[Ace Attorney: Phoenix Wright] Dead man tells no tales [4/4]

Titolo: Dead man tells no tales
Fandom: Ace Attorney: Phoenix Wright
Personaggi: Miles Edgeworth, Phoenix Wright, altri
Parte: 4/4 | prologo | 1 | 2 | 3
Rating: R-ish?
Conteggio Parole: 16376 totali, 6068 in questo (LibreOffice)
Note: omosessualità, per quanto accennata, AU, violenza. Fu la mia storia per il Big Bang Italia 2011.

Dead man tells no tales

IV.

La St. Mary’s Catholic School for Girls era uno di quei posti austeri e stantii da cui Phoenix attingeva più angoscia che timor di Dio, in tutta onestà. Era sicuro che Edgeworth ne sortisse un effetto simile, stando alla smorfia sulla sua faccia, e allo sforzo che stava facendo per trattenersi. Probabilmente, era un gesto di cortesia nei confronti della suora che, in assoluto silenzio, li stava accompagnando – scortando, forse, dato il passo marziale – verso il refettorio.
Da uno dei grossi finestroni si vedeva il muro consunto della chiesa: il collegio gliel’avevano praticamente costruito addosso, male e in fretta, un triste blocco di cemento con grossi finestroni per gli spazi comuni e dei lucernari per i dormitori.
Camminando lungo il corridoio intonacato di fresco, Phoenix si ritrovò a deglutire a vuoto un paio di volte, la pistola che, al sicuro nella fondina, pesava come un macigno. Un Cristo di legno li sbirciava con aria afflitta, ed Edgeworth cominciò a camminargli appiccicato a una spalla evitando un gruppo di studentesse che li sorpassarono sussurrando. Lui inghiottì un sogghigno con notevole fatica – Edgeworth aveva passato il fiore dei suoi anni (a voler citare i suoi momenti di rimpianto più istrionici) a fare il cadetto diseredato in un posto del genere, con la stessa eco a rimbombare sulla volta troppo alta di una mensa con le pareti male imbiancate, le camerate enormi con i lettini minuscoli e la sveglia a qualche orario atroce. La prima decisione autonoma della sua vita, certo, la prima porta sbattuta sul naso – quella di casa sua – ma ne borbottava la catastrofe nascondendo un sorriso, corredato di tutto l’entusiasmo ragazzino che ancora si portava dietro nei suoi momenti buoni. Probabilmente, l’unico ricordo su cui davvero digrignava i denti era la fiumana di ragazzini tronfi, smilzi e poco lavati stipata in quel posto: c’erano sere in cui Edgeworth era ancora capace di descrivere ogni faccia con la precisione di un identikit. In virtù di che esperienza, Phoenix non era davvero sicuro di volerlo sapere.
«Miss Fawkins, ha delle visite» brontolò la suora.
Edgeworth la degnò di un’occhiata vagamente dubbiosa – forse perché gli arrivava al ginocchio, e riusciva comunque a incutergli un certo timore – per poi tirargli la manica della giacca.
«Wright, torna sulla terra, mi servi.»
Phoenix si mise d’impegno per sopprimere un sorriso: Edgeworth gli si era artigliato al cappotto con una forza che, da sola, diceva molto più del suo rimbrotto. Riuscì ad afferrarlo decisamente meglio quando la suora li fece accomodare alla lunga tavolata vuota del refettorio. Vuota, ad eccezione di una ragazzina compostamente seduta di fronte a loro, le dita intrecciate sul piano del tavolo e i gomiti stretti. Li fissò per un secondo con aria intenta, sbatté le ciglia dietro la montatura sottile degli occhiali e si umettò le labbra nel tentativo di dire qualcosa, ma non ci riuscì: con grande sorpresa di Phoenix, scoppiò in lacrime, ed Edgeworth si sporse oltre il bordo del tavolo per abbracciarla.
«Signor Edgeworth—Franziska–Se avessi potuto, io–» balbettò, tirando su col naso.
«Adrian,» borbottò lui, scostando un po’ i lunghi capelli biondi dalle sue spalle «è tutto a posto. Ritroveremo Franziska in un batter d’occhio. Va tutto bene.»
«A-Adrian Skye?»
Ad essere proprio sinceri, Phoenix si sentì un piantagrane, costretto com’era nel ruolo di chi doveva rompere il pathos ad ogni costo. Attese un’occhiataccia di Edgeworth, ma non la vide arrivare. Semplicemente, il collega lasciò la presa sulle spalle della ragazzina – che si asciugò gli occhi con il dorso della mano, un gesto da gattino arruffato che le tolse una decina d’anni di età – e la sospinse verso di lui con un colpetto che era una carezza.
«Adrian, ti presento Phoenix Wright, il mio collega,» gesticolò mentre, con mano salda, Phoenix scuoteva le dita sottili di lei. Guardò Edgeworth per un attimo – giusto per assicurarsi di poter gestire l’attimo di confusione e panico che l’aveva azzannato in quel secondo di silenzio – e poi, osservandolo mentre si sedeva, lo imitò con le mani che gli sudavano.
Adrian, separata da loro da un abbondante metro di tavolo, sembrò stringersi nelle spalle come un uccellino spaventato, mentre Edgeworth centellinava le parole.
«Allora, Adrian… credo tu sappia come e perché ci siamo affaticati tanto per riuscire a trovarti.»
Lei annuì, intercettando il minuscolo sorriso che lui stava trattenendo fra i denti.
«Data la cura con cui il vice-prefetto Gant ha voluto far dimenticare al mondo la mia esistenza, significa che lei è davvero diventato il bravo detective che aveva temuto, signor Edgeworth. Solo un po’ più cauto, forse.»
Phoenix si irrigidì nella sedia, studiando con sorpresa quella che, a conti fatti, era la loro piccola cliente: della bambina stordita e singhiozzante di poco prima non c’era più traccia. Era stata sostituita con un donnina dal volto pallido, tirato, ma impassibile, come forse solo Edgeworth sapeva fare. Lo sbirciò con la coda dell’occhio e lo vide sghignazzare nel prendere atto della somiglianza.
«Non posso esserne certo, ma credo di star per rivangare delle cose che… beh, potrebbero non piacerti» disse Edgeworth lentamente. Le labbra di Adrian che si assottigliavano sotto la presa dei denti sembravano offrirgli una conferma sicura – decise di incalzare in barba alla delicatezza.
«Certamente sai che Franziska l’ha presa Gant,» proseguì «sono io quello che non sa niente. Non so perché Gant abbia avuto una tale smania di segretezza nei tuoi riguardi, e in che modo si sia arrogato il diritto di poterlo fare. Posso immaginarlo,» continuò, allargando una mano sul tavolo «ma le uniche risposte che possono essermi utili per ritrovare mia sorella devono uscire soltanto dalla tua bocca, Adrian.»
Calò un attimo di quei tipici momenti di silenzio insostenibile. Phoenix si limitò a osservare la scena senza intervenire. Per quanto gli spiacesse doverlo costatare, quella in cui si era trovato immischiato non era una delle sue faccende in sospeso, ma una di quelle cose che, per amor di giustizia – e per amor suo, supponeva – richiedevano ogni cervello e ogni briciola di energia a disposizione.
A titolo personale, però, Phoenix odiava il modo in cui, anche in situazioni del genere, Edgeworth facesse del suo peggio per mettere la gente sotto pressione.
Nessuno gli aveva mai insegnato a infuriarsi e adesso Phoenix poteva vedere la rabbia che, repressa e sottesa, vibrava alla cieca sotto ogni parola. Stava dimenticando non soltanto di star parlando a una ragazza di quindici anni, ma anche a una delle persone a cui, a giudicare dalla tenerezza con cui l’aveva rassicurata, lui e Franziska dovevano tenere di più.
«Ha ragione lei,» disse Adrian, piano, abbassando gli occhi «lui… lui mi ha adottata.»
Phoenix riuscì quasi a vedere i muscoli di Edgeworth tendersi sotto la giacca, mentre il viso non azzardava il più stupido guizzo di espressione.
«Perché?» sbottò d’istinto, come Phoenix non lo aveva mai sentito fare prima di allora. Adrian sembrò far fatica a mettere ordine fra le parole, mentre si precipitava a spiegarlo, e lui, esitando, decise di rischiare il tutto e per tutto, allungando una mano per appoggiargliela sulla spalla.
«Edgeworth–»
Lui sembrò riscuotersi – il groviglio di nervi che i suoi polpastrelli avevano tastato sembrò ammorbidirsi a mo’ di resa. Nei riguardi di cosa, Phoenix era davvero curioso di saperlo. Lo sentì sospirare, presumibilmente seccato dallo scivolone del proprio autocontrollo.
«Perché avrebbe dovuto farlo?» si corresse, sconsolato «Avevi scoperto qualcosa? Riguardo a tua sorella?»
In quella circostanza, Phoenix si ritrovò davvero a trattenere dal roteare gli occhi – quel balletto era indispensabile per entrambi, e insopportabile per Edgeworth: riusciva a fiutare la sua impazienza.
«La notte in cui è stata uccisa… io l’ho vista. Ero lì.»
Il fatto di essere seduto risparmiò a Edgeworth l’incombenza di lasciarsi andare a un mezzo infarto senza curarsi troppo del proprio contegno; tuttavia, bianco come un morto, fissò Adrian ad occhi spalancati. Con o senza le sue spiegazioni, adesso la ragione di ogni accortezza di Gant sembrava assai meno recondita.
«Ero una piagnucolona, qualche anno fa,» e Phoenix vide spuntare un sorriso un po’ tremulo alla confessione «e sapevo che lui e Lana litigavano molto spesso, in quel periodo… Mia sorella mi ha sempre viziata un po’ troppo, signor Edgeworth, e stare da sola non mi è mai piaciuto molto. Col senno di ora, possiamo anche dire che non mi piaceva l’idea di lasciarla sola con quell’uomo» aggiunse, prima di fare una pausa per mordicchiarsi un labbro.
«Non è bello chiedertelo, ma potremmo salvare Franziska e fare luce su quello che è successo a tua sorella senza che nessuno possa contraddirci… Cosa è successo, in quella macchina?»
«Ricordo che faceva buio ed era freddo, mentre Lana guidava. In quel momento non riuscivo a capire perché Gant avesse chiesto di parlarle a un orario così assurdo, in un posto così dimenticato da Dio, e soprattutto perché Lana avesse accettato… Ma non era stupida. Non voleva dirmelo, ma aveva paura: ho dovuto litigare prima che si convincesse a portarmi con lei…» spiegò Adrian, strofinandosi gli avambracci con le mani «in macchina l’ho vista tenere il volante come se pesasse qualche quintale, e dovesse rotolarmi addosso.»
Edgeworth, annuì, cercando di essere civile, ancor prima che conciliante.
«Quando siamo arrivate, Gant era già lì. Non lo dimenticherò mai: Lana non ha aperto subito la portiera. Io avevo chiuso gli occhi sul sedile di dietro, con la testa un po’ al disotto del finestrino, dato che soffrivo di mal d’auto. Lana mi ha chiamata, e mi ha chiesto di strisciare nello spazio sotto i cuscini; quando le ho chiesto perché non ha risposto, così ho obbedito. Cominciavo a spaventarmi, avevo addirittura paura che Gant potesse vedere la seduta posteriore tremare dallo specchietto retrovisore… Ma Lana gli ha aperto la portiera, e lui le si è seduto a fianco.»
«Ed è stato allora che l’ha strangolata?»
Phoenix si chiese sinceramente quale atavica e assoluta mancanza di tatto suggerisse al collega il piglio di certe domande.
Adrian scrollò le spalle.
«Hanno parlato fitto per alcuni minuti,» borbottò, stringendosi le dita «non ricordo le parole precise, ma lui le faceva domande sul processo alla Bluecorp, quello su cui Lana non dormiva praticamente più, e lei lo ha minacciato con qualcosa tipo ‘Dirlo ai quattro venti potrà rovinare la mia carriera, ma a te farà molto peggio, se continui a intimidirmi!’»
«Puoi dirmi con certezza se il vice-prefetto stesse davvero intimidendo Lana?»
«Oh sì» e stavolta la risposta di Adrian suonava solida e testarda «A casa spiavo i suoi documenti, ogni tanto. Soprattutto a ripensarci nel corso degli ultimi anni, posso dirle che stavano parlando del processo per quella brutta storia di soldi della Bluecorp, che Lana aveva ragione, e Gant lo sapeva. Stava morendo di paura.»
Edgeworth annuì, con due occhi che sembravano fatti di fuoco e fuliggine.
«Stava manipolando il processo in modi così sporchi che Lana non riusciva davvero a capacitarsene, e… Quando ha calcato su quel punto, Gant ha cercato di tirarle un ceffone. La sua mano era grande come tutta la faccia di mia sorella, e io mi sono quasi morsa la lingua per non gridare. Lana però lo ha schivato, e Gant si è piegato su di lei… Ma Lana non si è tirata indietro ed è riuscita a dargli uno schiaffo così forte che lui si è quasi ritrovato la faccia girata dietro al collo. Gli occhiali gli sono volati via, li ho sentiti tritarsi in mille pezzi, ma stavo guardando Lana. Cercava di difendersi, ma lui le aveva messo le mani addosso. Non so come, ma sono riuscita a non dire una parola. Ho–ho cercato di aiutarla… V–volevo strisciare in avanti e morderlo, forse, fargli qualcosa… ma mentre ci provavo sono rimasta incastrata. Era troppo buio nella parte di dietro, non poteva vedermi, ma io l’ho visto strozzare Lana… Solo dopo lui ha visto me, penso, ma io ero svenuta, probabilmente. Di quello che può essere successo in quella macchina dopo che l’ha uccisa non ricordo niente, perché mi sono svegliata a casa di Gant, sul suo divano.»
Il viso di Adrian rimase immobile, ma Phoenix si sentì stringere il cuore in una morsa di pena e dispiacere quando una lacrima fece capolino dalle ciglia e rotolò, sola e pesante, lungo la guancia. La ragazzina la lasciò cadere sull’uniforme, Edgeworth, invece, esitò un secondo.
«Non hai pensato di chiedere aiuto?» inquisì, ma la domanda suonava stupida persino alle sue orecchie.
«Come?» ribatté lei, con una smorfia che le pizzicava le labbra « Mi sono svegliata con la bocca secca e la testa pesante… Mi veniva da vomitare e non riuscivo ad alzare la testa dal cuscino. Mi aveva dato qualcosa… per un attimo ho pensato che avrebbe uccisa. Non capii perché non l’avesse fatto, visto che avrebbe potuto fingere che un delinquente qualunque ci avesse ammazzate.»
«Mhh… in effetti» concesse Edgeworth, lo sguardo fisso sulle venature del tavolo.
Adrian scosse la testa, tormentandosi le dita.
«Anche se avessi potuto muovermi, non credo che sarei riuscita ad andare lontano. L’avevo appena visto uccidere mia sorella ed ero sola in casa con lui… Avevo visto tutto, lui doveva immaginarlo, dato che mi aveva trovata in quella macchina. Gli ero di impiccio, avrebbe potuto farmi qualunque cosa. Lo sapevamo tutti e due; sapevamo anche che, qualunque cosa avessi detto, nessuno mi avrebbe mai creduto. Non avevo più nessuno: se c’era qualcosa che quella sera avevo imparato, era che con quell’uomo il ricatto non avrebbe mai funzionato. Così, quando mi ha detto che mi avrebbe adottata, io–»
«Non hai davvero idea del perché abbia preferito lasciarti in vita? L’hai detto tu stessa, è stata una scelta completamente illogica, per uno come lui.»
Phoenix squadrò Edgeworth ancora una volta: se lo conosceva abbastanza bene – e mai come quella sera era stato illuminato a riguardo – sapeva che tipo di gioco stava cercando di mettere in scena con Adrian, ma dubitava avrebbe funzionato. L’unico sopravvissuto di valore, in un brutto omicidio come quello, era un complice. Peccato che quella ragazza gli sembrasse esattamente l’opposto. A livello razionale, Edgeworth si sarebbe risparmiato di scaricare una briciola di sospetto su un’adolescente spaventata, a maggior ragione se Adrian parlava di Gant con freddezza, disgusto, paura. Il terrore che le incuteva sembrava attaccarsi a ogni centimetro della pelle. Sperò che Edgeworth ci facesse caso con la dovuta attenzione.
«C’è una cosa molto, molto strana, nei documenti che sono riuscito ad avere per ritrovarti. Il tuo certificato di adozione è secretato come se si trattasse di informazioni destinate allo spionaggio internazionale… Un po’ troppa prudenza. Dovevi essere davvero preziosa per lui.»
Adrian si morse l’interno della bocca, ma fece del suo meglio per guardarlo dritto negli occhi.
«Io… io credo che avesse intenzione di chiedere dei favori a… a Celeste. Sapeva che teneva molto a me. Avrà pensato che il processo alla Bluecorp e la carica di Lana sarebbero passati a lei… Se fossi sparita le si sarebbe spezzato il cuore, e se fossi sparita e poi riapparsa con Gant che minacciava di ammazzare anche me, lui avrebbe potuto fare il bello e il cattivo tempo. Qualcosa deve essere successa comunque,» considerò amaramente Adrian «dato che ho capito che la morte di Lana gli ha permesso di distruggere e falsificare un sacco di prove.»
Si fermò, e Edgeworth capì – grazie a Dio, pensò Phoenix fra sé e sé – che anche Adrian aveva bisogno di risposte.
«Credo che Celeste si fosse avvicinata a te, negli ultimi tempi» sospirò, cupo «Persino io che non lavoro più a stretto contatto con la Procura mi ero accorto che qualcuno doveva averle legato le mani… e forse anche la bocca, per più di un processo. Adesso capisco. Non ha mai smesso di cercarti, a quanto pare.»
Adrian deglutì, e non a vuoto: Phoenix la vide ricacciare indietro l’emozione in un’occhiata che doveva costarle un grosso sforzo.
«Ma…» incapace di contenersi ulteriormente, Edgeworth spinse indietro la sedia e si mise a passeggiare nervosamente lungo il perimetro del tavolo «è assurdo. Deve essersi arrampicato per dei gradini altissimi, per adottarti con delle misure così… ehm, straordinarie» disse fra i denti.
In tutta risposta, Adrian annuì come avrebbe annuito un procuratore davanti a un avvocato, con una consapevolezza che le lavava di dosso quel che di acerbo in lei sembrava rimasto.
«I soldi, signor Edgeworth,» disse solamente. Persino Phoenix poteva ammettere che si trattava dell’unica risposta sensata, dato il soggetto in questione.
«Questo posto è molto grato alle sovvenzioni di Gant. Anzi, di fatto possiamo dire che è suo.»
«La Bluecorp.»
Edgeworth raggelò e Phoenix sentì la gola chiudersi. Finalmente, tutto era più chiaro.
«Già,» confermò Adrian «con gli amici giusti, le giuste bustarelle e le giuste scuse, non è stato difficile per lui nascondermi qui. Se un giorno o l’altro la copertura fosse saltata, avrebbe potuto inibire la mia testimonianza dicendo che ero l’ultima cosa che Lana gli aveva lasciato, che mai si sarebbe sognato di alzare un dito su di me, e che poteva dimostrare che il trauma che avevo subito l’aveva costretto a farmi tagliare i ponti e a mandarmi in terapia. So che una voce del genere è stata prontamente messa in giro, e che la mia ‘salute delicata’, con relativo certificato medico, avrebbe invalidato ogni mia testimonianza.»
«Bastardo.»
Edgeworth si voltò, sorpreso di sentirlo reagire così tardi, ma Phoenix appoggiò un gomito sul tavolo senza dire altro.
«La Bluecorp è la chiave di tutto, signor Edgeworth. È tutto per Gant – i suoi soldi, il potere con cui tiene gli altri in pugno. Farebbe qualunque cosa per–»
«Adrian, ti portiamo via da qui» la interruppe Edgeworth, afferrandola per un braccio «Wright, usciamo da questo posto. Se è così che Gant tiene le briglie della Bluecorp, forse possiamo fare un tentativo per trovare Franziska.»

*

Prima di questo caso, Phoenix non si era mai azzardato a paragonare un collegio femminile a un dannato presidio militare, ma evadere la sorveglianza di una suora alta come un tavolino da caffè non era un’impresa da sottovalutare. Quando lui e Adrian riuscirono ad arrivare in macchina, nessuno dei due si illudeva che il loro colloquio avrebbe potuto protrarsi ancora a lungo. Certamente Gant sarebbe stato avvertito nel giro di qualche minuto; se Edgeworth aveva ragione, seguire lo schema con cui era abituato ad aggirare gli ostacoli li avrebbe portati dritti da Franziska.
Al secondo tentativo, Phoenix riuscì a mettere in moto l’auto e, poco dopo, Edgeworth sbucò da un ingresso laterale. Phoenix dovette aprire la portiera dall’altro lato per evitare che, nella fretta, l’amico se ne dimenticasse. Con Adrian rannicchiata sul sedile di dietro, si diressero sgommando – sempre nelle ristrette possibilità del loro macinino – in qualunque maledetto posto la loro capacità deduttiva avrebbe suggerito.
«Adrian, hai detto che è la Bluecorp a sovvenzionare la St. Mary’s, vero?»
«Sì,» replicò lei, asciutta, guardando il suo riflesso nello specchietto retrovisore.
«È possibile che Gant abbia usato la stessa tattica per nascondere mia sorella… Se avessimo trovato te, sarebbe stato un richiamo abbastanza forte da fare da esca. C’è un posto particolare che ti viene in mente?»
«… La St. Helen’s. Alcune delle ragazzine più ricche del collegio venivano smistate lì, lo si capiva quando le suore cominciavano a sorridere a quelle che non portano i capelli tirati indietro come vorrebbe il regolamento… due giorni dopo erano a giocare in cortile alla St. Helen’s. Era un po’ più grande del nostro, anche le regole erano meno rigide. Ma credo che non abbia funzionato molto bene, ha chiuso sei mesi fa, e le suore lo stanno trasformando in un oratorio grazie ai fondi di Gant… ho visto che la targa di ottone è già pronta.»
«E non solo quella…» ringhiò Phoenix, schiacciando il pedale dell’acceleratore.
«Wright!» gli gridò Edgeworth, artigliando i lati del sedile nel vederlo imboccare una curva «Chi diavolo ti ha dato la patente? Voglio ritrovare Franziska tutto intero!»

*

Che fosse una trappola, Edgeworth non l’aveva dubitato neppure per un momento. La cosa non l’aveva certo fermato dallo schizzare fuori dalla portiera come un missile, e Phoenix aveva dovuto rincorrerlo con il fiatone, maledicendo l’erba punteggiata di brina della St. Helen’s: passare fra i cespugli, in direzione dell’ingresso secondario, comportava che i suoi pantaloni si impregnassero di freddo e di umidità. Adrian, poi, la mano stretta nella sua, rabbrividiva nella stoffa leggera dell’uniforme, malgrado il cappotto in cui Edgeworth l’aveva infagottata. Stava cercando di evitare le occhiatacce che Edgeworth le lanciava di tanto in tanto, senza successo apparente.
«Wright,» sibilò, stringendo la pistola in una mano, così forte che la mano stava cominciando a sudargli «ti ripeto che portare Adrian con noi è una pessima idea!»
«Certo che lo è!» sbottò lui, trafficando con la fondina e appostandosi contro l’edera che cresceva attorno alla porta «Ma le statistiche dicono che non è molto saggio lasciare in macchina la supertestimone di un omicidio col pazzo ancora a piede libero… resta nascosta due anni per mano sua e toh! Quando la tiriamo fuori da lì la facciamo ammazzare perché accidenti, l’abbiamo lasciata nel vecchio macinino?»
Edgeworth roteò gli occhi.
«D’accordo, ho capito l’antifona… spero solo tu abbia imparato a sparare meglio dell’ultima volta!» disse, mentre forzava la serratura e, non visto, si concedeva un sogghigno. Phoenix sospirò guardando Adrian, che, con simili premesse, stava giustamente fissando entrambi con due occhi giganteschi.
«Non preoccuparti,» le disse, abbassando ancora di più la voce «è sempre così permaloso.»
Lei annuì, un po’ incerta: Aveva la vaga sensazione che né lui né il signor Edgeworth avessero afferrato il punto, e che, nella peggiore delle ipotesi, era più consolante pensare che, probabilmente, litigare come due vecchi zii sul fare di una scampagnata facesse parte del loro pacchetto di rassicurazione del cliente, il che spiegava perché, nonostante tutto, avesse quasi voglia di ridere. Il tempo dei giochi, però, sembrava proprio finito: si avvicinò il più possibile a Phoenix quando si accorse che Edgeworth era scivolato a piccoli passi nello spiraglio della porta.
Gli tennero dietro senza emettere fiato, tanto che Phoenix giurò di poter sentire il battito del proprio cuore muovere l’aria, la mano di Adrian fredda e sudata nella sua. Si voltò a guardarla e si appoggiò un dito sulle labbra, per poi tirarla lentamente in avanti.
Dovevano essere in una specie di scantinato: secchi, stracci e scope se ne stavano accatastati in un angolo. Vicino a loro, dei teli sporchi e impolverati coprivano qualche inginocchiatoio e un paio di sedie malandate. Sullo spesso strato di polvere del pavimento c’era il contorno di una mezza impronta di scarpa, motivo sufficiente perché Edgeworth si appiattisse contro l’angolo del muro, un dito sul grilletto e un braccio che teneva indietro Phenix e Adrian. Oltre lo spigolo della parete, un fascio di luce tremula, deviato da alcuni attrezzi, e un rumore di passi.
Phoenix, la gola secca per la tensione, guardò a terra, alla ricerca di qualunque cosa potesse impedir loro di balzare in avanti e sparare alla cieca. Le impronte continuavano, nette, sicure. Qua e là lo strato di vecchiume e di sporco sembrava più sottile: qualcuno doveva essere entrato di recente, lasciando il segno strascicato della propria presenza – non che questo dicesse molto, ma Edgeworth poteva sempre sperare di aver scassinato la serratura con una discrezione tale da assicurarsi l’effetto sorpresa.
Nessuno, in realtà, ci aveva davvero creduto, ma il quadro che si presentò loro davanti agli occhi poté confermare loro che sì, le lodi delle loro capacità investigative erano decisamente ben riposte.
«Fermi tutti!» abbaiò Edgeworth, spuntando sotto la luce. Phoenix si tenne in disparte, confuso fra il ciarpame, il sangue che gli rombava nelle orecchie.
«… Polizia?» azzardò Damon Gant in tono sarcastico, le braccia conserte mentre esibiva loro un sorriso troppo largo anche per la sua faccia. Se ne stava appoggiato con nonchalance contro la carcassa di un tavolo da giardino.
Legata su una sedia di ferro battuto c’era Franziska von Karma, con il segno rosso di un grande pezzo di nastro adesivo sulla bocca.
«Franziska!»
«Miles, razza di sciocco!» urlò lei in tutta risposta.
«Cos-»
«Ha ragione, Worthy,» sorrise ancora il vice-prefetto, avvicinandosi a Franziska per metterle una mano sulla spalla «sei davvero uno sciocco.»
«Lasciala andare Gant, o posso assicurarti che–»
«Arrestare un vice-prefetto è un’operazione complessa, soprattutto uno che ha il coltello dalla parte del manico… Ma direi di rimandare a dopo i convenevoli,» disse, con un cenno della mano. Estrasse la pistola d’ordinanza e la puntò alla tempia di Franziska, che si morse le labbra con forza.
«Credo tu abbia qualcosa da recapitarmi, caro il mio Miles… non è così? Peccato solo che il tuo collega non sia qui a testimonianza del fatto che anche i migliori detective sanno scendere a compromessi, quando la posta in gioco è importante…» sussurrò, mellifluo, caricando il colpo in canna con un secco click.
«Miles, prova a dargli quella roba e giuro che ti ammazzo!» sbraitò Franziska in una smorfia molle di lacrime e di paura.
«Lei non c’entra niente!» ruggì Edgeworth, il braccio teso a puntare la mira su Gant «Sai benissimo che la faccenda è fra me, te e Lana Skye!»
«Non credo proprio,» fece lui, arcigno «non quando mi sguinzagli i tuoi galoppini in Procura per scavare nelle mie faccende… pensavo che il monito fosse stato chiaro.»
«Oh, certo, lo è stato,» Edgeworth restituì la smorfia «e sarà ancora più chiaro in fondo a una cella! E speravo avessi imparato che il non usare alcun tipo di galoppino fosse stata esattamente la ragione per cui sei riuscito a sbattermi fuori e farla franca!»
«Sarà, probabilmente questa mocciosa aveva convinto anche quell’avido mangiasoldi di White» Gant scrollò le spalle «ma concedimi il beneficio del dubbio, dato che mi ha costretto a farlo fuori!» ghignò, pronto a fare fuoco contro la tempia di Franziska.
«Obiezione!» e Gant sentì un guizzo di scintille esplodere a un millimetro dal suo cranio: un proiettile sparato dalla zona d’ombra dello scantinato aveva colpito la vecchia ferraglia ammassata ovunque alle sue spalle. Colto di sorpresa, Gant fu costretto ad allentare la presa sul calcio della pistola. Phoenix corse verso Edgeworth, facendo cenno ad Adrian di restare dov’era, sparando un secondo colpo – mancò il bersaglio.
Edgeworth si tuffò accanto a sua sorella, e Gant, disorientato per un secondo di troppo, se lo ritrovò alle spalle, pronto a colpirlo dietro al cranio. Sfortunatamente per lui, il vice-prefetto vantava un’agilità insospettabile: schizzò via dal suo raggio d’azione come un gatto infuriato, afferrandogli il braccio che teneva saldamente l’arma fra le dita.
«Wright, sai fare qualcosa di utile fino in fondo, una volta ogni tanto?!» gli gridò Franziska, paonazza, mentre Edgeworth scaraventava Gant fra un mucchio di lattine vuote sul lato opposto della parete. Gant rise fragorosamente, ingoiando il fracasso dell’alluminio che rotolava dappertutto.
«Pensi davvero di poter uscire vivo da questo sgabuzzino fetido con qualcosa che mi colleghi alla morte di quella sgualdrina? La parola di un poliziotto cacciato a calci su due pezzacci di carta vecchia contro la mia?»
«Contaci!» ribatté Edgeworth, afferrandolo per un braccio, pronto ad assestargli una gomitata in piena faccia «Venti dollari e trent’anni di galera se nei tuoi cassetti troverò una brutta montatura per occhiali con le lenti rotte–» disse, facendosi da un lato per evitare un gancio destro «–mi domando se il frammento nel palmo di Lana fosse l’ultimo pegno d’amore che le hai lasciato!» gli urlò.
Stavolta, il suo pugno cadde pesante sulla faccia di Gant, portandosi via un paio di denti. Il vice prefetto, il sangue che gli ruscellava in bocca e sul completo, digrignò quelli rimanenti e sputò, cercando di restituirgli il colpo.
«Wright! Fai qualcosa!» disse Edgeworth, deviando il cazzotto per un pelo.
Phoenix imprecò: nella confusione generale, era riuscito a sciogliere il grosso nodo di corda che inchiodava Franziska alla sedia, e l’aveva quasi spinta dall’altro capo della stanza, fra le braccia di Adrian. Come atto eroico non sembrava essere sufficiente, dato che, in effetti, Gant aveva ancora abbastanza forza e ostinazione in corpo da mandare Edgeworth al tappeto afferrando alla cieca il primo utensile nel mucchio: era una vecchia sbarra arrugginita, e l’avversario ne sentì tutto il peso sulle costole, piegandosi in due dal dolore. Perse l’equilibrio e cadde a terra, ma Phoenix si precipitò al salvataggio, frapponendosi fra lui, Gant e il colpo di grazia. Allungò una gamba per il più classico degli sgambetti, e Gant cadde bocconi in una chiazza di sangue e saliva.
Gli diede il tempo di tirar su Edgeworth da terra, ma non abbastanza da spingere lontano l’arma del vice-prefetto. Mentre Phoenix si allontanava per andare a coprire le ragazze disarmate, si rialzò barcollando con la pistola in mano e nessuna intenzione di mollare se non con una pallottola in petto.
Cominciò a sparare a caso fra le cianfrusaglie, sapendo che Franziska, l’unica in grado di darsela a gambe in quel bailamme, doveva essere acquattata lì da qualche parte. Intuendo le sue intenzioni, Edgeworth aveva approfittato di un secondo fuori dal suo campo visivo per strisciare più vicino a lei, mentre Phoenix teneva Gant sotto tiro, e sparava qualche colpo senza troppa convinzione, nel timore di colpire qualcuno dei suoi. Cercò di stringere un cerchio attorno a lui, cercando di non perderlo di vista mentre si confondeva fra gli oggetti che ingombravano il ripostiglio. Sgocciolava sangue un po’ dappertutto, però, il che rendeva più facile seguire i suoi movimenti.
«Wright!» Edgeworth lo chiamò gonfiando i polmoni come mai aveva fatto in vita sua «Ho le ragazze coperte, fuoco a volontà!»
I colpi di Gant, stordito e rallentato dal sangue che stava perdendo, si facevano più radi e meno precisi, cosa che certo non faceva sentire Phoenix particolarmente dispiaciuto nel restituirglieli uno dopo l’altro: molti si infrangevano contro i muri, rimbalzavano sui pezzi di ferro, oppure si conficcavano nella mobilia e nell’intonaco, staccando polvere e schegge di legno. L’effetto boomerang era un impedimento considerevole per tutti, ma Phoenix, appiattito contro la parete, aguzzò gli occhi e distinse, nella luce fievole, il palpitare di un lenzuolo: copriva una vecchia sedia intarsiata – la gamba di Gant era un’ombra ben visibile nella trasparenza della stoffa. Sparò – nel giro di mezzo secondo, il proiettile schizzò fuori dalla canna, seguito da un urlo di dolore quasi animalesco nel momento in cui trapassava la rotula del vice-prefetto, che cadde lungo disteso a terra, sussultando e gemendo.
Sia Phoenix che Edgeworth balzarono a immobilizzarlo meglio che potevano.
«Correte a chiamare la polizia, voi due!» disse alle ragazzine, con un brusco cenno del braccio. Corsero fuori senza guardarsi indietro.
Gant, intanto, sputava sangue e insulti, tenuto in piedi – metaforicamente parlando – da un’ostinazione apparentemente molto più dura della sua tempra: pensavano di disarmare un ferito, e si trovarono a dover mordere e colpire l’avversario nel tentativo di sfilargli la pistola di mano.
«Spiacente, Worthy!» gorgogliò Gant in un ghigno viscido e tutto rosso – poi, il bang dello sparo, così vicino che Phoenix rimase sordo per una frazione di secondo che gli sembrò durare all’infinito.
«Edgeworth!» urlò, cercando di sovrastare il fischio che sentiva nei timpani. Il proiettile gli aveva trapassato la spalla ed Edgeworth aveva fatto appena in tempo a premere una mano sulla macchia scura che si andava allargando sulla giacca.
Senza pensare – per paura di perdere altro tempo – Phoenix si alzò in piedi e lo sollevò per le braccia, mentre l’amico, un occhio e aperto e uno chiuso, si faceva stendere con la testa sulle sue gambe in molle abbandono.
«Miles! Miles!» Phoenix si sfilò il cappotto e lo appallottolò sulla ferita «Ehi, mi senti?»
«Sì,» mugugnò lui, il sangue fra le dita in un rivolo appiccicaticcio e la fronte madida di sudore. Phoenix continuò a premere sulla ferita con tutta la cocciutaggine che aveva.
«W-Wright, non preoccuparti, è solo la spalla, niente di così drammatico» disse, stringendo le dita sul cappotto ormai rovinato di lui.
«Non affaticarti, Franziska e Adrian dovrebbero tornare con la polizia al seguito» fece, con una rapida occhiata all’orologio.
Furono dei minuti lentissimi a passare, durante i quali, per una sopravvivenza pacifica, possibilmente orientata a non condurre in galera un surplus di inquilini, Phoenix decise di stordire la poca coscienza che ancora restava a quel bastardo di Gant con il calcio della pistola. Più tardi, avrebbe accolto con una certa soddisfazione il resoconto dei medici, che annoverava, fra le tante ferite del caso, una poderosa rottura del setto nasale.
In quel momento, però, con la paura che gli addensava il sangue come gelatina, Phoenix riuscì solo ad azzardare un tremulo sorriso in direzione di Edgeworth, che non aveva intenzione di mettere da parte la sua onnipresente smorfia seccata.
«Andrà tutto bene, Miles, resisti solo un po’!»
«Lo so, Wright,» ridacchiò lui debolmente «me lo ripeti ogni santo giorno.»
«Ma che simpatico!» sbuffò Phoenix – se le circostanze l’avessero permesso, uno scappellotto non gliel’avrebbe tolto nessuno.

*

Per un fortuito eccesso di zelo – e per essere sicure che Damon Gant non morisse preso a botte prima che l’Ufficio Investigativo Wright & Edgeworth potesse assicurarlo alla giustizia – Adrian e Franziska fecero ritorno con un folto corteo di volanti della polizia (capitanate da un Gumshoe preoccupato al limite dell’isteria) e, guardacaso, due ambulanze.
«Voleva chiamare l’ambulanza e le onoranze funebri, per sicurezza,» spiegò Adrian a proposito di Franziska, quando Phoenix e le due ragazze furono assiepate insieme a Edgeworth sul retro dell’ambulanza, dopo una lunga serie di proteste e suppliche che giustificassero il sovraffollamento «ma le ho suggerito di non essere così drastica, a me sembra che ne abbiate ancora in abbondanza, di fiducia nella giustizia!»
Franziska, gli occhi ancora rossi di pianto, gonfiò le guance e si mise a braccia conserte, in un gesto inconscio che riassumeva in sé quanto poco si fosse mai permessa di essere bambina in tutta la sua vita.
«L’unico errore che ho fatto è stato lasciarti solo con quello sciocco di mio fratello, Wright! Ecco quel che succede a mollare due sciocchi con un pazzo assassino ferito alla gamba – quello bravo con la pistola si ferisce a due passi dall’epilogo!»
Dalla barella, Edgeworth maledisse fra sé e sé le cinghie che gli bloccavano le braccia.
«Su, Franziska, non alzare troppo la voce con Wright,» gemette «dopotutto è merito del suo cappotto se non sono morto dissanguato.»
«Umph, come vuoi!»
Phoenix fu incapace di trattenere un grosso sorriso.

*

In ospedale, fu ammesso in camera sua solo dopo un paio di ore passate in piedi, appoggiato alla parete, prima per aspettare la prognosi del dottore, poi per affrontare un crocchio di poliziotti curiosi, Franziska (alla quale i poliziotti in questione erano di gran lunga preferibili) e infine Maya, che, come al solito veniva informata sempre per ultima, fratello degenere!
La soddisfazione, però, ebbe un sapore infinitamente più dolce quando, seduto accanto al letto di Edgeworth, conferì insieme a lui davanti all’Ispettore Gumshoe, che, per quanto sospettasse delle storie men che edificanti sul vice-prefetto, di certo non sospettava fino a che punto corrispondessero al vero.
Quando si chiuse la porta alle spalle, barcollando un po’ più del consueto, Phoenix si prese un lungo momento per guardare Edgeworth in faccia; si stupì da solo nel ritrovarsi a sorridergli con aria un po’ sciocca nonostante le bende, il pallore e tutto il resto – o forse chissà, proprio per questo.
«… Adrian è andata a casa?» borbottò lui, voltando il viso dall’altra parte.
«Le toccherà restare alla St. Mary’s per un po’,» riferì Phoenix «ma il Procuratore Capo Inpax ha detto che si occuperà di tutto. Credo che sia in corridoio con lei, adesso.»
«Mh. Capisco» brontolò Edgeworth.
Calò un istante di silenzio.
«… Ehi, Wright.»
«Che c’è?»
«Gumshoe ha detto che ci sarebbe stata la possibilità di reintegrarmi come Ispettore Capo…»
«Ma è fantastico!»
«Beh,» Edgeworth scrollò le spalle, prima di ricordarsi quanto male gli facesse il gesto al momento «certo, ma… ecco, ho rifiutato.»
«Hai rifiutato? Che diavolo ti è saltato in mente?» boccheggiò Phoenix guardandolo ad occhi spalancati.
Stavolta lui non poté trattenersi dall’arricciare le labbra, a dispetto degli sforzi che stava facendo per rendere il suo sorriso meno sorridente possibile.
«Diciamo che preferisco combattere il Male a modo tuo.»
Sbuffò e chiuse gli occhi, ma Phoenix rise.
«Spiritoso» disse soltanto, appoggiando la mano sulla sua.
Con una notizia simile, le settimane a venire, su quella maledetta brandina, sarebbero state all’insegna del ricatto, e sarebbero state un inferno.
Phoenix ridacchiò, facendo spallucce – in fondo, si trattava di ordinaria amministrazione.

~

A/N 14 novembre 2011, ore 23:47. Bon, finita a un pelo dalla scadenza per il BigBang Italia, avevo in mente chilometri di note che aggiungerò nell’edit presumibilmente domattina, ma sappiate che io amo Crim per la sopportazione, il beting e l’amore e… e beh, il feel di corruzione e cinismo di questo verse (in cui penso scriverò qualche shottina collaterale, perché molte cose le ho lasciate fuori trama quando avrebbero meditato di essere espanse), nonché l’idea di scriverlo XD prendono molto vagamente ispirazione dal film “The Big Heat” di Fritz Lang. Vi informiamo inoltre che nessuna scena d’azione è stata realmente maltrattata durante la stesura di questa fanfic, e no, Ema Skye è stata usurpata del proprio legittimo ruolo non per bashing, bensì perché collegare Adrian a Franziska mi era più facile XDDDDD!

Grazie della lettura,

Juuhachi Go.

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