[X] All the things come back to you

Titolo: All the things come back to you
Fandom: X
Personaggi: Subaru Sumeragi, Seishiro Sakurazuka
Parte: 1/1
Rating: PG
Conteggio Parole: 6556 (LibreOffice)
Note: omosessualità, spoiler sul volume 16 e 17

All the things come back to you

« On.»
Un pomeriggio denso di grigiore e di freddo, che rendeva più nervose
le folle sciamanti in città e più irritabili e fiacchi gli impiegati
dietro le scrivanie.
Tutto questo non aveva ripercussioni su Seishiro Sakurazukamori. Il suo impeccabile
completo nero si faceva beffe dei capricci del clima, così come i suoi
occhi di falco ridevano con scherno davanti alle piccolezze della gente comune
che camminava disordinatamente ai piedi del grattacielo su cui si trovava. Lui
aveva di meglio da fare. Si accese una sigaretta con fare indolente, lasciandone
scorrere nel vento i boccoli fumosi, poi tornò a focalizzare la mente
sulle attività del suo shikigami. Percepì di nuovo il susseguirsi
monotono delle formule sciamaniche che Subaru recitava con la sua consueta perizia,
nel silenzio religioso di una modesta stanza che sapeva di chiuso, circondato
dal debole riverbero di qualche candela accesa, il cui alone di fuggevole oro
sembrava tingere le guance di lui della lucentezza e del calore perduti. Effettivamente,
Seishiro riconosceva che, con il passare degli anni, senza l’aiuto delle amorevoli
cure di sua sorella, l’indole cagionevole della salute di quel ragazzo aveva
guadagnato terreno, complice il disordinato ritmo di vita che il Sumeragi conduceva,
rimanendo sordo alle proteste del suo organismo, soprattutto in ambito lavorativo,
in cui veniva a trovarsi praticamente sempre.
« On, bataei ya sowaka.» scandì, ma, nella stanza, nessun
cambiamento. Grande idea, considerò Seishiro con ironia, quella di praticare
un esorcismo senza toccare cibo. Gettare incantesimi sui fantasmi, senza aver
prima raccolto energia sufficiente, significava sprecare fatica inutilmente,
esattamente quello che stava facendo l’omnyouji, il quale non aveva mangiato
altro che un paio di miseri bastoncini di pesce, surgelati, la sera prima, per
poi saltare deliberatamente una colazione come si deve, una volta sceso dal
letto.
« On…» sibilò la voce del giovane uomo, per l’ennesima
volta. Sakurazukamori, dalla sua postazione, stette ad ascoltarlo come aveva
pazientemente fatto fino ad allora, fu quindi un vero colpo, per lui, il momento
in cui una luce insostenibilmente bianca invase le pareti muffite e gli abbagliò
lo sguardo. Il suo sussulto di inconfutabile sorpresa gli fece scivolare via
gli occhiali da sole. Ancora confuso, tornò a fissare con gli occhi del
suo rapace sovrannaturale l’interno dell’abitazione e quello che vi vide fu
incredibile anche per la sua gelida, imperturbabile logica: Subaru indossava
ancora il lindo shikifuku e impugnava ancora la sua spada per gli esorcismi,
ma, come erano spariti buona parte dei suoi ventiquattro anni, allo stesso modo
si era volatilizzata, dagli occhi grandi e luminosamente verdi come al solito
– solo, miliardi di volte più indifesi -, la sicurezza dell’onmyouji
professionista. Si guardò intorno con aria spiazzata, i lucenti capelli
d’ardesia, seta purissima, le iridi intense, il nasino cesellato, le piccole
labbra mute leggermente aperte, le manine di elfo, appena visibili sotto le
maniche candide dell’abito cerimoniale – ristrettosi con lui – e coperte da
un paio di guantini su misura.
Ripresosi dall’iniziale stupore che lo aveva intontito, Seishiro fu lì
in un caotico gorgo di petali di cilegio. I pochi presenti ad assistere giurarono
che un Sumeragi Subaru in miniatura era spuntato fuori dal nulla e, in una manciata
di secondi, un’ombra – o qualunque altra cosa fosse – l’aveva trascinato via,
senza lasciarne la minima traccia.
***
« … uh?»
« Ciao, Subaru-kun.» gli sorrise l’uomo, riappoggiandolo di nuovo
con i piedi per terra.
Casa sua vantava una monocromia e un ordine inimmaginabile. Le pareti rivestite
di grigio fumo si perdevano nella moquette in tinta. Al centro del soggiorno-cucina,
splendevano i mobili in plastica e metallo: tre sedie attorno a un tavolo quadrato,
alla cui sinistra scintillava un angolo cottura ben accessoriato e pulito. Nemmeno
se Subaru avesse avuto la sua reale età avrebbe potuto trovare qualcosa
di familiare in quelle stanze, non essendoci mai stato. Otto anni prima, per
evitare che l’allora sedicenne Sumeragi andasse a cercarlo per regolare i conti,
Seishiro aveva cambiato domicilio, sebbene avesse deciso di rimanere a Shinjuku.

« Come sai il mio nome?» chiese il bambino, con educata, sorpresa
curiosità, guardando dritto negli occhi il padrone di casa, nonostante
solo l’iride sinistra di questi potesse realmente vederlo. Non ottenne risposta,
semplicemente perché, dopo un paio di attimi in cui gli occhi infantili
furono rimasti a studiarlo, Subaru stesso lo precedette:
« Ma tu… assomigli tantissimo al ragazzo che ho incontrato sotto un
ciliegio tempo fa!»
« Mpf, scommetto sapevi che conosco i nomi di chiunque si venga a trovare
sotto il mio ciliegio!» confermò Seishiro, divertito e desideroso
di conferirsi un magico alone di chiaroveggenza che non aveva mai avuto, ma
che avrebbe sicuramente impressionato il suo opposto. Lo sciamano novenne nutriva
ancora qualche perplessità. Del resto, come biasimarlo, considerò
il Sakurazukamori
« Beh, sei cresciuto davvero!» non poté trattenersi il suo
ospite in miniatura. Non aveva affatto torto: il piccolo Subaru aveva solamente
qualche nebuloso ricordo di uno strano e ombroso diciottenne che aveva fatto
con lui una scommessa altrettanto bizzarra di cui, d’altronde, non aveva che
una vaga e parziale memoria.
« Come sono arrivato qui? Hokuto-chan si arrabbia se non mi trova… e
anche la nonna…»
« Non ho la minima idea di quello che possa essere successo, mi spiace…»
si scusò l’uomo « … hai detto "Hokuto-chan"?»
proseguì, con finta meraviglia. Il bambino annui, facendo ondeggiare
la frangia d’ebano.
« È mia sorella gemella… le voglio un sacco di bene perché siamo
sempre appiccicati. Lei non è una sciamana, ma mi protegge sempre e si
preoccupa da morire se mi perdo… o se piango, o se mi fa male da qualche parte…
o mi viene la febbre… mi viene spesso, allora devo stare attento quando esco!»
« Deve essere proprio una brava sorella!» rise il suo interlocutore
« Hai voglia! Nonna le sta insegnando a cucinare e a ricamare, ieri mi
ha fatto una frittata per il bento!»
« Ho l’impressione che farà molti progressi!» mormorò
l’altro, riferendosi a eventi che Subaru novenne non aveva ancora vissuto.
All’improvviso, il parlottio del piccolo stomaco mise a tacere entrambi. Subaru
arrossì, ma Seishiro non diede importanza al suo imbarazzo. Ecco che,
di punto in bianco, un Subaru traslucido e puro tornava ad invadere la sua vita,
questa volta senza che lui l’avesse previsto o desiderato. Una situazione invero
curiosa, che lo lasciava incerto sul da farsi.
« Fame?» lo stuzzicò
« Ehm…» mugugnò il bambino. Trattenendo un sorriso nel
fissare le guance candide, l’altro andò ad aprire il frigorifero, in
cui non c’erano esattamente gli ingredienti per una cena succulenta: una confezione
di latte, qualche pomodoro e dello yakisoba avanzato.
« Ti va un bel frullato?» propose, continuando ad ispezionare la
stanza in cerca di qualcos’altro da mettere sotto i denti, poi, arreso, mise
mano alla fruttiera accanto ai fornelli.
« Alla mela, alla pesca o alla banana?»
« Banana…» si pronunciò il piccolo, con timidezza. Nessun
estraneo gli aveva mai offerto alcunché, ma quel tipo gli dava davvero
una strana sensazione. La sua presenza lo rendeva inquieto, tuttavia tutto quel
suo mistero non faceva altro che incuriosirlo. Se lo ricordava diverso. Non
ricordava quel suo modo di ridere.
Certe volte pensava che quel giorno al parco fosse stato tutto un sogno. Un
sogno buio, in cui aveva freddo e si sentiva a disagio, ma non riusciva a staccare
i piedi da terra per andare via, ad abbracciare Hokuto o la nonna.
Però… in quella casa grigia, dove sembrava esserci solo l’ombra…
stava bene.
Il mixer riempì la cucina di fragore per qualche minuto, poi tutto tacque.
« Subaru-kun? È pronto!» esclamò l’uomo, servendo il frullato
in un grande bicchiere con una cannuccia sormontata da un ingombrante omino
viola.
Dopo averlo fatto accomodare, lui stesso si sedette a fargli compagnia, non
senza aver prima aggiunto una spruzzatina di rhum nella sua porzione. Il piccolo
ospite suggeva avidamente il contenuto del bicchiere, il naso premuto contro
il fastidioso pupazzetto, le guance che si gonfiavano ritmicamente nello sforzo.
Seishiro si meravigliò sinceramente: come faceva un pargoletto così
minuto a far sparire tutto quel bicchierone a una simile velocità? Evidentemente,
chibi-Subaru-kun, all’epoca, non aveva ancora perso la voglia di nutrirsi a
dovere, cosa che sarebbe sopraggiunta, lentamente, negli anni a venire. Ricordò
di quando fratello e sorella litigavano al riguardo.
« Hokuto-chan dice che devo mangiare per essere forte e riempire di botte
quei fetenti schifosi che hanno osato sfottermi l’altro giorno!»
« Ha detto proprio così?»
« Mh-mh.»
Hokuto-chan era sempre la casalinga più manesca, turbolenta e iperattiva
che lui avesse mai conosciuto.
« E tu mangi per non far dispiacere Hokuto-chan?»
« Certo! A lei non piace che io torni con dei lividi, poi fa sempre la
faccia scura e combina guai a scuola, così tutti i maschi parlano male
di lei! Visto che vuole diventare una brava casalinga, non posso permettere
che poi rimanga zitella perché ha un brutto carattere per colpa mia!»
« Capisco.» capitolò il Sakurazukamori. Adesso, tutto quadrava.

« Oh, il frullato era buono. Tu non lo bevi?» si informò,
con la sua deliziosa cortesia.
Se ne stava ritto sulla sua sedia, l’espressione intenta e matura di un ometto,
la vocina squillante ma educata, le minuscole mani guantate, dalle dita sottilissime,
strette attorno al bicchiere e la corporatura esile appesantita dallo shikifuku
bianco, corredato di tutti gli accessori che avrebbe potuto indossare un onmyouji
adulto – quale era Subaru fino a poco tempo prima -. Tutto, dall’atteggiamento
della postura all’espressione del suo viso a ciò che indossava, facevano
pensare alla riproduzione in miniatura di un uomo maturo. Certo, il fatto che
aveva visto la sua antitesi regredire all’infanzia senza preavviso accentuava
la sensazione, ma era un qualcosa di superfluo. In quell’attimo, lo rivide nel
momento in cui veniva trascinato nella sua illusione per la prima volta. Il
passo guardingo ma risoluto, la paura del vuoto e del buio comune a ogni pargolo
mitigata dalla sua indole calma e superiore al terrore, anche se sentimentale.
Ricordava l’espressione incredula, ma mai sconvolta, di quando le rade gocce
di sangue erano piovute sulla pelle diafana.
« Hai ragione, me ne stavo dimenticando.» ammise, prendendo poi
a fare delle lunghe sorsate della sua bevanda. Una volta allontanato il bicchiere
dalle labbra, con suo grande stupore, sentì risuonare la risata di Subaru,
come un tintinnare, o lo scrosciare, di qualcosa. Sorrise a sua volta.
« Sei… mpf… tutto cerchiato di schiuma…!» e lo scoppio di
risa triplicò di volume quando Seishiro cercò di pulirsi goffamente
passandosi la lingua sulle labbra.
« Pe… pensavo che i grandi non facessero queste cose! Sei proprio strano!»
ridacchiò il bambino, appoggiando le braccia sul tavolo e guardando l’uomo
che appoggiava i bicchieri sporchi nel lavandino.
« Che ci posso fare se quella è la parte migliore del frullato?»
si giustificò con un sospiro, mentre Subaru annuiva vigorosamente, con
il suo fare adorabile da bambolina. Poi Seishiro tornò serio e si avvicinò,
mettendogli una mano su una spalla.
« Non pesa?» e indicò il pesante filo di grosse perle che
Subaru aveva attorno al collo. Senza attendere una risposta, lo sganciò
e lo appoggiò sul tavolo, mentre il bambino tirava un sospiro di sollievo.
Il padrone di casa lo squadrò da capo a piedi.
« Mhhh… Lo shikifuku non è esattamente una soluzione comoda per
stare in casa, sei d’accordo? … Non è che me ne intenda di abbigliamento
infantile, io…»
« Aspetta un momento!» esclamò, trionfante « Non saranno
vestiti alla moda, ma penso possano starti bene… Vieni.» e il pargoletto
gli prese docilmente la mano.
***
Chiuse il basso cancelletto di legno
e osservò il piccolo Subaru dirigersi a passi esitanti sulla sottile
linea di selciato sconnesso, verso il ciliegio al centro del giardino, rigoglioso
nonostante il vento gelido. Anche le camelie erano nel pieno della fioritura.
Raggiunse con calma il frugoletto che, incurante del soffio che gli scompigliava
i capelli, si era fermato sotto le fronde rosate, l’ombra dei rami sul viso,
gli occhi attenti nella sua ammirazione. Nonostante lui avesse cancellato dalla
sua memoria l’immagine della bambina straziata fra i rami, nel guardarlo l’uomo
intravide una sottile paura nel verde sterminato delle sue iridi. Erano ormai
vicini l’uno all’altro, senza prestare attenzione al freddo. Sakurazukamori
fece per muovere un passo verso l’ingresso della vecchia casa in perfetto stile
giapponese, ma una manina del piccolo afferrò un lembo della sua giacca
e si contrasse contro di esso. Seishiro si voltò, stupito, ma subito
il bimbo, con un ultimo sguardo al ciliegio, lasciò scivolare la mano
in quella di lui e, insieme, i due si addentrarono nella vetusta villa, lasciando
le scarpe subito dopo l’ingresso.
Il pavimento li accolse scricchiolando. Era coperto da uno spesso strato di
polvere, su cui i loro piedi lasciarono un segno leggero, come di inchiostro
su un foglio di carta. Aleggiava un greve odore di umidità e di chiuso,
che il buio contribuiva ad appesantire.
« Attento a non cadere.» disse Seishiro al piccolo. A casa Sakurazukamori,
vecchia dimora della sua infanzia, aveva fatto staccare la corrente. Era sì
vero che poteva certamente permettersela, dato il suo lauto stipendio, ma la
cosa gli era sembrata, all’epoca, pressoché inutile. Andò ad aprire
una finestra, in modo da far penetrare qualche spiraglio di luce invernale,
dopodiché fece cenno al ragazzino di seguirlo verso le stanze anguste
che addirittura sua madre, allora, dimenticava spesso. La sua irriducibile memoria
gli ricordò la presenza di una torcia elettrica all’ingresso del ripostiglio.
La accese e spostò lo sguardo sul bambino, tenendo però il fascio
di luce dritto davanti a sé.
Subaru continuava a non dire niente, né dava segno di voler lasciargli
la mano. Se ne stava semplicemente zitto, guardando tutti i pacchi che ingombravano
gli scaffali dello stanzino. L’uomo al suo fianco appoggiò a terra la
pila e, districandosi gentilmente dalla stretta infantile, si sfilò il
lungo soprabito, depositandolo fra le braccia dell’altro. Facendosi strada fra
le polverose cianfrusaglie sparpagliate ai loro piedi, si diresse con decisione
verso la fila più inaccessibile e nascosta di scatoloni, quella che poteva
raggiungere solo arrampicandosi. Sfilò con fatica la grossa scatola di
cartone da sotto un’incredibile quantità di ciarpame, ridiscese dalla
scaletta di metallo che aveva adoperato e poggiò il suo carico ai piedi
del bambino, rimasto a reggere la torcia.
« Bene, è quella giusta!» esultò, affondando le mani
nel suo contenuto. Sporgendosi, Subaru si rese conto che quelli erano i vestiti
di quando il padrone di casa aveva all’incirca la sua età. Lo osservò
scavare senza particolare interesse fra gli impolverati residui della sua infanzia.
Dai mucchi di abiti ogni tanto spuntavano vecchie foto ingiallite che lui non
gli mostrò e qualche raffinato kimono da donna. Tutti erano di seta e
la maggior parte riportava deliziosi motivi di camelie ricamate su seta bianca,
ad eccezione di uno solo, in velluto nero e sontuosamente ricamato, che l’uomo
andò a riporre nell’armadio addossato a destra della porta, insieme alle
foto e agli altri preziosi capi d’abbigliamento. Era sorpreso del fatto che
Subaru non gli avesse ancora rivolto alcuna domanda, tuttavia decise di non
parlare a sua volta e continuò, così, a rivoltare il contenuto
dello scatolone di cartone, fino a che non fu arrivato a toccarne il fondo.
Fu allora che le sue dita urtarono una piccola scatoletta. Portandola alla luce
della torcia, constatò che era rivestita di velluto verde e impreziosita
da un motivo floreale. Non ricordava di averla mai vista prima di allora…
« E questa?» mormorò, rigirandosela fra le dita. Anche Subaru
si avvicinò ad esaminare il piccolo, elegante involucro, il nasetto che
quasi sfiorava il tessuto morbido. Seishiro fece scorrere i polpastrelli lungo
l’esiguo perimetro dell’oggetto, al fine di trovare un qualcosa che gli permettesse
di aprirlo. Finalmente, schiacciò un bottoncino dorato sul retro e il
coperchio scattò, rivelando un piccolo gioiello. Era una catenina d’oro,
sottilissima, che terminava con un ciondolo raffigurante un fiore di ciliegio
schiuso, il cui materiale, sicuramente oro, era stato dipinto a mano con un
rosa pallido smaltato. Era il tipo di oggetto che sua madre avrebbe commissionato
ad un artista. Sollevò il sottile e luccicante filino, mantenendolo con
due dita e solo in quel momento si accorse che, sotto al coperchio del contenitore
della collanina vi era incisa una frase in caratteri dorati:
"Voglio che sia tu."
Gli sfuggì un sorriso impercettibile.
Spinse la scatolina con la relativa frase lontano dalla luce e dagli occhi del
piccolo, mentre tendeva il palmo verso quest’ultimo e lo esortava a prendere
l’oggetto. Con un po’ di timidezza, il bambino la accettò e la rimirò
per qualche attimo.
« Ti piace?»
« È molto bella!»
« Aspetta.» bisbigliò Sakurazukamori, sottraendogliela delicatamente
per avvolgergliela attorno al polso minuto
« M-ma… ma io…» lo sentì balbettare
« Nessun problema, tienila tu. La persona che probabilmente l’ha messa
qui sarebbe contenta.»
« Dici?» mormorò l’altro, palesando un po’ del proprio dubbio
« Garantito. La conoscevo meglio di tutti.»
« … e le volevi bene?»
« Non lo so.» ammise lui
« E lei, te ne voleva?»
« Più che a chiunque altro.»
« …»
« Dai,» lo stuzzicò, desideroso di interrompere il suo silenzio
« se non sbaglio qui sono conservate un sacco di cose che ti piaceranno
di sicuro!» e cominciò a frugare in mezzo a tutto quel caos, imitato
da un Subaru entusiasta.
***
Avevano smesso di setacciare la
casa solamente quando si erano resi conto che si era fatta sera da un pezzo,
tornando all’appartamento ingombri di pacchi su pacchi. Dopo una cena che il
Sumeragi consumò senza sentirne nemmeno il sapore, insieme a un Seishiro
pacato e divertito dalla sua adrenalina, i due si sedettero a gambe incrociate
sul divano, con una discreta quantità di libri di fiabe orientali e non
sparsi sul pavimento.
« Fammi indovinare, tu adori le fiabe!»
« Beh, la nonna non ha mai tempo di leggermele, siamo sempre occupati
con i miei allenamenti…»
« Grave mancanza! Facciamo un bel bagno e poi ne facciamo una bella scorpacciata,
d’accordo?»
« Sìì!» e il bambino trascinò l’uomo nel bagno,
perché facessero più in fretta.
Automaticamente, Seishiro considerò che la situazione, oltre ad essere
paradossale, era anche alquanto beffarda.
***
Il frugoletto lo seguì nel
salotto, stavolta indossando una vecchia maglietta arancione e un paio di shorts
verdi. Prima che Seishiro potesse accomodarsi per bene, l’ospite in miniatura
gli era saltato in grembo alla velocità della luce, dimostrandosi pronto
ad ascoltare.
Il Sakurazukamori cominciò a leggere fra le pagine ingiallite dal tempo.
« Ehm-ehm… Cominciamo.» decretò, mentre Subaru accostava
la testolina mora contro il suo stomaco.
« C’era una volta, tanto tempo fa, un regno in fondo al mare, dove
regnava un re con le sue bellissime figlie sirenette. La minore di queste desiderava
vedere il modo umano e così, il giorno del suo sedicesimo compleanno…
»
Il capo rivolto verso di lui, il piccolo onmyouji lasciava che l’uomo continuasse
a raccontargli le peripezie della povera innamorata e l’incostanza del giovane
principe che, dopo averle rubato il cuore, glielo spezzava, accecato dalla bellezza
di un’altra fanciulla, mentre la strega avida approfittava della situazione.
La voce di lui vibrava direttamente dal petto – contro il quale si era beatamente
sistemato – fino al suo orecchio, era fluida e un po’ bassa, ma espressiva.
Seishiro, senza interrompere la sua attività di cantastorie, sbirciò
con la coda dell’occhio il cucciolo accoccolato a lui, in una totale esibizione
di rilassatezza. Ogni tanto un ditino andava a grattare la testa scarmigliata
e le labbra si lasciavano sfuggire uno sbadiglio, ma, ansioso com’era di sapere
il finale della storia, Subaru non demordeva, anzi: opponeva al sonno un’accanita
resistenza. Quando il tono del lettore si fece più drammatico e suadente,
riuscì a risvegliare tutta la sua attenzione:
« La sirenetta fuggì via, in lacrime, sugli scogli, ad aspettare
l’ondata che l’avrebbe tramutata in schiuma del mare. Proprio in quel momento,
dai flutti vide emergere le sue sorelle. Tutti i loro splendidi capelli erano
spariti, li avevano ceduti alla strega in cambio di un pugnale magico. Lo porsero
alla sorella, dicendole che le sarebbe bastato accoltellare l’innamorato e lasciare
che le gocce del suo sangue, cadendo ai suoi piedi, le restituissero l’antica
coda di pesce, in modo che lei potesse tornare ad essere felice nel mare. Ma
la sirenetta, andata vicino al principe, non trovò il coraggio di nuocere
al suo amore. Baciò, invece, lui e la sua sposa, augurando loro ogni
bene, dopodiché…
» e qui fece una pausa per schiarirsi la
voce « … si tuffò nelle acque, nell’attesa di dissolversi
in spuma.
».
Tacque, chiudendo il libro con un rumore ovattato e odoroso di antico.
Subaru tese spasmodicamente l’orecchio, in attesa di una qualsiasi buona parola
per la povera principessina del mare, ma Seishiro fu irremovibile, il suo silenzio
gli fece salire un fiotto di amarezza nel petto.
« Ma… non aveva proprio nessuna scelta? » fremette, con la sua
vocina di cristallo infranto.
L’uomo immerse le mani nei suoi capelli, con un dito percorse la curva soffice
e rosea del suo orecchio.
« Non credo. Piuttosto, se non l’avesse fatto, credo che il suo non sarebbe
da considerare vero amore.»
Si chinò e lo baciò nell’orecchio, in quella maniera insopportabile
che non mancava di rendere Subaru sordo a qualunque cosa non fosse il fischio
intermittente nel timpano.
Non l’avrebbe mai saputo, che Seishiro aveva tralasciato una pagina, l’ultima.
***
Un’occhiata al grande orologio gli
fu sufficiente per realizzare che Subaru aveva tutto il diritto di addormentarsi
sul divano, il respiro regolare del sonno profondo e spossato di chi ha vissuto
una giornata ben strana. Seishiro si sollevò a fatica dalla sua posizione
e si stropicciò gli occhi. Il corpicino del bambino rotolò ad
occupare tutto lo spazio che gli era stato lasciato libero, senza che il lieve
movimento riuscisse a destarlo. Il Sakurazukamori lo prese in braccio e, una
volta nella sua camera da letto, lo adagiò fra le lenzuola grigio perla,
rimanendo a guardare le narici che si contraevano nel pigro sforzo del respirare,
una mano inerte appoggiata sulla seta del copriletto.
Guardò il guanto di spesso velluto e, lentamente, lo sfilò tirando
un dito, stando bene attento a non risvegliare il minuto ospite, che non fece
alcun movimento. Sul dorso bianchissimo spiccavano i tratti rossastri del pentacolo
invertito impresso su di esso. Sulle mani del Subaru adulto, nulla era rimasto
così vivido, all’apparenza. Semplicemente, ciò che era scolorito
sulla pelle si era radicato in una profondità a cui Seishiro non aveva
accesso. A cui non voleva avere accesso, forse.
Con la punta del polpastrello, scivolò sulla sottile cicatrice della
loro promessa, tracciandone ogni linea e sfiorando le dita trasparenti, mollemente
stanche. Subito dopo, con la stessa morbida cautela di prima, fece scivolare
la mano infantile all’interno del guanto, per poi andare ad indossare un pigiama
e raggiungere il bambino sotto le coperte.
Spense la luce.
« Buonanotte, Subaru-kun.» mormorò, sprofondando nel proprio
guanciale.
***
Lo guardò mentre intingeva
il coltello nella marmellata d’arance e lo passava attentamente sulla fetta
biscottata, badando a non sporcare né il tavolo né altro, ma,
nonostante tutti i suoi sforzi, non riuscì a non lasciare qualche macchia.
Addirittura, un grumo di confettura andò a cadere sul ciondolo che, agganciato
al suo polso, oscillava pigramente, illuminato dai riflessi del sole. Seishiro
lo osservava andare alla ricerca di un tovagliolo mentre prendeva un altro sorso
dalla sua tazza di the caldo, ridendo quando il piccolo emise uno sbuffo irritato
e si passò il portafortuna sulle labbra. L’uomo gli porse un fazzoletto
per pulirlo come si deve, insieme alle dita impiastricciate e Subaru ringraziò
con imbarazzo.
« Dormito bene?» si informò poi, con uno sbadiglio trattenuto
a stento
« Mhhh… proprio bene… Hokuto-chan ogni tanto mi tira i calci per sbaglio
quando dormo… tu no!» cinguettò, provocando una grossa risata
del padrone di casa.
« La prossima volta che ci vedremo non avrò più paura di
te.» annunciò il bambino. La sua voce era nitida, ferma e seria,
ma non per questo priva del candore che le era proprio.
La cosa impressionò Sakurazukamori. Sorrise.
A quale diamine di razza poteva appartenere una creaturina così ultraterrena
come quella?
Si alzò da tavola e andò a dargli un bacio sulla guancia paffuta
e bianca, semplicemente perché aveva voglia di tastarne la morbidezza
e di accertarsi che quel chibi-Subaru non fosse fatto di luce e zefiro.
« La tua barba punge!» rise questi.
« Vorrà dire che andrò a radermi!» risolse l’uomo,
avviandosi nel bagno e uscendone perfettamente sbarbato poco dopo. Trovò
il grazioso ospite in salotto, occupato con i cartoni delle nove e mezzo, allungato
fra i cuscini e palesemente insonnolito. Probabilmente non aveva riposato bene
come aveva detto. Gli si sedette accanto e attorcigliò un dito in mezzo
a quei capelli profumati, sottili come fili di seta.
« Non posso andare a scuola, vero?»
« Temo di no.»
« … e posso allenarmi?»
« Certo, conosco un po’ di onmyoujitsu basilare, se mi permetti, potrei
farti da avversario!» si offrì, con un sorriso mendace quanto le
sue parole.
« D’accordo!» sorrise il piccolo, già proiettato verso lo
shikifuku appeso alla porta della camera da letto
« Sì, sì, signorinello, ma prima vai a lavare la faccia,
sta ancora dormendo!»
***
Aveva lanciato alcuni degli incantesimi
più semplici contro il suo adorabile rivale, constatando che, già
dalla più tenera età, il potenziale di questi era davvero notevole:
non perdeva tempo nello sfoderare la sua riserva di ofuda, accompagnandola con
le tipiche formule del mestiere, direttamente proporzionali alla sua età,
a quanto poteva vedere.
Soffriva anche di una certa goffaggine, che gli anni avrebbero provveduto ad
eliminare. Nel Subaru che aveva incontrato sette anni dopo il Patto non c’era
traccia del minimo secondo di esitazione, non nel lavoro, almeno. Gli sovvenne
la silhouette di sedicenne in fiore ammantata nel kimono da cerimonia, la sacralità
dei suoi movimenti, qualcosa che sovrastava la purezza e la elevava fino a renderla
mera maestà.
A pensarci, a quel tempo molte cose erano quasi perfette.
Comprò al piccolo Subaru un enorme bicchiere d’aranciata e i due si spartirono
fraternamente un saporito gruzzolo di pasticcini, seduti su una panchina, in
mezzo ad alcuni alberi sempreverdi.
« Chomp… ti piacerebbe restare così per sempre?»
gli domandò l’uomo, giusto per soddisfare la curiosità dell’eventuale
risposta.
« Beh… munch… sono un po’ triste senza Hokuto e la nonna…
anche se di notte mia sorella mi riempie di calci e la nonna non si siede con
me sul divano io voglio bene lo stesso a tutt’e due. Anche se ogni tanto gli
allenamenti sono faticosi ed è scomodo stare il pomeriggio in posizione
seiza…» esplicò, rabbuiandosi un po’. Si voltò verso Seishiro
con una risatina.
« … e voglio bene pure a te, anche se sei un signore strano…»
e gli si aggrappò al collo, per lasciargli un bacio sulla guancia, con
uno schiocco.
Il Sakurazukamori sbatté un secondo le palpebre, prima di riappropriarsi
dell’espressione di "Seishiro-san".
Inutile. Subaru avrebbe potuto rivivere la propria vita milioni di volte, ma
sarebbe sempre caduto negli stessi errori.
« Non era questo che volevi?» gli chiese il bimbo, un po’ confuso
« Oh no…» lo rassicurò l’altro « … va benissimo.»
mormorò, abbassandosi su di lui e baciandolo giusto sotto le narici.
Subaru rimase un attimo immobile, subito dopo che lui si fu allontanato, ma
si lasciò comunque attirare sulle sue ginocchia, fino a che l’uomo non
si alzò dal sedile, tenendolo sempre in braccio.
« Andiamo a casa.» decise, presagendo già la stanchezza del
piccolo sciamano, nonostante non fosse ancora mezzogiorno. Quando arrivarono
alla macchina, il bambino si era già addormentato con la testa sulla
sua spalla.
***
Lo appoggiò sul divano, in
salotto, senza svegliarlo, poi andò a recuperare le buste della spesa
all’ingresso e si mise ai fornelli.
« Bene, a lavoro!» e si spogliò di giacca e cravatta, per
evitare di sporcarle.
E… a proposito di lavoro… erano due giorni – rifletté – che non si
occupava di nessuna delle ultime mansioni commissionategli dal Governo. Ghignò.
La sua preda prima di tutto. Subaru prima di tutto. In fondo, non portava i
suoi marchi per nulla. Volente o nolente (ma sull’ultima non ci sperava poi
tanto), quel ragazzo, anzi, quel bambino… o qualunque cosa fosse al momento,
insomma… aveva una certa priorità e – sì – anche un certo prestigio
rispetto a qualunque altro lavoro di un Sakurazukamori.
Strap.
Seishiro sussultò involontariamente: il rumore proveniente dal salotto
sembrava quello di un pezzo di stoffa che veniva lacerato. Si mosse a passi
svelti e rimase inchiodato sulla soglia della stanza.
Subaru, raddrizzatosi, si stava stropicciando gli occhi con i pugni.
« Yawn… Se-Seishiro-san?» lo chiamò, intenzionato a chiedergli
una spiegazione
« Sì?»
« Dove siamo…?» fece, ispezionando con lo sguardo l’ambiente circostante.
« Ho l’impressione di essere già stato qui…»
La pubescente grazia dei suoi sedici, splendidi, semisvestiti anni. Stando a
quanto aveva davanti agli occhi, i vestiti potevano rimpicciolirsi, ma non tornare
alla loro naturale dimensione.
Al polso era ancora stretto il ciondolo, ma sembrava che il ragazzo non avesse
dato particolare peso alla cosa.
« Siamo a casa mia, ma… ti consiglierei di metterti addosso qualcosa
di più adatto, perché, oltre a rischiare di prendere un brutto
raffreddore, stuzzichi piacevolmente i miei pensieri, amore mio!» ciangottò,
mentre l’ospite diveniva paonazzo.
Oh, sì. Aveva proprio nostalgia dei vecchi flirt, di quando il viso cesellato
di Subaru prendeva violentemente colore e non si contraeva come marmo.
« Ci dovrebbero essere dei miei vesiti di quando facevo le Superiori,
nello scatolone in camera da letto…» gli disse, facendogli strada.
« … I tuoi vesiti delle… Superiori? Cosa-»
« E fai presto, che fra poco è pronto in tavola!» lo avvisò
il padrone di casa, evadendo, come al solito, le domande che il ragazzo gli
poneva. Rassegnato, Subaru si accinse a cambiarsi. Gli faceva uno strano effetto
indossare ciò che un Seishiro adolescente aveva portato addosso molti
anni prima.
Aveva l’impressione di non averlo visto per almeno un millennio. E da quando
Seishiro aveva traslocato?
« Subaru-kuun? La zuppa di miso si fredda!» lo richiamò la
voce dell’uomo, inducendolo a farsi vedere. Il padrone di casa gli fece posto
e solo allora, con un sobbalzo che tentò di non accentuare troppo, si
accorse che l’orbita destra di Seishiro era vuota e lattiginosa.
Si era perso qualcosa, concluse, pensosamente chino sul piatto.
« Subaru-kun? È tutto a posto?»
« Ehm… sì. Buon appetito!» esalò, prendendo a mangiare
in silenzio, senza smettere di rimuginare su quello strano senso di amnesia
che sentiva gravare su di sé.
Seishiro, dal suo posto esattamente di fronte all’onmyouji, si gustò
la sua confusione senza che un accento di divertimento si manifestasse sui lineamenti.
Durante il pranzo, nessuno emise nemmeno un sussurro. L’unico rumore umanamente
percepibile fu quello che l’uomo fece nell’impilare le stoviglie. L’ospite non
aveva nemmeno la forza di alzarsi per offrirgli un po’ d’aiuto. Ma l’altro non
cominciò le faccende, si avvicinò, invece, alla destra del ragazzo,
sedendosi sulla sua sedia mentre l’altro si alzava in piedi.
« Hai mangiato troppo?» fece il Sakurazukamori, ostentando il più
innocente degli atteggiamenti
« Oh, no!» esclamò Subaru. Temeva di aver dimenticato qualcosa
di importante e, quindi, di ferire Seishiro.
« Beh, data la mia inesperienza culinaria, mi sembra improbabile!»

« N… no, non è per questo, figurati… ma… Hokuto chan, a proposito,
che fine ha fatto?»
« Non tornerà.» tagliò corto l’uomo. « Non oggi,
almeno.» si affrettò ad aggiungere, notando quanto l’espressione
dell’altro fosse divenuta smarrita. Subaru cercò il suo sguardo, per
poi portarsi a qualche esiguo centimetro da lui ed allungare una mano verso
il suo viso, fino a sfiorarlo con la punta dei polpastrelli e scivolare lungo
la guancia levigata.
Seishiro era cambiato. Invecchiato.
Senza sminuire il proprio fascino, aveva avviato un processo da cui Subaru si
realizzò, con una stretta al petto, improvvisamente escluso.
Esattamente come era sempre stato. Escluso dalla vera natura della sua gentilezza.
Accarezzò con due dita la palpebra dell’occhio destro di lui, quasi con
riverenza.
« Che hai fatto all’occhio…?» soffiò, vicinissimo.
Anche il suo profumo era cambiato. Non riusciva più a riconoscerlo.
Seishiro si protese leggermente in avanti, per sfiorargli un momento le labbra
con le sue, poi si ritrasse e, di nuovo, le accarezzò.
Subaru socchiuse gli occhi, lasciando che i polpastrelli che avevano toccato
il viso di lui ricadessero, arrendevoli, insieme a tutto il braccio.
Subaru, si compiacque il Sakurazukamori, con un brivido caldo. Che schiudeva
le labbra lentamente e partecipava a quell’intreccio irresistibile, lasciandolo
scivolare nell’antro delizioso della sua bocca, ad assaggiarlo, a lasciargli
il suo stesso sapore, sprofondando nell’abbraccio afrodisiaco della sua lingua
di zucchero…
« Mh…» sospirò il ragazzo, mentre le mani di lui lo sospingevano
contro di sé e le loro bocche ondeggiavano, l’una nell’altra per un’istante.

Nell’accomodarsi a gambe schiuse sulle ginocchia di Seishiro, Subaru si divise
piano e appoggiò le labbra sull’occhio cieco di lui, poi ridiscese a
vezzeggiarne nuovamente le labbra soffici, in un avvincersi frenetico, rischiando
di far cadere entrambi dalla sedia che minacciava di non poterli sorreggere
e cominciava a inclinarsi.
L’uomo passò le braccia dietro alla vita di lui, mentre si sollevava,
schiacciando contro il petto la corporatura esile. Avvertì un qualcosa
salirgli alla gola. Non era né eccitazione, né desiderio, sebbene
tutt’e due le sensazioni fossero tangibilmente presenti.
Si chiese quando Subaru sarebbe tornato.
« … mh…»
Con lui non aveva bisogno di essere Seishiro-san. Non più.
Poteva semplicemente essere ciò che voleva.
« … Seishiro-sa-…»
« … shh…»
Sapeva che il suo Subaru non si sarebbe meravigliato.
« … Subaru-kun…»
« … Che stai facendo?» lo inquisì la voce dello sciamano,
mentre freddi occhi verdi passavano in rassegna il suo aspetto stropicciato.
Subito, il Sakurazukamori esibì uno dei suoi migliori sorrisi.
« Bentornato.»
Questa volta i vestiti non davano segni di strappo da nessuna parte, ma si tendevano
sulla pelle fino allo spasmo.
Non spostò lo sguardo da quello cinico dello stizzito onmyouji.
« Che è successo?»
« Mai esorcizzare alcunché a digiuno, regola numero uno.»
« Mi stavi spiando?» si indignò il ragazzo, esaurendo tutto
il fiato nella sua domanda
« Naturale. È il mio lavoro.» ribatté Seishiro, asciutto,
senza palesare irritazione alcuna « Non credo sia stato davvero un male,
stavolta, Subaru-kun.» riprese, con una punta di insolito disappunto,
un sopracciglio inarcato.
« Oh, ovvio: non ci sarebbe stato gusto se fossi uscito stecchito da lì,
immagino.»
« Non concederti priorità che non hai.» lo redarguì
l’assassino. Mentiva.
« Non sto facendo niente di tutto questo.» lo riprese il ragazzo,
scoccandogli un’occhiata sprezzante « Oso troppo se chiedo a Sua Maestà
per quale dannato motivo mi sono ritrovato sulle sue ginocchia, in una cucina
che non è la mia?» ironizzò, velenoso
« … Sei davvero carino.»
« Tipica risposta di chi è abituato a non guardare le cose in faccia.»
si disgustò Subaru, per nulla impressionato dall’espressione cordiale
dell’interlocutore.
« … Lo faccio solamente quando le cose sono belle. Tu lo sei. Immagino
che questa sia anche la ragione per la quale ho deciso di fare una scommessa
con te, all’epoca. Dopotutto, sono un Sakurazukamori.»
Il ragazzo si morse il labbro, fissandolo con odio. O delusione. O rimpianto.

Non sapeva più leggere nei suoi occhi.
« Smettila.»
« Non è un complimento, né un tentativo di essere galante.
È una pura e semplice constatazione di fatto, Subaru-kun: tu sei bellissimo.
Come non puoi nemmeno immaginare.»
« Non voglio immaginarlo! Non se questo vuol dire essere al pari di un
bicchiere, che se cade va in frantumi! Quale senso ha contemplarmi per continuare
a ferirmi, senza fare nient’altro? Rispondimi!»
« Forse sono solamente un figlio di puttana?» rise lui, stringendo
uno dei polsi di Subaru fra le dita
« Probabile.» concluse questi, con una gelida inflessione della
voce, la quale voleva dimostrarsi indifferente, ma tradiva una sottile, profonda
incrinatura. Si divincolò risolutamente dalla sua presa e si diresse
verso la porta. Seishiro non lo accompagnò. Una volta udito il tonfo
all’ingresso, si appoggiò contro lo schienale della sedia, accendendo
una delle sue Mild Seven.
Nell’aria, l’odore neutro di Subaru, misto a quello dei suoi vecchi vestiti
da ragazzino.
Voglio che sia tu la mia persona
speciale.
Ma non è una cosa che capiresti adesso.
Perché tu… sei opposto a me.
… vero…?

***
Le camelie e i ciliegi sono
in fiore, in questo strano giardino, e sono coperte di neve. Mi domando quante
volte tu li abbia visti così.
Queste stanze mi accolgono, scricchiolano al mio passaggio, simili all’abbraccio
di un polveroso sudario, vermiglia incubazione della tua adolescenza, che mi
avrebbe legato a te, con un filo di ragnatela fatto d’argento.
Ho lasciato l’urna sul tavolo.
In mezzo a vecchi pettini intarsiati e vasi di fiori avvizziti, pezzi di una
vita di cui non ho mai fatto parte.

Lasciò la penna sullo scrittoio
e il legno della sedia emise un lieve gemito quando Subaru si alzò in
piedi, scalzo, incurante della polvere sul pavimento. Quando aveva deciso di
andare a vivere lì, aveva tentato di rendere la casa abitabile, spazzandola
ma cercando di muovere ogni oggetto il meno possibile.
Non faceva in tempo a pulire, che il velo di abbandono si ridepositava dappertutto.
Allora l’aveva lasciato stare.
Condividendo lo stesso abbandono di quelle pareti.
Soprattutto da quando i morsi della solitudine lo tenevano sveglio, terribilmente
sveglio e lucido. Se almeno fosse impazzito, non avrebbe più dovuto sopportare
il dolore.
Aveva ripristinato l’elettricità, ma non ne usufruiva praticamente mai,
preferiva scivolare esitante, col buio, sui pavimenti logori, i piedi nudi,
il soprabito chiazzato di quel rosso adorato, a esplorare ogni anfratto che
aveva contenuto Seishiro.
Sperando di assaporare l’alone della sua presenza perduta.
E si irritava.
Perché nessuno dei frammenti che si ostinava a raccogliere ricostruiva
il bambino, il ragazzo, l’uomo, il mistero che voleva risolvere.
Aprì la porta di uno stanzino ancora incolume dalle sue perlustrazione.
L’odore di perduto si fece forte e irrespirabile.
Pacchi e scatoloni giacevano sul pavimento e sugli scaffali in immoto disordine,
l’armadio accanto a lui ostentava un’anta socchiusa.
La profanò: kimono e fotografie. Di una donna che teneva in braccio un
bambino, che abbracciava un ragazzo, che baciava un ragazzo.
Con un sospiro, abbandonò le vecchie istantanee e gettò uno sguardo
sul fascio di luce che proveniva dall’esterno dello sgabuzzino, poi spostò
gli occhi in un angolo buio.
Una scatolina aperta.
La prese fra le dita, ne esaminò i fiori dorati ricamati sul velluto,
accarezzò il cuscinetto di seta, tracciò l’interno del coperchio.
La conosceva. L’aveva già vista, boccheggiò.
Qualcosa gli chiuse la bocca dello stomaco con forza.
« Ma…»
Voglio che sia tu.
È buffo, sai…
Nessun problema, tienila tu. La persona che probabilmente l’ha messa qui sarebbe
contenta.
Tu sei bellissimo.
… essere ucciso da te, perché sei… così dolce…
Che hai fatto all’occhio…?
Subaru-kun…
Non tornerà, non oggi, almeno.

« Sei… Seishir…»
Io… ti…
Tienila tu. Nessun problema.
Nessun problema.
… si tuffò nelle acque, in attesa di dissolversi in spuma.

Se non l’avesse fatto, credo che il suo non sarebbe da considerare vero
amore.

Nella tasca. Nella tasca.
Senza fiato, infilò le dita tremanti nella tasca del trenchcoat. Rimase
senza respiro.
Sollevò il sottile filo d’oro.
E non si resse in piedi.

Ricordava il sapore della sua bocca.
Ricordava ogni parola.
Appoggiò le labbra contro
il ciondolo.
« Grazie…»
Per la prima volta in vita sua,
Subaru piangeva di gioia.

***
Note… 2 Settembre
2005, ore 12:42. Woah. Erano due anni che non scrivevo una oneshot tanto lunga,
immaginate il mio giubilo *-*!
Quando ho messo Michiru al corrente dell’idea di questa fic, lei mi ha detto
di averne avuta una identica anni fa, così abbiamo deciso che ognuno
avrebbe descritto la sua versione é-è.
Ma a parte questo… "Things" è un racconto diverso, per quel
che mi riguarda. Prima di tutto, se proprio devo trovare un aggettivo, credo
sarebbe… "quotidiano". Non c’è niente di eclatante in questa
fanfic, è un semplice… percorso di contemplazione X°D. Questo perché,
stavolta, in via eccezionale, il POV di Seishiro è quello dominante *-*.
Cambia maschera a seconda del Subaru che ha di fronte, fino a diventare, nei
limiti del possibile, se stesso. Ihhh! ;___;! E poi, volevo dare a Subaru un
po’ di speranza post X16!! Ehh! Grazie a Michiru, Harriet e Lisachan. Le prime
due perché mi hanno sostenute, la terza perché deve leggere^^;!
Oh… non vi sembra che questo sia il mio Seishiro più stronzo…?
Juuhachi Go @ "No
Hope for Cinderella"

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