, ruotava per il verso giusto.
Poco importava se fosse del tutto diverso da come l’aveva anche solo immaginato qualche anno prima, nel giorno in cui avevano cucito un abito da sposa attorno ai suoi fianchi, con la pretesa di ricamarle addosso un destino che se n’era volato via nel sibilo di una freccia.
C’erano altre cose ancora, poi, che pur nel loro ostinato cambiamento, erano rimaste quelle che erano, erano diventate molto di più – avevano visto quello che era stata e quello che era diventata, e Ashe desiderava più di ogni altra cosa che potessero vedere quel che era oggi, dopo che, poco più di un anno prima, aveva salvato Dalmasca non come sua regina, ma come una ragazzina che voleva essere libera.
Non era diventata la falsa santa dei desideri degli Occuria, e nemmeno era diventata – contrariamente a quanto fosse opinione del Consiglio nella sua totalità – il simulacro del futuro di Dalmasca.
E voleva che Basch potesse accorgersene fino in fondo, guardando Ashelia in faccia per quel che era, per quel che le sue mani e la sua spada avevano sorretto fino a quel momento. In fondo, era così che ogni sacrificio acquistava il proprio legittimo senso.
Anch’io sospetto di aver pensato abbastanza per entrambi, Al-Cid, si disse, uscendo dalla nursery così come era arrivata, il talco fine spruzzato su Darian che le era rimasto sulla punta delle dita.
Si guardò intorno prima di imboccare la strada per le cucine, come non faceva da quando Basch e Vossler l’avevano sorpresa arrampicata su una sedia a pasticciare con del vino speziato.
Certe malinconie erano piene di una luce chiarissima.
Sperò di inzupparle in una tazza di tè.

*

Irritato, Basch prese atto di aver messo troppo zucchero nel tè, di averne versato un po’ sul foglio e di aver fatto cadere anche la boccetta d’inchiostro nel tentativo di riparare.
Sospirò, si passò una mano sulla fronte nel contemplare l’entità del disastro e gettò il dispaccio mezzo compilato e mezzo sporco nel cestino strapieno.
Non era esattamente il modo più felice di cominciare la giornata, si disse, navigando fra le missive archadiane che erano piovute sulla scrivania quella mattina, e che lui non aveva sufficiente concentrazione per vagliare.
La regina non aveva richiesto la sua presenza a colazione. Certo, c’era da dire che simili inviti avevano ormai carattere prettamente ufficiale, da quando Al-Cid aveva fatto ritorno a Rabanastre, e da quando Lady Ashe aveva messo al mondo Lord Darian, considerò, scegliendo con fare distratto un foglio bianco dal plico accanto a sé e fissandolo con aria critica per un paio di secondi.
Indugiò con la stilografica.
Afferrò il foglio e lo accartocciò con forza.
Doveva esserci una parola meno drastica per dare voce a quello che stava provando in quel momento, ma “fastidio” era l’unica che riassumesse, nel suo insieme, l’essere innamorato della propria regina – che, tecnicamente, non era più nemmeno la sua – il vederla legittimamente sposata a un uomo e il dover vederla e basta, a dispetto di tutte quelle premesse. In fondo a quel pensiero c’era una meschinità tale da farlo sinceramente stupire delle proprie capacità – era singolare, per non dire intollerabile, che lui, da uomo abituato a preoccuparsi a stento del proprio respiro, adesso avesse la sgradevole sensazione di sentire i loro attraverso le pareti, in quelle notti calde e nere come bitume che gli si appiccicavano alla pelle, che appiccicavano le loro insieme e lasciavano lui appiccicato al lenzuolo, sfinito da una sopportazione che non aveva più, e che Lord Larsa aveva fatto male a congetturare.
Riprese possesso della penna.

*

«Mia signora, è appena arrivata questa da Archades, dice di avere nuove per il Giudice Gabranth.»
Ashe sbatté le ciglia con aria lievemente perplessa, appoggiando sulla scrivania il pesante tomo di pergamene che stava febbrilmente consultando.
«Che passi… per quale motivo interpellate me, sulla sua corrispondenza personale?»
«Sembra una comunicazione ufficiale dell’imperatore.»
La regina spiò con rinnovata attenzione la missiva tesa nella sua direzione e strappò il sigillo di ceralacca, scorrendo rapidamente la grafia fine e precisa di Larsa.
All’ombra del foglio, rimase immobile per un attimo, trattenne un respiro per poi ricacciarlo indietro e, prima che una sola parola del messo potesse fermarla, era già sparita lungo il corridoio in un minaccioso crepitio di carta e sottane.

*

«Vostro Onore, c’è—»
«Fuori.»
Smettendo all’istante di armeggiare col proprio bagaglio, Basch si voltò all’istante a fronteggiare gli occhi di Ashe, sola e rigida in mezzo al rimbombo delle porte che venivano frettolosamente sbattute – il suo tono di voce era stato in grado di dissipare la servitù come foglie al vento.
«Andate da qualche parte, Gabranth?» inquisì, infondendo nella domanda tutto il veleno possibile.
«In fede mia, sì, milady, pensavo di tornare ad Archades. Ho lasciato Lord Larsa solo per troppo tempo» sciorinò lui, senza vacillare in alcun modo, fermo e imperturbabile come quando Ashe l’aveva schiaffeggiato sulla Leviatano.
La vide assottigliare le labbra e stringere la presa attorno al foglio, prima di gettarvi una breve occhiata.
«Vostro Onore pensa davvero che il suo compito a Dalmasca non necessiti ulteriori espletazioni di sorta?» citò, con la limpidezza glaciale che sfoderava ogni volta che era prossima a perdere il controllo fino all’ultima briciola.
«Maestà, sto solo cercando di fare quello che è meglio per voi—»
«Non osare parlarmi come Vossler!» si ribellò Ashe, scattando lontano dalle dita che Basch aveva stretto attorno al suo polso – quelle parole le bruciavano attorno al cuore come un taglio «Non tu!»
«Cosa pretendete, di continuare in questa maniera?» domandò Basch, accorgendosi, per la prima volta in tutta la vita, di aver alzato la voce sulla sua, ma il cuore era così stretto sotto l’armatura che non si prese neppure la briga di pentirsene.
«Continuare cosa, esattamente?»
«Avete davvero intenzione di lasciarmi a guardare il vostro matrimonio per tutta la vita, milady? Oppure volete dare scampo, se non al mio onore, almeno al vostro, e permettermi di sottrarmi da almeno una di queste farse spaventose?»
«Perché con il mio onore non si può scendere a patti solo quando riguarda un letto nel quale non sei mai entrato?»
Basch tacque.
«Sei geloso di lui?»
«Ne ho forse il potere?»
«Piantala di disquisire e rispondimi, perdio!»
«Non è rispondendo che potrò cambiare le carte in tavola!»
«Stai scappando» gli fece notare Ashe gelidamente, insinuandosi da sotto le sue parole, e Basch si interruppe per ricambiare la sua occhiata con la stessa testarda fissità.
«Non sto affatto—»
«Oh sì, invece! E quel che è peggio è che stai scappando da me!»
Lui non trovò niente di ragionevole con cui controbattere.
«Sono ancora la tua regina.»
Ashe odiava questo genere di puntualizzazioni – principalmente perché andavano contro tutto quel che si sforzava di affermare, e sentirglielo dire con l’alterigia di una principessa spodestata dava a Basch l’idea precisa delle argomentazioni che sarebbe stata capace di addurre per dimostrargli assolutamente a ragione che sì, era un cavaliere inqualificabile, laddove dirgli “sei un pessimo uomo” non l’avrebbe ferito nella stessa misura.
«Sì, signora. Il problema è infatti inespugnabile comunque lo si guardi.»
«Non esiste un problema inespugnabile, dopo aver dato il benservito a un’oligarchia di dèi che avevano puntato l’occhio sulla storia dell’uomo!»
«Resta la Storia governata dagli uomini, Maestà. Chi sta al vertice ricopre sempre il ruolo più ingrato, in questo genere di faccende!»
«Hai intenzione di lasciarmi sola in cima a questo piedistallo?»
«Sì, se significa aiutarvi a restare nel vostro ruolo.»
Ashe lo fissò con astio – le aveva risposto la stessa cosa, un tempo.
«Sono una donna, Basch. Non ho più l’età per essere la bambola di chicchessia!»
«E io, Maestà, non ho più l’età per assecondare il mio cuore. Vi basti immaginare che non ho più neppure il viso per potermelo permettere!»
«Quando io ho avuto l’età per assecondare il mio cuore, Basch,» articolò Ashe in un ringhio «me lo sono ritrovato in fondo a una tomba prima di aver compiuto diciotto anni!» e si accorse solo allora di averglielo urlato in faccia.
«Li ho passati da troppo tempo per poterlo riesumare, milady – e ne potranno passare mille volte tanti, prima che il mio rango possa darmene la legittima opportunità!»
«Un tempo non ero una questione di rango e di età, per te! Un tempo ero degna della tua stima e basta!»
«Un tempo eravate la vedova di Lord Rasler, per Diana, non la moglie di Al-Cid Margrace! E non credo che la prima condizione possa equivalere la seconda in termini di sopportazione!»
Di solito, ciò che faceva male nell’essere schiaffeggiati da Lady Ashe non era il gesto in sé, con le mani sottili e raffinate che aveva ricevuto in sorte. A ferire era l’odio velenoso che riusciva a infondere nel gesto, che diventava uno sfoggio di supremo disprezzo più vergognoso di un avversario che sputa ai tuoi piedi.
Stavolta no.
Lo schiaffo fece così male – carico com’era di uno spregio così infinitamente concentrato da essere tutto fisico – da lasciarlo completamente stordito per un paio di secondi: quando Basch si toccò la guancia, che sembrava fosse stata attraversata dalla peggiore frustata mai ricevuta in tutta la sua vita, Nalbina compresa, il graffio che le lunghe unghie di lei avevano lasciato luccicava di sangue.
Con un sospiro, chiuse gli occhi e, lasciandosi cadere sulla sedia, ascoltò la porta sbattere – il rumore che ne seguì gli disse che il tonfo era stato così violento che il bordo del suo strascico si era impigliato nel mezzo e si era strappato.
Ne intravide l’orlo da lontano. Pensò di alzarsi.
Fallì.
Gettò un’occhiata stanca ai bagagli pronti per metà.
E rimase.

*

I vetri del suo studio tremarono tutti come se fossero stati sul punto di esplodere, quando Ashe chiuse la porta sbattendola come un’accetta sul collo di un condannato.
«Qualcosa mi suggerisce che adesso il capitano sia più che restio a partire, mia diletta.»
«Ora che lo voglio fuori dalla mia vista, sicuramente!» ruggì lei, dando la palese impressione di non avere più fiato per parlare.
Al-Cid sorrise da dietro alla scrivania.
«Se malauguratamente si decidesse a partire nonostante le atrocità che immagino vi siate vicendevolmente scambiati, temo proprio che lo inseguiresti fino ad Archades – se non per riportarlo indietro, almeno per ucciderlo di persona. E se fossi in lui, non lo desidererei affatto.»
Ashe si avvicinò al ripiano dello scrittorio e vi allargò entrambe le mani, troneggiando sul marito, evidentemente compiaciuto dal fatto di essere seduto e troneggiato.
Quando lei si chinò a sfiorargli le labbra, premendo con la prepotente, sensuale ostinazione di quando voleva qualcosa immediatamente, lui gliele mordicchiò, forse con un po’ più di forza rispetto al necessario, e lei si ritrasse con uno scatto nervoso, prima che il marito intervenisse ad accarezzarle con la lingua.
«Ti avverto, sono così arrabbiata—» mormorò, lasciando che la lingua le spezzasse le parole in bocca «—che se tu mi dicessi che mi ah-che mi ami, risponderei anch’io per ripicc-oh, ora.»
La mano di Al-Cid premette fra i suoi capelli, e Ashe si spinse nella sua bocca con forza, mentre lui inclinava la testa per un migliore accesso alle sue labbra, mantenendo la prontezza di scostare tutti i documenti dal piano con un braccio.
Lei appoggiò un ginocchio sul bordo esterno della scrivania, spostando le braccia attorno al suo collo e lasciando che le mani di lui armeggiassero con i lacci e i veli del vestito.
«Si è già strappato, puoi romperlo» gli disse in un respiro quasi implorante, mentre la bocca di lui tracciava disegni caldi e ruvidi sulla sua pelle bianca.
Al-Cid lasciò che sua moglie scivolasse sulle sue ginocchia e accarezzò febbrilmente le vertebre attraverso la seta, le labbra di Ashe schiacciate sulle sue in un coro di schiocchi e respiri, la punta della sua lingua che lo incalzava, tentando di inghiottire la rabbia che animava il suo desiderio.
Sbatté una mano sulla scrivania con la voglia di lei che gli gonfiava le vene, in cerca del tagliacarte – strinse l’elsa d’ottone con un sospiro e sfilacciò i nastri dell’abito con due colpi secchi, per poi lasciar cadere la lama sul tappeto quando lei gli sbottonò la camicia e si chinò a baciare in punta di labbra tutta la pelle scoperta, stringendogli i capelli fra le dita e ignorando volutamente i suoi tentativi di baciarla.
Desistette quando le sue dita s’insinuarono sotto la veste.
«Oh» inspirò Ashe, il corpetto allentato da cui spuntava il seno, gli occhi chiusi e il respiro gonfio nel petto. Al-Cid guidò il movimento dei suoi fianchi e la mano di Ashe accarezzò a tentoni il profilo dell’addome. Cincischiò con la pesante fibbia d’argento della sua cinta con irritata impazienza, e Al-Cid, in tutta risposta, spinse un dito dentro di lei in un tocco leggero.
Lei gettò la testa all’indietro con un lamento e un fremito, appoggiando distrattamente la mano su di lui e accarezzandolo con il palmo della mano fino a sentire la sua schiena inarcarsi nella sedia e il bacino premersi contro il pizzo bagnato delle mutandine, nel quale lui si attardò in un’ultima, languida carezza, prima che Ashe gli baciasse un labbro, le dita che si avvolgevano attorno alla sua erezione premendo forse più del necessario, ma strappandogli comunque un gemito che molto aveva da dire su quanto realmente quel contatto gli risultasse sgradevole.
Un respiro, mentre sfilava le mutandine di Ashe e le lanciava con nonchalance sulla scrivania, la pelle fine e bagnata fra le sue cosce che si sfregava contro di lui e le sottili gonne ricamate aperte sul suo sesso come un fiore – Al-Cid schiuse le labbra ma non ne uscì suono, si limitò a sorridere del modo in cui lei abbassava le ciglia e sospirava muovendosi mezza svestita sulla sua eccitazione.
«Ashe…» inspirò lentamente, chino sul solco bianco e morbido del seno di lei, imbrigliato nelle dita che adesso si strofinavano lente su di lui. Lei rispose affondando la lingua fra le sue labbra, guidandolo dentro di sé con le gambe saldamente ancorate ai lati delle sue, abbracciata alle sue spalle, il viso appoggiato nell’incavo del collo e le unghie nella sua pelle mentre assestava bruscamente il ritmo di entrambi – disposizione a cui suo marito rifiutò di sottostare con due spinte più veementi di quanto Ashe potesse ordinare, ma meno frustrate e furiose di quanto lei fosse al momento.
Si aggrappò al suo bacino con forza quando si sentì avvolgere dal suo orgasmo, subitaneo e violento e pieno di pretese e meno suo di quanto Al-Cid potesse sperare, e continuò a muoversi sprofondando nel suo corpo fino a svuotarsi in lei, nelle maglie troppo larghe dei suoi respiri.
Rimasero senza fiato, in equilibrio l’una sull’altro.
Al-Cid abbandonò la testa contro lo schienale e guardò Ashe con un accenno di sorriso, sollevando il dorso della sua mano fino a sfiorarne le nocche con un bacio.
«Scusami.»
Ridendo, lui scrollò le spalle.

*

«Devo essere in Consiglio fra un quarto d’ora» lo ammonì Ashe, scostando dalla testa il velo dell’abito che indossava la sera prima, e che ora giaceva sgualcito in mezzo a loro, nel nodo delle lenzuola.
«Ah, sì?» borbottò Al-Cid sotto di lei, un occhio aperto e uno chiuso mentre la spiava pensoso.
«Assolutamente» asserì lei, mordicchiandosi il labbro mentre cercava di eludere l’intreccio di mani e gambe in cui si erano avviluppati quella notte (e quella prima ancora).
«Io ho tre fascicoli da sbrigare prima di ripartire il mese prossimo» gemette lui, voltandosi prono con le mani fra i capelli arruffati.
«Riparti già?» domandò Ashe, stupita, nuda e splendidamente controsole.
Al-Cid sorrise con una punta di ironia.
«Sì, temo mi tocchi, o prossimamente dovrò far rotolare via qualche testa fra l’élite dell’esercito…»
Ashe sospirò, srotolando il lenzuolo dalla caviglia di lui prima di vederlo avvoltolarsi senza via d’uscita.
Non fece in tempo a intercettare il bacio di Al-Cid per evitarlo, e si lasciò attirare per l’ennesima volta fra le sue braccia.
«Non ti si addice» sussurrò lei, senza ridere.
«No, in effetti no, preferisco questo…» rispose, prendendo gentilmente fra i denti il suo labbro superiore e succhiandolo con dolcezza. Sua moglie non poté fare altro che ricambiare, stendendosi al suo fianco «… con tutti i pro e i contro del caso.»
Se non fosse stata troppo raffinata anche solo per pensarlo, Ashe avrebbe grugnito contrariata al ricordo del fiotto di veleno che Basch le aveva rovesciato in viso, e del potente rovescio che si era attirato. Si allontanò appena da lui con un sospiro.
«Se non mi sbrigo la mia testa sarà l’unica a cadere» sbadigliò, lavandosi e vestendosi in fretta e furia con il suo aiuto.
«Mi raccomando, fa’ la brava e non arrabbiarti» si assicurò lui, con un bacio sulla fronte quando, vestita di tutto punto, la coppia reale si avviò lungo lo scalone per due strade diverse.
Fu allora, guardandolo allontanarsi in un lieve fruscio di capelli scuri, nel rumore dei suoi passi eleganti sul marmo, che Ashe poté ammettere a se stessa che il sesso con Al-Cid era una di quelle cose che voleva non finissero mai: dopo, quando la sua testa era di nuovo piena e presente, la regina aveva modo di rendersi conto che tutto era tornato come prima, che i giorni continuavano a passare senza che l’indignazione assordante nel suo cuore si fosse acquietata affatto, appena i suoi impegni la costringevano ad affrontarla faccia a faccia, sola fra sé e sé. In quel frangente, Ashe si prendeva più che mai la libertà di odiare Basch per fatti suoi, dato che fra i baci di Al-Cid non poteva riuscirci come voleva: riusciva a dimenticare e basta, in quei momenti in cui le dita di lui scivolavano come miele profumato sulla pelle.
Basch non lo meritava.
Aveva azzardato un oltraggio troppo grande per ottenere il lusso della sua indifferenza – ragion per cui, sì, Ashe aveva più di un motivo per non incrociare il suo sguardo nei corridoi, ma, prima che si premurasse di farlo, non mancava mai di assestargli una staffilata azzurra in piena faccia – una di quelle riservate ai peggiori nemici e ai peggiori insetti.
Salvo poi tornarvi con la memoria quando non avrebbe dovuto, come, ad esempio, in quella seduta di Consiglio. Basch era accidentalmente passato prima che lei aprisse la porta, e Ashe l’aveva spalancata con la stessa violenza che avrebbe voluto utilizzare per mettergli le mani attorno al collo.
Il problema era sorto l’attimo seguente – quando la porta si era chiusa, Basch dileguato, e i suoi occhi avevano cominciato a scorrere lungo i fogli senza afferrare né una parola del loro effettivo contenuto, né una parola degli interventi che i suoi politici stavano snocciolando – perché nella sua testa i suoi occhi erano rimasti laddove Basch aveva scostato i propri in fretta.
Era stupido.
Controproducente.
Era la tipica reazione di una donnina di corte senza cervello.
E quando la seduta fu finita, Ashe si sforzò di non correre, di non inciampare in Al-Cid sulla soglia del suo studio privato, con le dita fra i lacci della sua camicia e la bocca premuta sulla sua e le sue braccia che la stringevano tanto forte che il cuore lo sentì rimbombare contro il petto di lui, le punte delle sue dita che disfacevano l’intrico di nastri e prendevano a tracciare sicure il bordo della sua pelle sotto i merletti, mentre lei lo spogliava aggrappandosi al suo collo, baciandolo con quel maledetto imperioso bisogno di quando quello che era le stava stretto addosso come a diciassette anni.
Gemette con le sottane e il corpetto e la biancheria in cerchio attorno alle caviglie, tirando Al-Cid fuori dai vestiti con rabbia, incurante del fatto che li avrebbero potuti sorprendere completamente nudi, le sue mani morbide lungo la curva della schiena – non aveva mai usato una spada che non fosse da cerimonia, lui – e giù fra le sue gambe mentre la sfiorava appena con il pollice e Ashe si dondolava in un ansito contro quella carezza, deliberatamente premuta contro di lui.
Bollente.
Teso.
Lasciò che usasse finanche i denti per baciarla, la lingua che scivolava fra le sue labbra tracciando la linea infuocata della sua, arroventando tutto ciò che la collera non aveva ancora toccato, ricamando carezze leggere sulla pelle del ventre e sgattaiolando fra le gocce calde di desiderio fra le sue gambe.
«Ah!»
Solitamente, Al-Cid sorrideva, ad osservarla rigida e arresa insieme a un passo dall’orgasmo, ma stavolta gemette con lei, il fiato che si arrotolava in mille brividi nella curva del suo collo mentre si muoveva come a cercarla – quando lei era già lì, già pronta e già sua, si diceva, divorandola di baci.
C’erano dei paraventi all’angolo della stanza – intrecciò le dita alle sue e la spinse dietro di essi, l’ombra fusa alla sua – ed erano le sue ginocchia premute contro la sporgenza dei suoi fianchi mentre Al-Cid si spingeva dentro di lei come un’onda, rabbrividendo di desiderio e chiamando il suo nome mentre Ashe taceva, mormorando piano con i denti nella sua spalla e il piacere che scoppiava a fiotti dentro di lei.
«Al-Cid—» e gli occhi di Basch e le sue unghie sulla sua guancia erano pallidi e senza significato, adesso, mentre lui spingeva, baciando le sue labbra e premendo il bacino contro il suo.
Avrebbe lasciato il segno.
Ashe lo sperava, inarcandosi contro di lui con un singhiozzo, accogliendolo in fondo a sé, le dita nella sua schiena, le sue labbra che si snodavano contro il suo collo mentre lei sentiva il proprio orgasmo bagnare quello di lui.
Non si dissero niente, la fronte di lei appoggiata alla sua, contro i suoi capelli bagnati.
Non parlare stava diventando un vizio intollerabile – eppure entrambi avevano di che star zitti, si disse Ashe, le mani fra i suoi capelli e gli occhi di Basch nella testa.

*

Dopo una settimana, incontrarlo nei corridoi la faceva star male – il suo ostinarsi a esibirle il suo sguardo distrutto, senza che ad esso si aggiungesse una parola di scusa, le parlava di voti infranti già dal momento in cui Basch aveva deciso di prendere il posto di Gabranth.
Al-Cid lo intuiva, scavalcando con insperata facilità la maschera sicura che Ashe frapponeva fra sé e il mondo al di fuori, e si trovava faccia a faccia con una donna offesa, capace di amministrare un regno, ma non il groviglio di fili in cui si era impigliata.
Il più delle volte finiva col baciarla, e lei rispondeva rovesciandolo fra i fini strati di seta delle sue gonne, con la passione e la disperazione di chi era stanco di pensare, lo attirava sulle lenzuola trattenendolo contro di sé in un abbraccio ostinato. Rideva anche, quando lui mormorava sciocchezze al suo orecchio, tralasciando il fatto di non essere abbastanza ragazzino per essere credibile.
«Sai,» fece una mattina, in tono di gioviale casualità mentre tracciava la linea delle sue scapole «per quanto tutte queste attenzioni non mi dispiacciano affatto, mio bel fiore del deserto, temo che riportarti fra le sue braccia non sia esattamente il massimo delle mie aspirazioni in quanto uomo…»
Ashe arrossì al sentire la questione introdotta con una nonchalance così signorile a dispetto del tutto. Arrossì di vergogna, anche – in quale pagina della storia dalmasca si era sentito di una regina che trattava il proprio sovrano come un amante? Infine, arrossì di dispiacere – non sarebbe certo stato dovere di Al-Cid leccare le sue ferite e permetterle un adulterio… eppure era lì.
Era abbastanza perché Ashe potesse incassare il suo rimprovero.
«Ciononostante,» sospirò, attirandola al suo fianco con un braccio «temo non sarebbe una scelta granché felice, per te, impedire che una cosa del genere possa accadere, ragion per cui, beh,» tossì, accarezzandole una guancia «tu e Basch dovreste chiarire.»
«C’è qualcosa di terribilmente sbagliato nel fatto che tu mi impartisca una simile lezione a voce, sai?»
Suo marito fece spallucce e arricciò le labbra in un sorriso teatrale, prima di sospirare in maniera altrettanto artificiosa.
«Chi sono io, per fermare l’amore!»
«Oh, finiscila!» rise Ashe, prima che un cuscino ricamato piovesse sul suo divertito consorte.

*

«Sai qual è il modo migliore per esaurire la sopportazione di un uomo?»
La voce di Al-Cid era bassa e suadente contro la sua gola, le sue dita calde, asciutte ed eleganti contro il palmo sottile della sua mano – Ashe fece l’impossibile per non ammettere, nemmeno nell’intimo dei suoi pensieri, che aveva aspettato quel momento per tutta la giornata.
«Esasperarla» concluse, divertito dal suo perplesso battito di ciglia, mentre l’attirava fra le lenzuola, solleticandole le labbra con un bacio, le erre tutte infrante in deliziosi fremiti sulla sua bocca.
«A cosa devo questa perla di saggezza?» sussurrò, spingendo la risata in fondo alla gola mentre Al-Cid la faceva sedere sul bordo del letto, somministrando baciamano distratti.
«Al fatto che gli ho dato udienza, udienza informale, mia adorata,» sorrise lui, apertamente «e che, nel giro di cinque minuti, sarà qui, entrerà e troverà l’uscio della porta sbarrato dall’esterno. È allora che tu… beh.»
«Io cosa?»
Senza più parlare, Al-Cid si sporse sulle sue labbra e le dischiuse con un bacio che si strusciò con sfacciata eleganza su tutte le sue papille gustative – lei lo ricambiò con uno slancio che non aveva neppure pianificato, e lasciò che suo marito le succhiasse lentamente il labbro inferiore.
«C’è uno specchio, dal tuo lato del letto. Se si lascia la porta aperta, dà sul vestibolo in cui concedo udienza.»
Il respiro di Ashe si spezzò nel petto.
«Assicurati di guardarlo bene. Perché resterà.»
«Cosa te lo fa pensare?» soffiò sua moglie, un sibilo esitante e bagnato che si perse nello schiocco delle loro bocche.
Il respiro di Al-Cid scivolò compiaciuto nella ricca trama di pizzo del suo vestito.
«Io resterei.»
«Ma lui è… insomma…»
«Basch è fatto di carne, mia diletta, nonostante tu ti ostini ad affermare il contrario…» la intercettò con un brivido, sciogliendo con i denti l’incrocio di lacci che stringeva la scollatura attorno al seno, e insinuando la lingua sotto il labile bordo di seta.
Ashe rispose con un sospiro inintelligibile, mentre i denti, la lingua e le labbra di lui ridevano contro la morbidezza esposta della sua pelle.
«E sei fatta di carne anche tu, mia cara… lui se n’è accorto, e non è disposto a scendere a patti con tutto questo…» ridacchiò, nascondendo le dita fra le frange di merletti della gonna – Ashe era già umida e docile al tocco delle sue mani.
«Dico io… guardati.»
«Uh?» esalò lei, mentre due carezze di Al-Cid la spogliavano del lieve strato di vestiti che sembrava appoggiato per caso su di lei.
«Non resisterebbe neanche cinque minuti. Ma come gli si può dare torto, povero capitano… lui in testa ha una regina, Ashe.»
C’era qualcosa di profondamente sbagliato a prescindere, nel sentire il proprio nome sussurrato attraverso la stoffa della biancheria bagnata come si trattasse della cosa più eccitante e disdicevole di tutta Ivalice.
Forse lo era.
Eccitante e disdicevole.
Fu in quel momento che la porta si chiuse con un tonfo che le scatenò un brivido così forte che Al-Cid se lo sentì correre sulle mani.
«Mi avete fatto chiamare, Maestà?»
Oh, sì, fu l’unico pensiero di Ashe, mentre Al-Cid affondava i denti nella seta delle mutandine e le faceva scivolare lentamente lungo le cosce.
Comprese di essere troppo in là anche per vergognarsi, quando vide casualmente che Basch, dal vetro dello specchio, nella fessura della porta socchiusa, si guardava attorno lanciando occhiate confuse qua e là.
Si inarcò sotto Al-Cid con un trasporto tutto vergognosamente compiaciuto, i suoi baci sulla pelle come punteggiatura caldissima mentre lui, di là, si accomodava invano su una poltrona, evidentemente imbarazzato negli abiti di foggia dalmasca che l’imperatore di Rozaria gli aveva imposto di indossare.
Siete uno di noi per ordine di Lord Larsa, no?, aveva detto.
«Al-Cid, prendimi.»
Ashe sentì la propria voce risuonare chiara sulla volta altissima della camera da letto, per sfuggire come il vento dalla porta socchiusa.
Le fu sufficiente una rapida occhiata perché Basch gelasse, là dentro lo specchio.

*

In principio, fu la curva di un ginocchio.
Una curva che aveva visto e rivisto infinite volte sotto il largo margine di una stretta, succinta gonna di cuoio, oltre la quale i suoi occhi non avevano mai vagato per pudore e per rispetto.
La rivedeva ora, a un anno di distanza, conficcata nel bacino di Al-Cid con una forza, una passione e una voglia che, fino a quel momento, avevano infestato i suoi sogni peggiori, in termini d’onore.
Adesso avrebbero continuato a farlo con vividezza maggiore.
Si voltò bruscamente, distogliendo a forza gli occhi dalle mani affusolate di lei intrecciate ai capelli di lui – poteva quasi sentire il rumore dei loro bacini spingere l’uno contro l’altro, sentiva gli ansiti e lo strofinare delle lenzuola.
Uno specchio, lì in alto, rifletteva una scompigliata massa di capelli biondi che si muoveva al ritmo di un bacio affamato.
Chiuse gli occhi col timore che il suo respiro potesse far rumore, e il sospiro sofferente che si levò, in mezzo ai gemiti dei due amanti con la lingua affondata l’uno nella bocca dell’altra, si trasformò in una bassa imprecazione nell’accorgersi che la porta era stata serrata dall’esterno.
Dio mio, esalò, salvo poi rammentare che di dèi non ne esistevano, e che non poteva appigliarsi a nulla che non fosse la propria saldezza, mentre cercava di ignorare il respiro di Lady Ashe – un lamento implorante che gli scuoteva lo stomaco e gli faceva salire i brividi addosso – mentre la bocca di suo marito, ancora sorprendentemente vestito, scivolava mordendo la curva dei suoi seni, quella che Basch aveva intuito sotto la morsa di un corpetto da battaglia.
Si appoggiò in prossimità della porta, sperando di poter scendere a patti con un po’ di sollievo, e sopportò le labbra di lei avvinghiate a quelle di Al-Cid – un bacio quasi feroce, poteva vedere che lei tracciava tutto il contorno della sua bocca, le mani che slacciavano la sua camicia accarezzandogli le spalle, per poi lanciarla sul letto.
Si morse con forza l’interno della bocca, cercando di riafferrare il sapore di lei dalla memoria, passandosi la lingua sulle labbra.
Con sorpresa, ricordò l’ultima volta, quella piccola, ostinata pressione all’angolo della sua bocca, e quella prima, quando lei l’aveva baciato e lui no, ma Ashe era calda morbidezza sul suo viso, vellutata e dolce come una pesca.
Chiuse gli occhi, e tornò ancora più indietro, a quando gli aveva imposto di non interromperlo e si era dondolata con lo sguardo nel suo e gli aveva chiuso la bocca, indugiando con la lingua fino a separargli le labbra e scivolare, calda e pungente, lungo il palato, come il miele a gocce – l’aveva sentito raccogliersi sulla punta della lingua e aveva inspirato il suo profumo silvestre e aspro in una boccata, mordicchiando il labbro inferiore, sensualmente ripiegato contro il suo, il corpo soffice di Ashe premuto contro ogni punto dell’armatura in cui l’assenza di metallo permetteva al calore di filtrare.
Richiamò il suo corpo sotto le dita, una veste leggera che non aveva mai sfiorato, sentì il vento traspirare dai vestiti che aveva addosso in quel momento, e le labbra di lei che si addentravano lungo i suoi muscoli e le sue cicatrici attraverso la barriera di lino ruvido, mordicchiando e stuzzicando in una scia di saliva, le piccole dita ferme sulla cinta dei suoi calzoni e lei che si schiacciava col pube premuto sulla fibbia, la chiazza umida del suo desiderio che le assottigliava la gonna e scuriva il tessuto dei suoi pantaloni.
Con gli occhi socchiusi sull’imperatore e la regina, si vide mentre la issava su di sé, le cosce bianche e fortissime che gli tenevano fermi i fianchi mentre si lasciava spogliare con le dita ruvide di lui che scavavano le sue spalle morbidissime, la veste impigliata su un capezzolo.
Ashe rise, infilò la mano nei suoi pantaloni.
«Oh, Al-Cid—»
Oh, se era di carne, quella donna.
Fissò le sue mani accarezzare Al-Cid lungo le gambe per sfilargli i pantaloni, colse il sorriso di lui all’ombra di Ashe e lo osservò farsi strada con piccoli baci sulla pelle levigata del ventre, fino a chinarsi nello spazio fra le sue gambe. Basch osservò Ashe emettere un suono deliziato mentre si inarcava contro le labbra del marito, un leggero, soddisfatto sorriso dipinto sul viso e le mani ancora aggrovigliate fra i suoi capelli, perdute dietro le nervature della sua schiena…
Basch smise di respirare quando le vide strette lungo i solchi consunti delle sue cicatrici, strette sulle sue scapole, il proprio bacino spinto con forza fra le sue gambe e la sua spalla che accoglieva la fronte di lei china a chiedergli, a suggere dalle sue labbra con ostinazione, seguendo il ritmo dello strofinio dei suoi fianchi mentre, liberando un respiro affannoso, Basch cercava di stemperarsi contro di lei, l’orecchio vicino ai suoi singhiozzi…
Si prese il labbro fra i denti e lasciò scivolare la mano nella stoffa rigonfia dei pantaloni.
Si strinse con delicatezza, reprimendo un lamento nel prendere atto di essere… duro, maledizione, come un pezzo di ferro, avvinto a ogni singhiozzo che udiva e vedeva uscirle di bocca, tanto che la sua mano prese a muoversi guidata dai suoi sospiri – dietro le palpebre Ashe era in ginocchio davanti a lui con la sua mano premuta fra i capelli, la curva soffice e maliziosa del suo sorriso a coprire la punta della sua erezione in un bacio, i suoi cupi occhi blu che lo fissavano con giocosa aria di sfida mentre lo accoglieva lentamente in bocca, avvolgendolo con la lingua in un tocco sapiente e delicato.
Ignorò il sapore del sangue in bocca quando il taglio dei suoi denti premette ancora di più sulle labbra, serrò gli occhi, abbandonando il peso contro gli intarsi della porta che premevano sulle vertebre, muovendo velocemente le dita contro di sé – contro la sua bocca le sue mani, la sua voce…
Catturò i lievi ansiti di Ashe, con le mani che guidavano Al-Cid dentro di sé; le molle del materasso e il suo amante che la seguivano in una languida spirale di rumori.
Mio Dio, mio Dio, mio Dio…

*

Il bacio con cui Al-Cid le vezzeggiò le labbra divenne un riso tremulo e divertito mentre succhiava la sua lingua, aggrappandosi ai suoi fianchi imperlati di sudore per entrare in lei, gli occhi puntati nei suoi.
Ridacchiò sottovoce seguendo la scia del suo sguardo rivolto allo specchio, sulle palpebre abbassate di Basch, sulle labbra schiuse e assorte e sulle dita che si accarezzavano come probabilmente non si erano mai azzardate anche solo a pensare, prima di allora.
«Di questo passo, ammazzerai uno di noi due nei prossimi dieci minuti, mia cara…»
Ashe tornò a guardarlo ridendo, guidandolo con fermezza.
«Ho deciso di graziarti…» disse in un soffio, spingendolo dentro di sé con un sospiro.
Il suo sguardo scivolò di nuovo sul vetro freddo e su quel riflesso lontano, mentre suo marito la prendeva senza difficoltà, affondando lentamente, seguendo i suoi gemiti e i blandi incoraggiamenti delle sue mani – blandi perché lei già sentiva l’orgasmo salire da dentro come uno schizzo di lava, e guardò Basch sospirare arreso, lo osservò muoversi a ritmo di chissà che sogno. Probabilmente era una sua impressione, ma gli sembrava davvero che tremasse leggermente.
«Oh, sì, Al-Cid, ti prego…» mormorò all’orecchio di lui, e stavolta toccò a suo marito perdere l’ultima briciola di controllo che aveva, mordendole la clavicola mentre si lasciava andare in lei, gli occhi di Ashe alla deriva nello specchio, le labbra sospese su quelle tirate di Basch.
La porta tremò.
Al-Cid la ignorò, le ciglia abbassate contro la pelle di Ashe e il bacino schiacciato contro il suo mentre si scioglieva dentro di lei.
Basch scivolò contro il pannello, rilasciandosi nelle pieghe della propria mano con l’impeto di un ragazzino, ignaro degli occhi di lei attraverso il vetro, fissi su quel suo attimo di cedimento, un brivido che le si arrampicava sulla colonna vertebrale.
Al-Cid le spostò una ciocca di capelli dalla fronte e la porta tremò di nuovo.
La soglia, stavolta, si arrese alle proteste del visitatore.
«Beh,» esito l’imperatore di Rozaria con un sussurro «non è andata male, direi.»

*

Tecnicamente, non esistevano ragioni per cui avvertire ulteriore vergogna al passaggio della propria regina, eccettuata la propria legittima contrizione in merito a un ben noto schiaffo e alle sue becere premesse: Lady Ashe non avrebbe mai potuto sospettare che lui si fosse trovato impigliato nel bel mezzo dell’espletarsi di… dèi santissimi, il ricordo lo divideva fra il sentirsi male e il sentirsi meglio di quanto avrebbe mai potuto ammettere, frustrazione esclusa.
Strinse le labbra imboccando un corridoio tappezzato di antichi arazzi, le carte in mano e le dita macchiate d’inchiostro e la testa altrove come succedeva troppo spesso, ultimamente. Raggiunti i suoi appartamenti, lanciò i documenti sulla scrivania e, dopo averli osservati con aria scettica, li riprese fra le braccia e si avviò in direzione dell’anticamera reale.
Aspettò per un’infinità di minuti nel vuoto della stanza, il sole che cadeva a spicchi sul pavimento foderato di tappeti mentre il Giudice Magister se ne stava davanti alla porta sprangata, combattendo fieramente la tentazione di impiegare il proprio nervosismo dondolandosi prima su un piede e poi sull’altro.
Il sole gli scottava sulla testa, sbuffò, il massiccio elmo sotto a un braccio. In barba alla contegnosa etichetta che sarebbe stata adeguata a un uomo del rango di suo fratello, Basch decise di appoggiare quella pesante zavorra su un tavolinetto di marmo, per camminare più liberamente avanti e indietro, preda di una comprensibile agitazione. Lady Ashe avrebbe avuto tutto il diritto – e forse anche di più – per distoglierlo a calci dalla propria presenza, dopo il fuoco amico di qualche giorno prima. Nel caso se ne fosse avvalsa, Basch non avrebbe avanzato proteste – non con le immagini del giorno prima nitide nella testa.
Un tempo aveva pensato che non stava bene appoggiare la mano su quella della propria regina appena reduce da un parto, il che lo fece fondamentalmente sentire un uomo ridicolo, specie se ricordava che un simile divieto risaliva a tre mesi prima.
Se c’era una cosa che aveva imparato, si disse, rimpiangendo il momento in cui aveva scostato la mano dalla sua, quel giorno, era che da Lady Ashe non si scappava – tutti i voti della sua vita tornavano a lei e, nel caso così non fosse stato, cominciavano a uscire fuori controllo. Ed era una cosa con cui persino il suo onore avrebbe potuto patteggiare, se non altro per salvargli la salute.
«Basch?»
Si voltò, interrompendo la propria passeggiata: appoggiata alla porta, Lady Ashe lo scrutava con aria tranquilla. Senza alcun motivo plausibile – nonché con il doppio degli anni della sua signora addosso – Basch ebbe la sgradevole sensazione di stare arrossendo.
«Oh, milady, sono venuto per…» guardò i documenti che reggeva e li appoggiò sul tavolino «… parlare con voi.»
La regina incrociò le braccia e si fece avanti senza palesare alcuna particolare espressione, concedendogli, tuttavia, la propria attenzione, ostinandosi a ignorare l’incertezza e il rattristato imbarazzo che il capitano lasciava evincere da quegli occhi azzurri come i suoi.
«Siete qui per chiedermi il permesso per partire, o intendete forse farmi da consulente matrimoniale e scegliermi un partito di vostro gusto?» suppose, ben sapendo che mai e poi mai Basch avrebbe ardito raccogliere la provocazione. E beh, se invece l’avesse fatto, Ashe non l’avrebbe assecondato: avrebbe detto la verità. Tutta. Tutta quella verità di cui qualche bacio rubato sul dondolo a una donna incinta non conteneva nulla.
Basch non demorse, ma accennò un lieve inchino col capo.
«Ho promesso che non avrei più lasciato il vostro fianco – lasciatemi almeno questo margine di vantaggio sul vostro signore…» rise, senza allegria.
«Vi accontentereste di questo?»
La punta di durezza nella voce di Ashe era in precario equilibrio su un’altra sfumatura da ragazzina.
Basch ricambiò l’occhiata con la stessa fermezza.
«No.»
Ashe sembrò esitare, prima di tendere le dita verso le sue labbra. Basch si fece più vicino perché la carezza atterrasse sana e salva all’angolo della sua bocca – la punta di un indice, un’occhiata che pesava come una biglia di vetro, come se lo stesse guardando per la prima volta.
Basch le prese la mano, chiuse le labbra sulla punta dei suoi polpastrelli, bevve il respiro di lei, passò l’altra mano fra i suoi capelli come se glieli volesse contare, inspirò, poi rischiò di sbattere il naso contro il suo, quando accorse a mordere la curva rossa delle sue labbra, succhiandole con forza, la lingua di lei che solleticava la sua, la spingeva in un continuo, sensuale rincorrersi, in cui lui riconobbe un proprio basso ruggito mentre schiacciava Ashe contro di sé.
Lei sillabò il suo nome baciandogli il labbro superiore, le mani che abbandonavano i suoi strascichi come ragnatele smesse in mezzo alla stanza, mentre gettava via alla rinfusa le parti della sua armatura.
Quando la strinse ancora, contro il petto martoriato dalle cicatrici, poté finalmente capire quanto del bollore del suo corpo spirasse dalla seta dei suoi vestiti. Chiuse gli occhi, avvolto nelle scie sottili del suo profumo – prepotente come lei – e tornò a baciarla con le mani che cercavano di spogliarla, gli strati di morbida stoffa che si svolgevano dai suoi fianchi come crisalidi mentre le sue dita fini tracciavano i resti consunti delle frustate di Nalbina, arricciandogli il viso in una smorfia.
«Perdonami» disse sottovoce, vagando a fior di labbra sulla sua fronte, sullo sfregio ancora rosso che la tagliava, i brividi che si scontravano sulla pelle fra le sue mani grandi e caldissime e il freddo dell’aria che filtrava nella sottoveste.
«Non fa niente…» rise lui, con una dolcezza incontenibile mentre Ashe faceva scorrere le mani su di lui, la biancheria di entrambi dimenticata da qualche parte sul tappeto e le trasparenze della sottana che gli svelavano l’ombra bionda dei riccioli del pube.
Non smise di baciarla, e Ashe non gliene diede motivo, Basch che premeva le labbra addirittura sul mento, senza capire dove accarezzare prima la pelle liscia e bianchissima sotto le dita.
La appoggiò sul bracciolo damascato e rigonfio di una poltrona, la mano di lei che gli attraversava il petto con la stessa foga, fermandosi attorno al collo, dietro la schiena, i suoi baci che schioccavano ovunque e Basch che strattonava la camiciola via dal suo seno.
Non riuscì a farla scendere oltre il primo, timido accenno dei solchi.
Ashe rise, ritirando le gambe per fletterle, il bacino in equilibrio sul velluto. Basch si ritrovò a ridere con lei, la mano che, intrecciandosi sul suo monte di Venere, risaliva ad accarezzarle il ventre, il seno tratteggiato sotto al velo bianco.
Ashe gemette, inarcandosi, quando l’uomo indugiò a strofinare un capezzolo fra le dita, e lo fece quasi trasalire, scombussolandolo di piacere.
Lentamente, Basch sollevò la gonna con la mano libera, facendola ricadere in mille pieghe spumose sulla sua vita.
Appoggiò un bacio caldo e asciutto nell’interno di un suo ginocchio, sfiorando la pelle soffice della gamba con una guancia.
«Ti amo.»
Ashe non sorrise: Basch stava tracciando un filo di baci attorno all’inguine, togliendole il fiato, e la regina non poté fare a meno di soffocare solo metà dell’urlo che le salì alla gola, quando la lingua di lui la accarezzò delicato, scandendo il suo ritmo con piccoli tocchi leggeri, così deliziosi che lei sussultò arresa.
C’era una soddisfazione tutta particolare nel potersi sentir libera di chiamare l’uomo giusto al momento giusto, senza doversi preoccupare di ferire i sentimenti di chicchessia.
Rotolò giù dalla sua postazione nel momento in cui lui si fermò a riprendere respiro, caracollando su Basch, che non si sorprese di essere schiacciato a terra, inchiodato dal peso di lei a cavalcioni, che lo baciava schiudendogli la bocca senza via di scampo, facendolo gemere di un piacere quasi doloroso, dato il modo in cui il suo sesso si strofinava inconsapevolmente sulla sua erezione.
«Ashe, per favore, non così—» esalò, supplicandola.
Lei obbedì in un sospiro. Si scostò quel poco che bastava per non farlo soffrire, e Basch ne approfittò per sfilarle la sottoveste e lanciarla lontano.
Ashe si stese nuda su di lui, la sua morbidezza contro il suo corpo scavato dalle battaglie e dal tempo, baciando la pelle che, nonostante tutto, era elastica sotto le dita, e lucida di sudore.
Si mosse per baciarla e mordicchiarla tutta, lasciando una scia calda di desiderio sul suo basso ventre – Basch irruppe in un ‘oh’ mezzo contrariato e mezzo impaziente quando si urtarono di nuovo, e si sporse di nuovo sulle sue labbra.
«Oh, insomma—»
«Shh. Ti assicuro che so cosa sto facendo.»
«Ashe, ci passiamo vent’anni, lo so che lo sa—oddio. A-Ashe» scattò, quando lei chiuse le dita attorno a lui, accarezzandolo fino a farlo sragionare, l’altra mano che lo inchiodava al suolo e lei che si muoveva quasi aderendogli tutta contro, lasciando solo un minuscolo, caldo spazio d’ombra.
«Ora, Basch…» mormorò in un fremito, il desiderio che rotolava giù a grosse gocce dalla sua voce.
Lui allargò le mani sui suoi fianchi e si sollevò, attirandola con sé, le unghie di lei nelle spalle. La cercò in un piccolo lamento, prima che Ashe si schiudesse contro di lui, liberandogli il suo stesso nome sulla bocca.
Basch affondò col viso fra i suoi capelli, muovendosi dentro di lei come se Ashe fosse infinita sotto i baci e i gemiti e le carezze, mentre i suoi singhiozzi si aprivano morbidi attorno al suo nome, fino a che non poté sentire il suo piacere gonfiarsi come acqua insieme al suo.
Si lasciarono andare sul tappeto, troppo pieni di una felicità talmente esausta che non riuscivano nemmeno a respirare come si conveniva – era tutto un rollio disordinato e fragoroso di cuori che battevano, il rettangolo di sole dalla finestra che si allargava dorato sui ventri di entrambi.
Ashe si adagiò tranquilla al suo fianco, il fiato che le si stendeva pian piano.
«Non ho mai visto tanto sole.»
Basch rise, la guancia contro la sua – le bugie incomparabili di una regina del deserto.

*

Rise anche Al-Cid, in uno sfoggio di sportività non riscontrabile dai due amanti là fuori, mentre accostava la porta dalla quale Ashe era spuntata.
Non poté fare a meno di compiacersi di averla pungolata con tutta quella perizia, poco prima – nessun uomo sano di mente, a vederli felicemente accoccolati sul tappeto ricamato della stanza, avrebbe mai creduto a tutti i “se” e i “ma” a cui lei aveva dato voce poco prima.
Le gioie di una sincera vita coniugale, si disse, facendo spallucce mentre usciva silenzioso dalla porta secondaria.
Chissà se Darian aveva già mangiato.

~

A/N 28 marzo 2009, ore 3:20. Dio mio quanto scopano O__O, non so se ve ne siate resi conto, io temo di dover prendere atto di aver infilato in una sola storia la quantità di lemon di una vita intera, nel modo più gioiosamente spudorato possibile O__0 in tre mesi di divertentissimo lavoro, che senza la liz, non sarebbe stato tale ç___ç perciò questo capitolo è tutto suo, che mi ha fornito colonne sonore, beting, sopportazione e tutto ♥. Ho avuto grosse difficoltà con l’iniziarlo, questo capitolo – come avete potuto leggere, è uscito lunghissimo, e io devo ancora rivederlo tutto, assieme ai suoi fratellini – ma alla fine ci ho messo meno di due settimane *___* di cui il grosso in questi lieti giorni di vacanza.
Beh, che dire ç_ç! Fondamentalmente, che mi mancano già, nonostante mi manchi ancora da scrivere il gioioso epilogo di questo compiacente love affair XD in cui il povero, divertitissimo Al-Cid è in realtà l’amante di sua moglie XDDD. Ho adorato gestire questa puccigente. Poi, non avevo mai scritto una cosa tanto sfacciata come la scena di Al-Cid e Ashe che danno spettacolo davanti a Basch, è stata un’esperienza travolgentissima XDDDDD ma rimandiamo lacrime, saluti e ringraziamenti all’epilogo, dove potrò fare un bel commento di commiato all’ombra di una revisione generale… con la mente lucida, soprattutto. Per ora mi limito ad amarvi tutti e ad andarmene a dormire dopo due giorni su questo parto mastodontico!! XD

Juuhachi Go.

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